L’aumento del livello del mare, da un lato, i voli sperimentali con droni, dall’altro. L’INGV ha saputo mettere in contatto questi due mondi apparentemente piuttosto distanti tra loro, riuscendo a sfruttare le potenzialità offerte dai droni in quanto ottimi strumenti a supporto della raccolta dati per scopi di ricerca scientifica.
Savemedcoasts è il progetto europeo nato nel 2017 allo scopo di studiare le coste del Mediterraneo più esposte al rischio di inondazione dovuto al cambiamento climatico e al conseguente aumento del livello marino. L’INGV, oltre a coordinare questo progetto, ha messo a disposizione la sua esperienza nell’utilizzo di aeromobili a pilotaggio remoto (
Ad oggi l’attenzione verso i droni è alta anche tra il pubblico di non esperti. Sono strumenti che affascinano, piccole macchine volanti che raccontano di un futuro che in molti casi è già qui, e che possono essere utilizzati in moltissimi ambiti (di ricerca e non) grazie alla loro estrema versatilità.
Il Politecnico di Milano nelle scorse settimane ha pubblicato un report sulla diffusione dei droni nel nostro Paese: i numeri che emergono dal rapporto sono notevoli, trattandosi di un settore considerato “di nicchia” fino a pochissimi anni fa. A dicembre 2019, infatti, erano oltre 13.000 gli apparecchi regolarmente registrati sul portale dedicato dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, con un boom di autorizzazioni rilasciate nel 2018.
Abbiamo incontrato Fawzi Doumaz, ricercatore dell’INGV ed esperto pilota di droni per l’Istituto, che ci ha guidati alla scoperta di eliche e motori, spiegandoci meglio anche il ruolo di questi strumenti per gli studi costieri nel Mediterraneo.
Fawzi, di cosa si occupa il progetto europeo Savemedcoasts, di cui l’INGV è coordinatore?
Savemedcoasts è un progetto finanziato dalla Protezione Civile europea e che ha come topic centrale gli impatti di aumento di livello marino indotti dal cambiamento climatico (www.savemedcoasts.eu; www.savmedcoasts2.eu). In particolare, in questo progetto ci occupiamo di elaborare degli scenari per comprendere come entro il 2100 il mare potrebbe invadere le coste maggiormente esposte a tale rischio.
I nostri studi si concentrano in particolare su alcune zone del bacino del Mediterraneo in cui oltre all’aumento del livello marino sono tenuti in considerazione anche fenomeni locali di tipo geologico - come la subsidenza, ovvero il lento e progressivo abbassamento verticale del suolo - che amplificano localmente gli effetti dell’aumento del livello marino. Questo aspetto local del nostro lavoro ci interessa particolarmente perché è opportuno conoscere a fondo le dinamiche regionali per poterle confrontare con la tendenza globale e verificare se esse tendano a mitigarla o, viceversa, ad amplificarla.
A che scopo sono utilizzati i droni nella ricerca scientifica?
Il drone, in generale, è un aeromobile a pilotaggio remoto che, in ambito scientifico, consente di accedere ad immagini ad altissima risoluzione in qualunque momento e (quasi) in qualunque luogo. Basti pensare che in passato per avere delle immagini terrestri di questo genere era necessario acquistare del materiale già esistente e spesso estremamente costoso: foto aeree, immagini da satellite, materiale in uso ai militari, eccetera. E poteva anche accadere che queste immagini non fossero poi così ampiamente utilizzabili: ad esempio pensate al passaggio di una nuvola che oscura l’inquadratura o a uno scatto fatto dal satellite di notte o in condizioni di scarsa visibilità, anche su un’area non esattamente coincidente con quella di nostro interesse.
