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Un tratto di penna – o meglio, di pennino – su un foglio di carta delinea un tracciato che ai più fantasiosi potrebbe ricordare quello di un cuore che batte. E in fondo quel tracciato, il sismogramma, è realmente il racconto di un corpo vivo, che respira e si muove. Il corpo è quello della nostra casa, la Terra, mentre il movimento è quello delle “placche” di cui si compone la crosta terrestre: un enorme puzzle che danza continuamente sotto i nostri piedi e che, nel corso dei millenni, ha dato origine all’incredibile mosaico di oceani e terre emerse che è il nostro pianeta.

La sismologia è la branca della geofisica che si occupa di studiare sistematicamente i fenomeni sismici e le onde da essi generate. È una scienza relativamente “giovane”, il cui nome, derivante dal greco “seismos”, fu ripreso nella seconda metà dell’Ottocento dall’ingegnere irlandese Robert Mallet, ma che affonda le sue radici nelle osservazioni empiriche degli eventi sismici risalenti perfino all’VIII secolo a.C.

Lo studio dei terremoti e la sorveglianza sismica del nostro Paese sono oggi alcuni dei compiti istituzionali più importanti dell’INGV che, nel corso degli anni, ha saputo cogliere i progressi della tecnologia e il decisivo passaggio dall’analogico al digitale per sviluppare strumenti sempre più accurati per il rilevamento degli eventi sismici. Abbiamo parlato dell’evoluzione tecnologica nello studio dei terremoti con Giulio Selvaggi, Dirigente di Ricerca dell’Istituto che ci ha guidati alla scoperta di ciò che si nasconde “dietro” al tracciato di un sismogramma.

Partiamo dall’ABC: come si misurano i terremoti?

Le onde sismiche irradiate dalla sorgente di un terremoto trasportano energia elastica. L’ampiezza delle onde sismiche è quindi proporzionale all’energia rilasciata ed è una misura della grandezza del terremoto. Fu Charles Richter, nel 1935, a proporre un metodo per misurare la grandezza dei terremoti a partire dalla misura delle ampiezze registrate da un particolare sismometro a torsione, il Wood-Anderson. Era “sufficiente” misurare l’ampiezza in micron su un sismogramma, riportare quell’ampiezza alla distanza di 100 dall’epicentro con opportune leggi sulla propagazione e farne il logaritmo per definire la grandezza (o magnitudo) del terremoto.

È importante sapere che la magnitudo è un valore logaritmico, il che significa che ad ogni punto in più di magnitudo corrisponde un aumento di dieci volte dell’ampiezza registrata. Oggi la grandezza di un terremoto si misura ancora con la magnitudo Richter, detta magnitudo locale (Ml), ma accanto ad essa vi sono anche “nuove magnitudo” come la magnitudo momento (Mw).

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Figura 1 - Metodo empirico per il calcolo della magnitudo tratto dal libro di Tichter del 1958 “Elementary Seismology”

 

Che differenza c’è tra la magnitudo locale e la magnitudo momento?

Sia la magnitudo locale che la magnitudo momento sono degli osservabili sismologici, vale a dire che possono essere calcolate dai sismogrammi.

La magnitudo momento, tuttavia, rappresenta meglio (rispetto alla Ml) le forze che sono all’origine dei terremoti. In particolare, la magnitudo momento è una misura di quanto si sposta una faglia nel processo di generazione del terremoto. Questa magnitudo è stata proposta solo negli anni ’70 e ciò indica quanto giovane sia la sismologia: lo strumento base di ogni fenomeno fisico, cioè la stima della sua grandezza, è recentissimo.

Per quanto giovane sia la scienza che studia i terremoti, gli strumenti atti a “osservare” questi fenomeni fisici sono invece un po’ più “datati”. Il sismografo, ad esempio, è l’apparecchio che viene utilizzato per registrare i fenomeni sismici. A quando risalgono i primi sismografi della storia?

È vero, a differenza della sismologia, la storia della sismometria è antichissima. La sismometria è in effetti quella parte della sismologia che si è da sempre occupata dell’osservazione e della misurazione dei movimenti sismici. Se vogliamo, però, risalire a quando la sismometria ha iniziato a consentire non solo l’osservazione ma anche la registrazione del moto del suolo allora dobbiamo risalire alla fine dell’Ottocento. Conserviamo ancora oggi sismogrammi di terremoti tristemente famosi per noi, come quello di Messina del 1908, ma che studiati alla luce di ciò che sappiamo nel 2019 diventano testimonianze preziosissime per poter definire le sorgenti di tutta quella grandiosa energia che si è liberata dalla terra. I sismometri dei primi del Novecento erano oggetti splendidi basati su meccaniche di precisione: pensate che ve ne sono alcuni ancora funzionanti!

In uno degli osservatori astronomici più antichi del mondo, ad esempio, a Uppsala in Svezia, c’è un sismometro Wiechert in funzione dal 1904 che conserva ancora oggi le stesse caratteristiche di allora. Anche il nostro Istituto negli anni Trenta e Quaranta era costruttore di sismometri: ne conserviamo ancora qualcuno.

