L’amore per la natura e la sensibilità ambientale, così come il forte senso di responsabilità, sono le caratteristiche che lo hanno da sempre contraddistinto, portandolo sino al Vertice dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Stiamo parlando del Presidente Stefano Laporta, anche Presidente della Consulta dei Presidenti degli Enti Pubblici di Ricerca. Abbiamo avuto il grande piacere di intervistarlo: per l’occasione ci ha parlato di ambiente, del Suo percorso personale e ci ha fornito preziosi spunti di riflessione alla luce dell’emergenza Covid19 che stiamo vivendo.
Oggi Lei è Presidente dell’Ispra e della Consulta dei Presidenti degli Enti Pubblici di Ricerca, ruoli carichi di responsabilità. Qual è il risultato che come Presidente vorrebbe fosse raggiunto?
L’ISPRA ha dei compiti disciplinati dalla legge e come Presidente mi auguro in primis di poter corrispondere a questi compiti, tra cui la tutela e il monitoraggio dell'ambiente in un'ottica orientata al futuro e alla custodia, come dice Papa Francesco, della nostra “casa comune”. Mettere a punto modelli di sostenibilità economica, sociale e culturale è un traguardo che la stessa Europa chiede venga raggiunto e l’obiettivo è quello di definire azioni propositive verso un nuovo sistema di sviluppo complessivo del Paese. Come Presidente della Consulta dei Presidenti degli Enti Pubblici di Ricerca posso dire che in questo periodo abbiamo condiviso un paio di obiettivi tra colleghi. Il primo, evidenziato anche durante l’emergenza Covid19 che stiamo vivendo, è collegato al ruolo fondamentale della ricerca scientifica che dovrà essere uno dei volani per la ripartenza del Paese. L'altro obiettivo è legato al ruolo che la ricerca può assumere in questo nuovo modello, maggiormente orientata verso le esigenze del sistema Paese. Si tratta di assumere un ruolo propositivo per dare un nostro contributo alla vita sociale e istituzionale anche in un contesto internazionale. L'emergenza sanitaria in atto, infatti, ci ha dimostrato l’importanza della collaborazione e della cooperazione internazionale. Bene, il campo della ricerca non ha i confini che invece sono presenti in ambito politico e questa è un'opportunità che bisogna saper cogliere.
Lei è originario di Lecce, romano d’adozione. Le risorse di una terra ricca come la Puglia hanno stimolato le Sue ricerche?
Direi di sì. Le caratteristiche di una terra come la Puglia hanno sicuramente stimolato in me una certa curiosità nei confronti dell’ambiente ma anche l’amore e la passione per il mare, così come per gli alberi e le campagne. Certo da ragazzo tutto mi aspettavo fuorché di arrivare alla presidenza dell'ISPRA, questo non l'avevo previsto. Sono molto fiero delle mie origini, il Salento è una terra caratterizzata da un tessuto umano e sociale contraddistinto dalla generosità e dall’apertura verso gli altri, oltre che da una certa attenzione nei confronti della natura che la circonda.
Quale persona è stata maggiormente determinante nel Suo percorso formativo o nella Sua carriera?
A dire il vero ho fatto tesoro di ogni esperienza: ogni persona con cui ho collaborato mi ha insegnato qualcosa quindi fare un nome sarebbe riduttivo. Da un punto di vista formativo, ecco, vorrei citare mio padre: lui mi ha inculcato questo senso di responsabilità nell’esercizio delle funzioni, una responsabilità singola ma anche collettiva e rivolta verso gli altri. Mio padre mi ha trasmesso con il suo esempio il valore dell’onestà... Questi sono preziosi insegnamenti che cerco di trasmettere anche ai colleghi sul lavoro.
Ha un aneddoto in particolare da raccontare relativo al Suo lavoro?
