Un team che opera per studiare le relazioni esistenti tra le tipologie di suolo attraversate dalle onde sismiche e i terremoti registrati in superficie, offrendo risposte alla comunità scientifica e ai decisori politici per ricostruire in sicurezza dopo gli eventi più distruttivi.
Il Gruppo Operativo EMERSITO dell’INGV ha alle spalle una storia decennale e riunisce sotto un’unica egida ricercatori di tutte le Sezioni e di molte Sedi dell’Istituto.
Abbiamo intervistato il suo Coordinatore, Fabrizio Cara, per conoscere meglio le attività che svolge insieme ai suoi colleghi e farci raccontare alcuni degli episodi per lui più importanti nei suoi anni alla guida del team.
Fabrizio, in cosa consiste il lavoro del Gruppo Operativo EMERSITO?
EMERSITO è un Gruppo Operativo che opera in emergenza e si attiva ogni qualvolta si verifica un forte terremoto, o comunque un evento che ha prodotto danni significativi anche con magnitudo non elevate. Il nostro lavoro consiste nello studio dei cosiddetti “effetti di sito”, ovvero di come le onde sismiche si trasformano in funzione delle caratteristiche dei terreni superficiali nei quali si propagano. Infatti, nell’attraversamento di questi terreni il terremoto può variare la sua durata, ampiezza e contenuto in frequenza proprio a seconda della tipologia del terreno attraversato: ciò può produrre delle sollecitazioni importanti sulle strutture antropiche eventualmente presenti. A seconda dei parametri di progetto e delle loro caratteristiche costruttive, queste strutture potrebbero non essere in grado di sopportare tali sollecitazioni e, di conseguenza, si verificano danni di varia entità che il terremoto “originario”, cioè senza la propagazione nei terreni superficiali, non avrebbe necessariamente prodotto.
Allo scattare di un’emergenza, il team di EMERSITO si occupa dell’installazione di stazioni sismiche nelle aree in cui si ritiene più probabile il verificarsi di particolari effetti di sito, ad esempio nelle piane alluvionali, nei bacini o in alti topografici, per poi studiare i dati raccolti e definire meglio le caratteristiche stesse di quegli effetti.
Quando nasce e qual è la sua principale mission?
L’idea e gli obiettivi attuali di EMERSITO erano già presenti nel 2001, quando io e il collega Giuseppe Di Giulio cominciammo a lavorare in Istituto nel gruppo di ricerca di Antonio Rovelli, di cui facevano già parte altri colleghi come Giovanna Cultrera, Riccardo Mario Azzara e Arrigo Caserta. In quegli anni portammo a termine lo studio del bacino di Colfiorito iniziato dopo il terremoto del 1997 e successivamente ci attivammo per i terremoti di San Giuliano di Puglia e Palermo del 2002, per poi arrivare a quelli più recenti: L’Aquila, l’Emilia, il Centro Italia e Ischia.
Nel corso degli anni ovviamente c’è stato un naturale ricambio e nuovi colleghi si sono uniti al gruppo: tra gli altri, vorrei citare Giuliano Milana, Paola Bordoni e i gruppi di Grottaminarda, L’Aquila e Milano. Tuttavia fino ad un anno prima del terremoto del Centro Italia non eravamo un Gruppo di emergenza costituito formalmente. L’ufficializzazione di EMERSITO è arrivata infatti nel 2015.
La nostra mission, come ho già accennato, è effettuare studi di risposta sismica locale in aree epicentrali, ma nel corso degli anni a questo obiettivo principale se ne è affiancato un secondo ‘di servizio’, ovvero coadiuvare la Protezione Civile e le Autorità negli studi di microzonazione sismica. Si tratta di studi che aiutano le Istituzioni a tradurre in risposta “politica” le nostre osservazioni scientifiche: grazie alla microzonazione sismica, infatti, le Autorità sono in grado di individuare le aree in cui, dopo un terremoto, è possibile ricostruire con maggiore sicurezza rispetto al rischio sismico.
Da quanto tempo sei Coordinatore di EMERSITO?
Dal 2018. Prima di me questo ruolo è stato ricoperto dalla bravissima collega Giovanna Cultrera, che ha impostato un po’ tutta l’organizzazione base del Gruppo.
Cosa significa per te ricoprire questo incarico?
Professionalmente è molto importante: si tratta di un impegno quotidiano, anche quando non si è in emergenza. Oggi il Gruppo è molto più ampio di quanto non fosse in passato, quindi ho a che fare con tantissimi aspetti puramente gestionali che di fatto occupano gran parte del mio tempo.
Quanti colleghi fanno parte del tuo Gruppo?
Attualmente siamo 46: 45 colleghi dell’INGV e una nostra ex collega che oggi lavora presso l’Università di Chieti e Pescara ed è associata di ricerca con l’INGV. Quando abbiamo iniziato eravamo appena una ventina, negli ultimi tre anni ci siamo ‘ingranditi’ parecchio. I nostri afferenti fanno capo a tutte le Sezioni dell’Istituto e sono dislocati su diverse Sedi: questo è molto importante perché come Gruppo Operativo ci permette di operare più agevolmente su tutto il territorio nazionale.
Qual è stato, in questi anni, l’episodio professionale più importante, avvenuto nell’ambito delle attività di EMERSITO, che ti piacerebbe raccontare?
Il terremoto del Centro Italia del 2016 è stato sicuramente importantissimo, perché è stato un po’ il punto di svolta a seguito del quale si è affermata quell’ottica di servizio alla società, oltreché alla comunità scientifica, di cui parlavo poco fa.
