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Qual è l’intervento primario per una migliore conoscenza dei vulcani antropizzati? Lo abbiamo chiesto al Professore Pierfrancesco Dellino, ordinario di Geochimica e Vulcanologia presso l’Università di Bari e membro della CGR per il rischio vulcanico. Ospite d’onore del mese, il Professor Dellino ha sottolineato l’importanza strategica della comunicazione che, a suo avviso, deve essere chiara, univoca e “umile”.

ospiteLa Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi è la struttura di collegamento tra la Protezione Civile e la comunità scientifica con la principale funzione di fornire al Capo Dipartimento pareri di carattere tecnico-scientifico, dando indicazioni sul miglioramento della capacità di valutazione, previsione e prevenzione dei diversi rischi. Nel suo ruolo di referente per il rischio vulcanico, come viene percepita in Italia l’esistenza dei vulcani attivi in territori anche fortemente urbanizzati? 

È molto variabile e dipende dalla vicinanza ai vulcani, dalle evidenze “visuali” della loro presenza, dalla coscienza di cosa rappresenti un vulcano attivo e anche dal tipo di vulcano.

Alcuni sono percepiti come attrazioni turistico-naturalistiche, è l’esempio di Stromboli, Etna e Vulcano, e talvolta questo rappresenta una criticità per la pianificazione di emergenza in caso di ripresa dell’attività eruttiva. In altri casi, dove la memoria storica è molto viva, come per il Vesuvio, sono percepiti come una “minaccia”, ma anche come opportunità di sviluppo nel caso di Pompei e del Parco del Vesuvio. Ciò, unito alla vivacità culturale del popolo napoletano, costituisce un “melting pot” di straordinario interesse.

Infine, lì dove il vulcano non è percepito come “vicino”, come per esempio i Campi Flegrei, che molti pensano non essere sede di un vulcano, la popolazione è scettica rispetto alle attività di prevenzione, la vede “lontana”. Quest’ultimo caso è il più critico, e bisogna impegnarsi molto sul piano dell’educazione e divulgazione.

La bellezza di Stromboli, l’imperiosità dell’Etna, il fascino antico e distruttivo del Vesuvio, l’ingannevole forma dei Campi Flegrei, il velo di mistero subacqueo del Marsili. Quale di questi vulcani, come studioso, le suscita maggior fascino? Perché?

Il Vesuvio, senz’altro, per la sua fortissima impronta culturale che non si ferma agli scavi archeologici di Pompei, Ercolano, Oplonti ecc., ma affonda nella grande produzione artistica e letteraria che ha prodotto e che continua a produrre.

Il Vesuvio rappresenta una scommessa antropologica, lo sviluppo di una umanità ricca e complessa che convive producendo novità in ogni campo delle arti, della scienze e della tecnologia. E poi, Vulcano, alle Eolie, mio primo amore: lì ho condotto la tesi di laurea.

Nel suo ruolo di componente, Professore, lei è membro della CGR per il rischio vulcanico. Qual è, a suo avviso, l’intervento primario su tutti gli altri per la migliore conoscenza dei vulcani antropizzati? Cosa rappresenta per lei ricoprire questo ruolo?

L’intervento primario deve essere: comunicare, comunicare, comunicare. Comunicare verso la popolazione. Comunicare fra i diversi ruoli tecnici e scientifici dello Stato. Comunicare verso i decisori politici. Comunicare con un linguaggio rigoroso, semplice, comprensibile ed univoco. Comunicare con umiltà verso le popolazioni interessate. Comunicare senza nascondere quello che ancora non sappiamo. Comunicare che per avere uno sviluppo sostenibile e resiliente verso le criticità sanitarie, naturali, finanziarie, ecc. Non c’è un uomo al comando ma un organismo vivente, la Società, che condivide le scelte e gli investimenti. Questo si raggiunge comunicando con chiarezza ed umiltà.

Troppo spesso certi “Soloni”, scienziati improvvisati o improvvidi, davanti ad una telecamera o un microfono pensano di esporre le loro teorie personali come “scoop” pseudo giornalistici. Questo porta a mettere in crisi il lavoro di paziente opera sul territorio che chi lavora in questi ambiti, compreso l’INGV, fa ogni giorno.

Quali sono le sue responsabilità nella CGR?

Le mie responsabilità sono quelle di condividere l’ordine del giorno delle riunioni con il Presidente ed il Capo Dipartimento di Protezione Civile; impostare la discussione nella parte “aperta” delle riunioni con i portatori di interesse sulle diverse questioni su cui viene richiesto un parere; impostare la discussione nella parte “chiusa” della riunione: la CGR è organo terzo ed indipendente e decide, in scienza e coscienza, senza condizionamenti di alcuna sorta dopo aver acquisito tutti i dati disponibili che possono essere utili per fornire un parere il più possibile preciso. Infine, impostare il verbale, che rappresenta l’unico e vero documento con cui la CGR comunica le sue decisioni all’esterno.

Qual è “l’insegnamento” sul rischio vulcanico che più di ogni altro vorrebbe che percepissero i suoi studenti dell’Università degli Studi di Bari?

Il rischio è una probabilità. I rischi, di qualsiasi tipo, sono quindi legati al concetto di incertezza che va sempre tenuto conto negli studi e nelle discussioni. Saper fare dell’incertezza un dato scientifico è un passo fondamentale verso la vera conoscenza scientifica dei fenomeni naturali e sociali e verso la capacità di prevedere e prevenire.

Lei è Professore ordinario di Vulcanologia all’Università di Bari ex Direttore del dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali ora in CdA. Quando ha capito che l’insegnamento e la ricerca sarebbero stati il suo lavoro?

All’età di dieci anni ero in vacanza in Sicilia ed ho assistito ad un’eruzione dell’Etna da molto vicino. Può immaginare che impressione lasci in un bambino un’eruzione vista di notte.

Tra i suoi incarichi vi è anche quello di Consigliere del Consiglio Universitario Nazionale. Secondo lei, ci sono strumenti per indirizzare la cultura universitaria verso la percezione e la prevenzione del rischio dei nostri territori, nelle sue varie fragilità?

Ci sono in alcuni corsi di studio dove vi è l’opportunità di affrontare questi argomenti, quali le Scienze Geologiche, Geofisiche, Naturali e Ambientali. Molto però bisognerebbe ancora fare per mettere a bagaglio comune tutte le esperienze e competenze che esistono in Italia su questi temi e creare delle Classi di Laurea specifiche sui temi dei rischi naturali.

Nella sua attività di ricerca, lei è molto impegnato anche nello studio dei vulcani Islandesi e del Centro e Nord America. Quale differenza percepisce (se c’è) nello studio di questi vulcani che sembrano così lontani dall’Italia?

Si potrebbe dire, paese che vai… vulcano che trovi!

I vulcani seguono regole abbastanza semplici anche se, nella complessità dei fenomeni naturali, non tutte le abbiamo ancora capite, ma le popolazioni possono essere molto diverse. Quello che accomuna i popoli che vivono vicino ai vulcani, al nord o al sud del mondo, è una certa, sana, “pigrizia”.

Lo straordinario fascino e la potenza della più maestosa manifestazione della natura, probabilmente, porta ad essere più riflessivi…

Per concludere, c’è un “consiglio” ricorrente che lei offre ai suoi studenti?

Sì: siate curiosi e coraggiosi!