Con i droni, divenuti via via sempre più efficienti ed equipaggiati con telecamere ad altissima risoluzione, abbiamo invece la possibilità di disporre di materiale “home made” così da effettuare - praticamente quando vogliamo - la cosiddetta “aerofotogrammetria”, ovvero l’acquisizione di dati su forma e posizione di una porzione della superficie terrestre attraverso la raccolta e l’analisi di coppie di fotogrammi stereometrici. In parole più semplici, si “comanda” al drone, tramite un software, di scattare delle fotografie – in modo di ottenere la cosiddetta “stereografia” - seguendo un “reticolo” prestabilito per coprire l’intera estensione della zona geografica che ci interessa.
Grazie a questa tecnica e all’autonomia in volo sempre maggiore dei droni di ultima generazione riusciamo ad ottenere un patchwork di immagini necessario per realizzare una “ortofoto”, vale a dire una fotografia mosaicata di una parte di superficie terrestre in un certo momento e con una risoluzione che spesso arriva a 1 cm.
E in che modo sono state sfruttate queste potenzialità offerte dai droni nell’ambito di Savemedcoasts?
Per questo progetto abbiamo sfruttato le immagini da drone acquisite da diverse angolazioni per estrarre delle nuvole di punti e ricostruire la topografia di alcune zone costiere, realizzando dei modelli tridimensionali (DEM - Digital Elevation Model). Questi sono particolarmente importanti anche per determinare la posizione della linea di costa e in parte la batimetria.
Per Savemedcoasts è infatti importante individuare la linea di costa attuale per realizzare gli scenari di aumento di livello marino legato al cambiamento climatico.
Che vantaggio e che possibilità offrono i droni nello studio di tematiche come l’aumento del livello del mare?
Senza dubbio la possibilità di disporre di dati prodotti da noi abbattendo quindi i costi economici per la loro acquisizione. L’altro grande vantaggio è che avendo a disposizione questi strumenti volanti possiamo effettuare anche delle sperimentazioni per testare dei prototipi realizzati in casa con le strumentazioni di cui sono equipaggiati. Inoltre, poter volare più volte su una stessa area ci permette di fare del monitoraggio ad esempio per valutare nel tempo in che modo un determinato sito ha subito delle variazioni morfologiche.
Come è nata la tua passione per i droni?
La mia è diventata una passione nel momento in cui, studiando e approfondendo le mie conoscenze in materia, ho scoperto le potenzialità di questi strumenti così estremamente versatili che mi hanno spinto a voler fare qualcosa di più nell’ambito del mio lavoro. Per me l’importante è portare a casa i dati anche grazie ai droni. Per fare questo serve passione, molta competenza e concentrazione.
C’è stato un momento in cui mi sono appassionato ai metodi di lavoro offerti da questi strumenti. Era il 2010 e dovevamo realizzare un progetto con la NASA e il JPL - Jet Propulsion Laboratory e, in ambito vulcanologico, avevamo creato un piccolo laboratorio “portatile” in grado di sostituire l’intervento umano in ambienti estremi come i crateri dei vulcani, per aspirare i gas vulcanici, analizzarli e trasmetterli in tempo reale via Wi-Fi. Avevo scoperto che in Italia esisteva un produttore a Ravenna che costruiva dei droni in grado di trasportare carichi fino a 10 Kg. Mi sono quindi messo in contatto con questo chiedendogli di costruirci un drone ad hoc, in quanto il nostro piccolo laboratorio aveva all’incirca quello stesso peso. Ricordo che all’epoca ancora non vi era alcuna regolamentazione in materia, quindi andai a volare da amatore. Fu un enorme successo: il drone volò per circa 15 minuti (che è un tempo considerevole con un peso così grande da trasportare).
Quindi, diciamo che ho mosso i primi passi in questo campo utilizzando i droni come delle vere e proprie “gru volanti”, dopodiché, stando anche al passo con il progresso tecnologico che “sfornava” nuovi prototipi ogni pochi mesi, ho deciso di utilizzarli anche per scopi di fotogrammetria aerea.
Da quanto tempo lavori con questi strumenti?
Ormai sono circa 10 anni. All’INGV siamo stati tra i primi in Italia ad utilizzare i droni a scopo scientifico. L’Istituto ha sempre investito in queste nuove tecnologie dando la possibilità ai ricercatori e ai tecnici di fare scouting in questo ambito.