Di aneddoti ce ne sono tanti…iniziai la carriera come funzionario addetto all’area sicurezza e responsabile dell’ufficio provinciale di Protezione Civile nel 1994 e dovetti, appena entrato nel mondo del lavoro, confrontarmi con una esperienza importante. Quell’autunno una disastrosa alluvione colpì alcune regioni e ci fu l’inondazione dei principali corsi italiani; le conseguenze furono tragiche e mi trovai subito in trincea. Al tempo lavoravo in provincia di Pavia, gestivo il Centro Operativo Misto di uno dei comuni più colpiti della zona, San Zenone al Po. Quando le acque finalmente si ritirarono e riuscimmo a superare l’emergenza, l’abbraccio del sindaco e dei cittadini che mi avevano visto lavorare al loro fianco tanti giorni e tante notti è una delle cose che mi porto dentro, sotto il profilo personale e anche professionale. Ricordo poi la telefonata che ebbi con l’allora Capo della Protezione Civile, adesso Capo della Polizia, Franco Gabrielli quell’11 gennaio del 2012. Era il giorno dell’incidente della Concordia, non volevo crederci, gli chiesi se fosse tutto vero. Egli rispose di sì e che c’erano delle vittime. Da quel momento partirono le varie operazioni, tra cui quella successiva di rimozione e di corretto smaltimento del relitto. La tragedia fu immane e anche la rimozione della nave con il trasporto presso il porto di Genova per il corretto smaltimento è stata una operazione molto complessa dal punto di vista tecnico, senza precedenti. Impossibile poi dimenticare i lavori condotti a seguito del terremoto del 2016, quando ci riunimmo con l’INGV e gli altri enti di ricerca per gestire le conseguenze del sisma. Di esperienze e aneddoti ce ne sono tanti ma un aspetto molto forte, sempre presente, riguarda i rapporti umani. Quando si lavora in emergenza, infatti, si creano sempre delle relazioni che restano per sempre, anche se la vita poi ti porta altrove.
Secondo Lei quali sono le maggiori criticità ambientali in Italia?
Sicuramente esistono delle criticità legate ad alcuni fattori naturali: siamo una nazione particolarmente esposta a rischi come terremoti, frane, alluvioni. Il nostro territorio è fortemente antropizzato e connotato da edifici storici e monumenti e questo particolare aspetto rende difficile l'attuazione di interventi correttivi. Ci sono poi criticità ambientali che derivano da un sistema industriale che, anche se ha fatto molti passi avanti, denota ancora una certa difficoltà nell’ammodernamento e quindi sussistono ancora situazioni che potrebbero essere migliorate. A questo proposito mi auguro che l’emergenza che stiamo vivendo possa portare a un cambiamento complessivo nella parte sociale, produttiva ed economica del Paese. Esistono però anche delle criticità storiche, come quelle legate alla gestione complessiva del ciclo dei rifiuti dove dobbiamo migliorare per il trattamento degli scarti sia urbani sia speciali. Anche rispetto al tema dell’inquinamento dell’aria si può fare di più, così come per la tutela dell'ambiente marino: l'Italia è una penisola, è circondata dal mare e dobbiamo averne cura. La scommessa, comunque, anche con altri centri di competenza come l’INGV, è sulla prevenzione, programmazione e gestione delle emergenze. Questo è un altro passaggio importante: nessuno può dire che non si verificheranno più nel nostro Paese terremoti, alluvioni o frane ma proprio lavorando sulla prevenzione è possibile minimizzare le conseguenze dei disastri naturali.
Il lockdown ha fatto ricordare e toccare con mano che la terra e il mare quando non antropizzati riprendono i loro colori e i loro abitanti naturali, anche in poco tempo. Possiamo trarne insegnamenti utili per il nostro futuro prossimo? Gli scienziati potranno proporre soluzioni ecocompatibili avendo uno strumento in più: l’aver dimostrato de visu a tutti cosa significa rispettare l’ambiente?
Io penso che ogni situazione tragica della vita possa poi mostrare un qualche lato positivo. Stiamo studiando la situazione ambientale di queste settimane, ci sono vari aspetti che stiamo indagando e sappiamo che oggi abbiamo, in generale, una qualità dell'aria migliore rispetto a quella di gennaio. Stiamo anche studiando la qualità delle acque marine e dei corsi d'acqua e in molti ci stiamo accorgendo di quello che sta accadendo. Recentemente, per esempio, sono stati avvistati i delfini nei porti. Credo che questa emergenza abbia fatto emergere, tra le altre cose, quanto è necessario tutelare l'ambiente poiché un ambiente sano è un fattore determinante per una buona qualità della vita umana. Un aspetto decisivo sarà quello di cercare durante la ripresa, che mi auguro avvenga il prima possibile, di mantenere i buoni livelli raggiunti. Ecco, questa situazione di emergenza ci ha fatto sperimentare in maniera rapidissima soluzioni alternative, anche attraverso forme diverse di organizzazione della vita personale, sociale e lavorativa. Queste possono avere degli effetti positivi sull'ambiente, pensiamo alle forme di lavoro a distanza che stiamo adottando in questo periodo e alle ripercussioni che queste forme di organizzazione hanno sull’inquinamento e sulla qualità dell’aria. Stiamo lavorando anche a un altro aspetto: questa emergenza ha stimolato ancora di più la collaborazione inter - ente, cioè tra enti di ricerca. In questo senso stiamo mettendo a punto dei progetti condivisi. Esistono strette relazioni tra settori di studio e competenze e la sostenibilità sarà la traccia comune, il filo rosso che collegherà tutti i campi di attività. Questa condivisione oggi esiste anche in campo politico… credo che tutte le soluzioni che verranno messe in campo dovranno, in qualche modo, avere un margine di eco compatibilità.