Beh devo dire che ricordo con molto affetto le prime campagne e in particolare quelle che abbiamo fatto a Palermo, tra il 2002 e il 2003, quando ancora non eravamo ufficialmente EMERSITO. Era la prima volta che ci trovavamo a lavorare in una grande città, e nello specifico in una città particolare e piena di ‘contraddizioni’ come il capoluogo siciliano. Lavorare nei vicoli strettissimi di Palermo ha significato confrontarci anche con la solarità della gente del posto, che inizialmente ci osservava quasi con sospetto ma che poi ci avvicinava per domandarci cosa stessimo facendo e in cosa consistesse il nostro lavoro. Di quei giorni ricordo il sole meraviglioso della Sicilia e l’accento caratteristico dei palermitani: fu quasi una ‘vacanza’ lavorativa.
La campagna per te più importante, a livello personale?
Ne ho due. Una è quella di San Giuliano di Puglia, nel 2002, perché in quel caso intervenimmo dopo un paio di giorni dalla scossa principale: ricordo che partimmo da Roma di domenica, nel pomeriggio inoltrato, arrivando molto tardi alla tendopoli che era stata attrezzata dal DPC. Dopo una sosta andammo subito ad installare una stazione proprio davanti la scuola che, crollando, uccise 27 bambini e un’insegnante. Ovviamente le operazioni di soccorso erano già concluse ma queste cose ti toccano: nello svolgere il nostro lavoro a volte può sembrare che siamo fatti di ‘acciaio’, ma in realtà lavorare in un contesto dove è avvenuta una tragedia e il successivo contatto diretto con le persone che quella tragedia hanno subito, ha dei risvolti particolarmente emozionanti e umani. Ricordo anche che quella notte, a causa della scarsa organizzazione che eravamo riusciti a darci, dormimmo solo un paio d’ore in macchina per poi riprendere il lavoro la mattina.
L’altra campagna per me importante è stata quella de L’Aquila del 2009. Quel terremoto ce lo ricordiamo tutti, ha fatto purtroppo centinaia di vittime ed è stato uno spartiacque nella storia recente del nostro Paese. Anche in quel caso lavorare sul campo nelle ore e nei giorni immediatamente successivi alla scossa è stata davvero dura. Bisognava cercare di mettere da parte, anche se impossibile, le sensazioni date dalla devastazione che vedevamo intorno a noi e al tempo stesso dare il massimo per svolgere al meglio il nostro lavoro.
Sono state esperienze molto importanti a livello personale ma, devo dire, anche professionalmente.
In che modo i cambiamenti introdotti dall’emergenza Covid nelle tradizionali modalità di svolgimento del lavoro hanno influito sulla tua attività di ricercatore?
Le mie attività di ricercatore si possono dividere in due categorie: da un lato ci sono quelle di campagna, sul campo, dall’altro quelle “concettuali”, che normalmente si svolgono in ufficio, davanti a un PC. Tra queste, ad esempio, la gestione del Gruppo EMERSITO, l’analisi dei dati raccolti, la definizione e discussione dei risultati e infine la redazione delle pubblicazioni scientifiche. Per queste attività concettuali devo dire che dal mio punto di vista il Covid non ha cambiato molto le cose: certo, farle a casa e non nella tranquillità del proprio ufficio può essere complesso, dovendo conciliare il tutto con la gestione familiare… Ma tutto sommato devo dire che me la sono cavata.
Dove invece questa pandemia ha inciso veramente tanto è ovviamente sulle nostre attività di campagna: ci sono dei progetti sui quali stiamo lavorando che necessitano di esperimenti da svolgere all’aperto e in questo caso siamo stati costretti a ridurre di molto le nostre attività. Pur adottando sempre tutte le misure di sicurezza per scongiurare il rischio di contagio, personalmente ho rinunciato a diverse missioni che avrei potuto fare perché sento forte la responsabilità sia nei confronti della mia famiglia che dei miei genitori non più giovanissimi. Speriamo di ritornare a breve a una vita ‘normale’, ho grande fiducia nelle vaccinazioni.
Che sviluppi futuri sono in programma per il Gruppo EMERSITO?
Stiamo cercando di lavorare insieme agli altri Gruppi Operativi dell’Istituto per facilitare e rendere più fluide le operazioni che avvengono in emergenza, sviluppando dei protocolli e potenziando una catena di comando e di comunicazione che, passando naturalmente per il Presidente e il Direttore del Dipartimento Terremoti, renda sempre più efficiente ed efficace il lavoro di ognuno e l’organizzazione collettiva.
Come EMERSITO stiamo perfezionando alcuni aspetti, come il nostro sito web, online da qualche mese. Inoltre stiamo cercando di ottimizzare la strumentazione utilizzata e migliorare la gestione organizzativa interna delle fasi di ‘routine’ che avvengono durante un’emergenza (penso, ad esempio, a tutta la reportistica da fornire all’Unità di Crisi e al Dipartimento della Protezione Civile). Dobbiamo poi andare avanti con la formazione continua del personale del Gruppo, almeno quella parte maggiormente coinvolta nelle attività in campagna o nella gestione scientifica. Siamo in tanti e non tutti hanno alle spalle lo stesso background e il know-how richiesto. Nei tre anni in cui sono stato Coordinatore non abbiamo avuto per fortuna emergenze importanti, a parte quella di Ischia del 2017 sulla quale però hanno lavorato brillantemente solo alcuni colleghi: questo significa che ci è mancato un vero e proprio ‘banco di prova’ ed è proprio per questo che dobbiamo continuare a lavorare per farci trovare pronti quando ce ne sarà bisogno.
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