Come si misurava l’ampiezza di un sisma con quelle primissime strumentazioni?

Semplicemente… con gli occhi! Si usava davvero un lentino graduato con il quale si potevano apprezzare le ampiezze delle onde P e S con precisioni millimetriche e i loro tempi di arrivo al centesimo di secondo. I tempi di arrivo, l’ampiezza massima e il verso del primo arrivo P erano i dati per poter localizzare i terremoti, stimare la magnitudo e studiare la radiazione sismica. Il problema era più che altro la precisione e la sincronizzazione degli orologi.

Oggi abbiamo orologi non soltanto precisi ma anche e soprattutto sincronizzati tra tutti gli strumenti grazie alla possibilità di acquisire il segnale GPS. Prima, invece, era necessario calcolare le derive orarie dei singoli orologi e correggerle rispetto a segnali radio che trasmettevano l’ora esatta. Era un’operazione molto lunga e anche piuttosto noiosa che siamo stati costretti a svolgere fino agli anni ’90.

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Figura 2 - Lentino graduato per la lettura dei sismogrammi

 

Hai introdotto due elementi molto importanti nello studio dei terremoti, le onde P e quelle S. Cosa sono e in cosa si differenziano?

Si tratta dei due tipi di onde che vengono irradiate dalla sorgente sismica, entrambe dette “onde di volume” poiché attraversano il volume delle rocce, seppur viaggiando a velocità diverse.

Le onde P, il cui nome deriva da “prime”, sono delle onde di compressione, longitudinali, equivalenti alla voce che sentiamo quando parliamo: così come la voce si propaga con la compressione dell’aria, queste onde di compressione viaggiano all’interno della Terra.

Le onde S, invece, da “seconde”, si propagano con un movimento trasversale delle particelle, un po’ come le onde del mare che si propagano andando su e giù. Le onde S hanno una velocità di propagazione minore rispetto alle onde P ma spesso hanno maggiore ampiezza, producendo i danni più grandi.

Tornando a come si registrano i terremoti, quando si è passati dal pennino analogico al digitale?

I primi acquisitori digitali sono comparsi negli anni ’80. Quando ho cominciato a registrare terremoti in giro per il Mediterraneo ancora usavamo stazioni sismiche con pennini che scrivevano su carta affumicata: la sera ci si ritrovava per il rito dell’affumicatura dei rulli e per “fissare” i fogli già registrati. Avevamo anche i primi acquisitori digitali che scrivevano su nastri magnetici, ma i nastri avevano durata limitata e registravano “a trigger”, ovvero “scrivevano” solo quando determinate soglie di ampiezza del segnale venivano superate. Alla fine, quindi, con le prime stazioni digitali si registravano paradossalmente meno dati rispetto alle stazioni a carta affumicata che registravano, invece, in continuo.

Oggi la tecnologia permette di acquisire i dati su disco rigido con memorie sufficienti a registrare dati in continuo per mesi. Anche lo stesso INGV ha avviato nei primi anni Duemila la progettazione e la costruzione di acquisitori sismici digitali. La “Gaia2”, ad esempio, è un acquisitore sismico tecnologicamente avanzato, progettato e costruito dal laboratorio tecnico dell’Istituto a Roma, sotto la guida di Alberto Basili: si pensi che, ad oggi, gran parte della Rete Sismica Nazionale utilizza questo tipo di acquisitore.

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Figura 3 - Stazione a carta affumicata e acquisitore digitale moderno prodotto da INGV

 

Siamo partiti da cos’è la magnitudo e, passando per l’analisi del funzionamento dei primissimi sismografi, siamo giunti alle strumentazioni di ultima generazione. Chiudiamo allora il cerchio: come funzionano questi strumenti moderni?

I sismometri sono cambiati drasticamente negli ultimi anni. Fino agli anni ’90, per motivi costruttivi, registravano solo alcune frequenze e con dinamiche limitate. Esistevano strumenti a corto periodo, che potevano cioè registrare le frequenze intorno a 1 Hz (le frequenze caratteristiche delle onde di volume P e S), e strumenti che fornivano una registrazione del movimento del terreno per oscillazioni intorno ai 20 secondi, che è il periodo dominante delle onde superficiali. Dai primi anni ’90, però, sul mercato si sono affacciati sismometri a larga banda, vale a dire strumenti che consentono la registrazione fedele del segnale in ingresso per un ampio spettro di frequenze, e anche la dinamica nel tempo è fortemente aumentata. Senza entrare negli aspetti tecnici, abbiamo assistito a una rivoluzione tecnologica e oggi i migliori sismometri hanno capacità sorprendenti. Va poi ricordato che attualmente, accanto ai sismometri a larga banda, vengono installati anche altri tipi di sensori - come quello geodetico o accelerometrico - che permettono, operando di concerto, di osservare tutto il range di frequenze emesse dalla sorgente sismica. Questa visione integrata multi-sensore è ormai diventata uno standard in tutti i più importanti centri sismologici mondiali.

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Figura 4 - Stazione integrata completa realizzata dall’INGV con sensore sismico, geodetico e accelerometrico