I casi di danno ambientale in Italia sono numerosi: durante il coronavirus sono usati su larga scala, dalle forze dell’ordine, i droni. Le nuove tecnologie potrebbero essere utilizzate in maniera massiva anche per combattere i reati ecologici?
La risposta è senz’altro positiva, abbiamo già condotto alcune sperimentazioni sul territorio nazionale anche attraverso la tecnologia satellitare: oggi siamo in grado di verificare per ogni impianto di rifiuti le quantità presenti discriminando, per esempio, la tipologia di materiale. Strumenti come i droni sono utili per monitorare l’ambiente anche in un'ottica di repressione dei reati ma bisogna tener conto del fatto che si tratta di strumenti che si stanno ancora perfezionando e che l'utilizzo dei droni comporta l’adozione di tutte le accortezze del caso relativamente ad aspetti specifici quali, per esempio, la tutela della privacy delle persone.
Che ne pensa del principio “chi contamina paga”?
È un principio giusto, introdotto dall'Unione Europea qualche anno fa, che stimola un processo di responsabilità individuale rispetto alle azioni che danneggiano l'ambiente. Tuttavia l'applicazione pratica di questo principio ha dimostrato dei limiti e bisogna lavorare affinché vengano definiti aspetti specifici che lo rendano pienamente attuabile.
Qual è secondo Lei il livello di sensibilità ambientale in Italia?
Il livello di sensibilità ambientale in Italia è buono ed è aumentato nel corso degli anni. È sempre più chiaro quanto sia importante l'ambiente sia in quanto bene da custodire sia come elemento di qualità della vita: non dobbiamo contaminare il Pianeta e quello che abbiamo ricevuto perché in realtà noi la terra l'abbiamo solo “in affitto”. Credo che la consapevolezza sia aumentata anche guardando all’importante balzo in avanti che è stato fatto nella differenziazione dei rifiuti. Ci sono politiche e impianti predisposti ma tutto sta nelle mani del cittadino che conferisce gli scarti. Senza la sensibilità individuale non si sarebbero mai potuti ottenere certi risultati. Tuttavia credo che ulteriori sforzi siano necessari per raggiungere una maggiore consapevolezza e conoscenza delle tematiche ambientali, qui ci viene incontro il settore della comunicazione. Questa, infatti, permette di stabilire un legame diretto con i cittadini che sono i destinatari finali della nostra azione, in quanto enti pubblici.
La gestione dei rifiuti in Italia è un problema noto. Nella maggior parte dei casi il cittadino rappresenta la parte finale di una rete dove il prodotto, o parte di esso, diventa rifiuto. Questo scarto però ha un costo sia economico che ambientale, pensiamo agli imballaggi che buttiamo immediatamente dopo gli acquisti. Cosa può essere fatto per incentivare le aziende a utilizzare imballaggi sostenibili?
Gli imballaggi dovrebbero rispondere al criterio di sostenibilità e gli aspetti più problematici sono relativi alle quantità, alle caratteristiche e alla loro successiva gestione. Per agire efficacemente tre sarebbero le grandi tematiche da sviluppare: una è relativa ad una maggiore semplificazione sia normativa sia amministrativa, le aziende risentono di questo fardello che incide sulla loro attività, in alcuni casi tanto quanto il fattore economico. In secondo luogo bisogna creare un circuito di gestione dello scarto che possa garantire una chiusura del ciclo, anche attraverso la realizzazione di strutture apposite dove gli imballaggi possano essere trattati per essere reimmessi sul mercato. Infine bisogna aumentare le percentuali di riciclo degli imballaggi che accompagnano i prodotti e che, in molti casi, derivano anche da normative di carattere sanitario condivise a livello comunitario.
