spazio vuoto logo alto

ICONA Facebook    ICONA Youtube666666   ICONA Flickr666666   INGV ICONE ICS   INGV ICONE social 07   INGV ICONE social 06   ICONA Facebookr999999  INGV ICONE BSKY

L’Italia è terra di vulcani: spettacolari ma anche potenzialmente pericolosi, da sempre attirano la curiosità dell’uomo affascinandolo e intimorendolo allo stesso tempo. Ma quanti vulcani ci sono nel nostro Paese? Quanti sono quelli attivi? Per rispondere a queste e molte altre curiosità abbiamo intervistato Guido Ventura, vulcanologo dell’INGV.

Guido quanti vulcani ci sono in Italia?
in Italia siamo abituati a considerare i vulcani facendo riferimento ai più famosi come Etna, Vesuvio, Campi Flegrei e Colli Albani. Come conseguenza, molti pensano che i vulcani italiani siano in tutto una decina. In realtà ne abbiamo contati ben settanta, tra questi molti sono sottomarini e tappezzano i fondali dalla Toscana fino alla Sicilia; alcuni sono localizzati nel Canale di Sicilia, il braccio di mare che separa l’isola dall’Africa settentrionale. Questo numero non deve stupire perché è dovuto al particolare contesto geodinamico nel quale si trova il nostro Paese, caratterizzato da una zona cosiddetta in subduzione nella quale Mar Ionio e Mare Adriatico si immergono al di sotto degli Appennini e dell'Arco Calabro e da una zona in estensione nella quale la crosta si assottiglia (il Tirreno). I processi subduzione ed estensione produce sono responsabili della fusione delle rocce in profondità e quindi della formazione di magmi. Questi risalgono verso l’alto dando vita ai vulcani. Ecco perché l’alto numero dei vulcani italiani non deve stupirci: è il risultato di una condizione tipica dell'Italia e comune anche ad alti luoghi come Giappone, Oceano Pacifico, Nuova Zelanda, dove ci sono migliaia di vulcani sottomarini.

Quanti di questi vulcani sottomarini hanno avuto attività in tempi storici?
Sappiamo con certezza che il Marsili, che si trova al centro del Tirreno meridionale, e La Ferdinandea nel Canale di Sicilia hanno eruttato in tempi storici mentre il Palinuro, ubicato vicino alle coste calabresi mostra una attività vulcanica secondaria, e cioè con terremoti di bassa energia e emanazioni gassose. Per gli altri, non sappiamo in effetti se e quali siano più o meno attivi, stiamo portando avanti delle ricerche in merito. Bisogna comunque tener presente che ad ogni nuova campagna oceanografica nel Tirreno scopriamo dei nuovi vulcani il numero è destinato a crescere!

Come possiamo capire se un vulcano sottomarino è attivo?
Esistono diversi metodi, un esempio sono quelli diretti tramite i quali è possibile effettuare dei carotaggi prelevando così dei campioni che verranno successivamente datati. Se a seguito della datazione ci viene restituito un range temporale che va dal presente a circa diecimila anni fa possiamo ipotizzare che siano attivi. Attraverso stazioni sismiche sottomarine e campionando i gas emessi, inoltre riusciamo a definire lo stato di attività del vulcano.

In cosa consistono queste strumentazioni sottomarine?
Si tratta di OBS (Ocean Bottom Seismometer) e sono utili per definire la dinamica interna del vulcano, per capire se ci sono processi di fratturazione e se questi processi sono dovuti, per esempio, alla risalita di fluidi e/o di magma. In questo modo ci danno una misura della dinamica interna del vulcano.

E per quanto riguarda i vulcani in superficie?

Come è facile immaginare lavorare sulla terraferma è più semplice. In Italia abbiamo dei vulcani come i Campi Flegrei, Vesuvio, Ischia, Etna e Stromboli che sono in assoluto tra quelli più monitorati al mondo. Sono infatti dotati di reti di monitoraggio permanenti e di una strumentazione che permette la misurazione di differenti parametri geofisici, geochimici e geologici. In questo modo è possibile studiarne la dinamica con un certo dettaglio.

Quanti sono i vulcani in superficie in Italia? Dove si trovano?

Circa dodici che si estendono dalla Toscana fino alla all'area napoletana. In Basilicata abbiamo il Monte Vulture e in Sicilia le Eolie, l'Etna, i Monti Iblei e l'isola di Pantelleria. Anche Linosa, isola appartenente all'arcipelago delle isole Pelagie, in Sicilia, è di origine vulcanica, così come troviamo del vulcanismo molto antico anche sul lato occidentale della Sardegna, soprattutto nella zona del Campidano. Studiare questo tipo di attività antica è molto importante per comprendere l’evoluzione del Mediterraneo occidentale.

Quali sono quelli attivi?

I vulcani attivi sono i Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, Vulcano, Lipari, Panarea, Colli Albani, Stromboli, Etna, Pantelleria, Marsili e Ferdinandea. Molti di questi attualmente si trovano in una fase di riposo mentre Etna e Stromboli sono caratterizzati da un’attività pressoché persistente.

In molti sono abituati a pensare a questi vulcani come a delle montagnole fumanti ma è davvero così?

Non è sempre così, in realtà hanno una morfologia che estremamente variabile. Molti di questi classici coni hanno al loro interno una depressione, detta caldera, che si forma per lo svuotamento della camera magmatica a seguito di grandi eruzioni. Mentre i coni sono forme “positive”, le caldere sono delle forme “negative”. Queste caldere a loro volta possono apparire molto differenti. La caldera dei Colli Albani per esempio, vicino a Roma, è occupata da un lago: si tratta del famoso lago di Castel Gandolfo, anche noto come lago di Albano. I Monti Iblei, altopiano montuoso di origine tettonica localizzato nella parte sud-orientale della Sicilia, erano nel passato un complesso vulcanico in parte sottomarino la cui attività risale a milioni di anni. Ebbene, in questo caso non sono presenti coni bensì delle fessure dalla quale si è verificata la fuoriuscita di magma. Ai Campi Flegrei invece vediamo una serie di piccoli coni all'interno di una grande caldera circolare e ognuno di questi ha dato origine ad una o più eruzioni.

Sappiamo che esistono i terremoti vulcanici, in cosa si differenziano dai terremoti normali?

I terremoti vulcanici sono legati alla dinamica dei fluidi e dei magmi presenti all’interno dell’edificio mentre i terremoti in zone non vulcaniche sono generalmente correlati a processi di fatturazione della crosta.

Per concludere, è possibile prevedere le eruzioni?

Prevedere un evento naturale vuol dire essenzialmente stabilire dove avverrà, quando accadrà, e con che intensità. È quello che definiamo “hazard”. Per i vulcani, il dove avverrà è relativamente facile da immaginare poiché sappiamo dove si trovano. Per quanto riguarda il quando e il genere di eruzione che avverrà le cose si complicano. Sono stabiliti dei livelli di allerta che si basano essenzialmente sui dati di monitoraggio e che ci consentono di valutare quando un vulcano entra in uno stato ‘critico’ e quindi prossimo ad una potenziale eruzione. Ogni vulcano ha comunque un suo comportamento, spesso non univoco e quindi, per quanto riguarda il tipo di eruzione attesa, si possono integrare i dati di monitoraggio con quelli basati su stime di probabilità per valutare il tipo di eruzione. Per alcuni vulcani esistono poi delle mappe di esposizione ai diversi tipi di hazard (lave, ceneri, flussi piroclastici, ecc.). In Italia abbiamo comunque sistemi di monitoraggio molto avanzati e mappe di hazard che ci permettono di valutare e gestire situazioni critiche.