Il 22 maggio del 1960 il Cile è stato colpito da un fortissimo terremoto a cui è seguito uno tsunami che ha investito quasi tutte le coste del Pacifico. Per conoscere i dettagli di questo evento, il più forte registrato dal 1900 a oggi, abbiamo intervistato Stefano Lorito, ricercatore dell’INGV, che ci ha spiegato cosa è accaduto quel giorno.
Stefano, quando è avvenuto il terremoto più forte mai rilevato dagli strumenti sismici?
Il terremoto più forte dopo il 1900 è avvenuto il 22 maggio del 1960 lungo la costa del Cile. Si tratta probabilmente uno dei più grandi mai avvenuti sulla Terra. È noto come terremoto di Bío Bío o di Valdivia, rispettivamente la regione e la città dove è stato localizzato l’epicentro.
Che magnitudo ha avuto?
Le stime di magnitudo presentano solitamente una forte variabilità, in particolare per un terremoto così grande accaduto tempo fa. In questo caso, le stime della magnitudo ottenute con diversi tipi di osservazioni a diverse frequenze dello scuotimento causato dal terremoto, dello spostamento permanente del suolo e dello tsunami variano tra Mw 9.2 e 9.6. I valori più alti sono stati ottenuti misurando le cosiddette oscillazioni libere a bassa frequenza della terra che “risuona come una campana”. Altri valori sono stati ottenuti utilizzando componenti dello scuotimento del terreno misurate dai sismometri, dalla livellazione geodetica effettuata sulla costa o dallo tsunami generato dal terremoto. Questa grande discrepanza è probabilmente dovuta al fatto che dati diversi sono sensibili a diversi aspetti della sorgente sismica.
In che tipo di zona è avvenuto l’evento sismico? Che tipo di terremoto è stato?
Il terremoto è avvenuto nella zona di subduzione che corre lungo tutta la costa del Cile. Questa è la zona dove la placca tettonica di Nazca incontra la placca del Sud America e si immerge al di sotto di essa in corrispondenza della fossa oceanica. La velocità di convergenza è stimata in circa 7-9 cm all’anno o anche di più secondo alcune stime, una delle più alte della Terra. L’attrito tra le placche impedisce che esse scivolino continuamente una sull’altra; ciò causa un accumulo di energia elastica che occasionalmente e improvvisamente può essere liberata da grandi terremoti se l’attrito viene vinto. Questo scivolamento improvviso causa lo scuotimento del suolo che si propaga sotto forma di onde elastiche – il terremoto. Nel caso di questo evento sismico lo scivolamento è cominciato in prossimità della città di Valdivia e si è propagato verso Sud, interessando la zona di subduzione per circa 900 km, con uno spostamento medio relativo delle due placche stimato intorno a 15 metri con anche picchi di 40 metri.
Al terremoto seguì uno tsunami. Come andarono i fatti?
Uno spostamento del fondo del mare, cosiddetto co-sismico, in questo caso di grande entità, ha perturbato l’intera colonna d’acqua soprastante, per tutta la lunghezza interessata della zona di subduzione, generando un grande tsunami. Lo tsunami si è poi propagato in tutto l’Oceano Pacifico sotto l’azione della forza di gravità, che tende a riportare il livello del mare all’equilibrio. Le onde più alte hanno colpito le coste del Cile dopo circa 20 minuti con altezze di inondazione superiori ai 20 metri. Con il passare delle ore, lo tsunami ha poi investito quasi tutte le coste del Pacifico, sebbene con onde meno alte.
Quali sono stati gli effetti del terremoto e dello tsunami sull’ambiente naturale?
E quelli sull’abitato?
Sono stati registrati danni significativi a causa del forte scuotimento soprattutto in zona epicentrale. I danni maggiori sono però stati causati dallo tsunami che ha causato migliaia di vittime. L’USGS riporta che circa 2 milioni di persone in Cile sono rimaste senza casa e sono stati registrati danni, al tempo quantificati in qualche miliardo di dollari, e vittime, in tutto l’Oceano Pacifico. Ci furono oltre 50 morti alle Hawaii e più di 100 in Giappone.
Per concludere, cosa ci ha insegnato questo terremoto?
Innanzitutto che le morti, soprattutto a grande distanza, potevano essere evitate. Ci sarebbe stato in teoria tutto il tempo per diramare un’allerta ed evacuare le zone costiere minacciate, riducendo così il numero di vittime dello tsunami.
A seguito di questo evento le Nazioni Unite iniziarono a coordinare la costruzione di un sistema d’allerta per l’intero Oceano Pacifico, che iniziò ad operare nel 1965 all’Osservatorio di Honolulu. Da allora i sistemi di allerta sono in continua evoluzione a livello globale, purtroppo spesso sotto la spinta di nuove catastrofi le quali forniscono rinnovato impulso alla ricerca e agli investimenti per la riduzione del rischio. Per esempio, in seguito allo tsunami dell’Oceano Indiano del 2004, è iniziata la costruzione del sistema di allerta per la nostra regione di cui fa parte il Centro di Allerta (CAT) dell’INGV.
È altrettanto importante notare che il terremoto del 1960, insieme ai terremoti più recenti di magnitudo pari o superiore a 9 come il terremoto di Sumatra nel 2004 e del Giappone nel 2011, con i loro tsunami devastanti, ci dimostra che ci dobbiamo aspettare una forte variabilità e una significativa imprevedibilità rispetto a dove, quando e come questi terremoti possano avvenire. Di fatto, ognuno di questi eventi ci ha costretto a riscrivere la storia sismica del pianeta e a imparare a caro prezzo cose nuove su come funzionano i terremoti e gli tsunami.