Tra il 2016 e il 2019 in Italia sono stati registrati al portale dell’Enac 13.479 droni, con un incremento medio annuale del 13% e un boom di autorizzazioni rilasciate nel 2018. Quanti strumenti possiede l’INGV?
L’INGV possiede una flotta molto ben fornita di droni di varie dimensioni, dai piccoli a grandi, di vari pesi e adatti per differenti scopi di volo. L’obiettivo sarebbe quello di arrivare ad avere un parco droni, esattamente come abbiamo a disposizione un parco auto istituzionale.
Inoltre, noi piloti di droni dell’Istituto ci siamo costituiti come Gruppo di Lavoro così da poterci interfacciare in maniera istituzionale con l’Enac stesso e, parallelamente, stiamo provando a redigere un regolamento specifico dell’INGV in materia di utilizzo dei droni a scopo scientifico negli innumerevoli ambiti di applicazione di questi strumenti.
Da un punto di vista tecnico, che tipologie di drone utilizza l’INGV?
Abbiamo droni predisposti per la fotogrammetria aerea, alcuni equipaggiati con telecamere specializzate (termiche, multispettrali, lidar, a infrarossi), altri ancora predisposti per il trasporto di magnetometri (che devono essere trasportati in condizioni particolari, quanto più lontani possibile dall’elettronica del drone per evitare perturbazioni). Per Savemedcoasts abbiamo anche realizzato un prototipo ad ala fissa, spinto da un solo motore.
Questo per quanto riguarda i cosiddetti “droni passivi”. Esistono infatti anche dei “droni attivi”, che interagiscono direttamente con l’ambiente, come quelli utilizzati in agricoltura di precisione. La Sezione di Roma 2 dell’INGV ha realizzato un drone attivo in grado di campionare, tramite un braccio mobile, fanghi nei laghi vulcanici.
Sebbene questi equipaggiamenti sono più o meno “standard”, tuttavia va detto che le applicazioni di questi strumenti sono veramente moltissime e riguardano tutti e tre i Dipartimenti dell’INGV.
Quali prospettive ha l’Istituto per l’utilizzo futuro dei droni nel supporto alla ricerca scientifica?
A mio avviso la creazione del Gruppo di Lavoro dedicato ai droni è già un segnale importante. Significa mettere delle competenze scientifiche, tecniche e legali al servizio di un filone di ricerca che ha come mission quella di sfruttare le potenzialità offerte dai droni nella ricerca scientifica. All’INGV abbiamo compreso piuttosto rapidamente quanto i droni potessero essere degli ottimi strumenti di telerilevamento prossimale (e non distale, come i satelliti), alla nostra portata in quanto già dotati di un pool di piloti abilitati e della possibilità economica di acquistare i prototipi più vari: dai droni in senso stretto, agli aerei, ai droni sottomarini.
Inoltre siamo in grado di sviluppare anche l’intelligenza a bordo di un drone: in questo periodo stiamo sviluppando un catamarano equipaggiato con un drone in grado di andare sott’acqua ed effettuare delle riprese subacquee.
Possiamo collaborare anche con la Protezione Civile subito dopo un evento sismico, durante l’emergenza, per aiutare a valutare i danni, a mappare dall’alto e in tempo reale la situazione della zona epicentrale e, se si hanno a disposizione telecamere termiche o a infrarossi, individuare dei punti caldi e magari qualche persona in difficoltà. I nostri colleghi di Pisa stanno sviluppando, a questo proposito, un progetto che utilizzerebbe tre droni per effettuare la triangolazione di un cellulare sotto le macerie. Solitamente, dove c’è un cellulare c’è anche un essere umano.
Infine, sempre nell’ambito della gestione delle emergenze e del salvataggio di vite umane, vorremmo sviluppare un “ragno” che possa entrare sotto le macerie e arrivare, con telecamere specializzate, a rintracciare eventuali persone in difficoltà.