Quanto è importante secondo Lei la ricerca scientifica in questo senso?
La ricerca scientifica è fondamentale, non solo in questo senso. Soprattutto in questo particolare momento essa rappresenta l’unica fonte di informazioni certe da comunicare ai cittadini su quelli che sono i comportamenti corretti da tenere. Inoltre la ricerca scientifica, a mio parere, è importantissima perché può essere d’ispirazione per il mondo imprenditoriale e produttivo della nazione.
Cosa pensa della “generazione Greta”? Secondo lei, oltre “Greta”, c’è un messaggio forte da indirizzare alle nuove generazioni per aumentare la loro consapevolezza attuale e futura sull’importanza di un corretto rapporto con l’ambiente?
Ho un’ottima opinione di questa generazione, i giovani in questo periodo hanno avuto il merito di smuovere le coscienze rispetto al tema della tutela ambientale. La discussione sul tema era già aperta, i cambiamenti climatici e i danni ambientali sono sotto gli occhi di tutti, ma forse non ne era stata compresa l’urgenza, il fatto che un cambio non fosse più procrastinabile. Secondo me questo movimento da parte dei ragazzi è stato assolutamente positivo. Ho inoltre un’altra considerazione da fare. Personalmente mi piace vedere i giovani manifestare per un ideale, scendere in piazza per chiedere un cambio di direzione globale non solo per una migliore qualità della loro vita ma anche per un’etica della responsabilità tra generazioni. Un messaggio da dare ai ragazzi può essere quello di vivere e agire sempre in questa ottica di responsabilità, di considerare sempre l'altro evitando derive individualiste. Su questi temi i ragazzi sono molto sensibili e ciò è molto importante anche alla luce dell’emergenza che stiamo vivendo con il Covid19, dove il confine tra comportamenti singoli e responsabilità collettive conseguenti può essere molto sottile. In questa emergenza ciascuno di noi è diventato una potenziale arma nei confronti dell'altro, questo è un dato su cui ho riflettuto molto in queste settimane e sul quale ho cercato un confronto con mio figlio, che ha quasi 17 anni. Solo attraverso un forte senso di responsabilità collettiva possiamo venirne fuori.
Oggi c’è molta confusione tra informazioni verificate che hanno un fondamento scientifico e le cosiddette “fake news”. Nel caso delle tematiche ambientali, quanto è presente secondo lei questo fenomeno? Cosa si può fare per combatterlo?
Nel 2017 quando ha avuto inizio il mio mandato da Presidente dell’ISPRA ho voluto che venisse condotta un'indagine nel settore stampa e comunicazione e presto ci siamo resi conto che era presente sui social una notevole mole di informazioni scientificamente non validate o che suggerivano comportamenti totalmente sbagliati, a volte mettendo in discussione tesi validate. Credo che il fenomeno delle fake news vada inquadrato in un’ottica generale e, anche in questo caso, l’emergenza Covid19 ha evidenziato alcuni aspetti del problema. Per un certo periodo è accaduto che qualcuno ha pensato che le competenze acquisite dopo anni di studio e lavoro potessero essere sostituite da qualche click sulla tastiera. Esprimere il proprio parere è giusto e costituzionalmente garantito, bisogna però stare molto attenti quando si dà a queste opinioni una valenza di verità, contraddicendo o smentendo i risultati raggiunti dalla comunità scientifica. Ecco, questo fenomeno era molto presente rispetto ai temi ambientali e quello che abbiamo fatto per combattere le fake news è stato investire massicciamente nella comunicazione. Secondo me le linee di azione da seguire per far fronte al problema sono tre. In primo luogo dobbiamo continuare a produrre dati che siano scientificamente e tecnicamente validati. Bisogna poi saper comunicare questi dati: la comunicazione scientifica è stata a lungo sottovalutata mentre è una componente fondamentale della nostra attività, se i nostri studi restano nel cassetto o sono divulgati solo tra addetti ai lavori si lascia campo libero a fonti non accreditate. Bisogna porre attenzione al come questi dati vengono comunicati ai cittadini, fare in modo che tutti possano capire quelli che sono i risultati delle nostre ricerche. Infine è necessario aprirsi ai social media e sfruttare le potenzialità delle nuove tecnologie: come Vertice dell’ISPRA ho voluto che fossero creati i profili social Twitter e Facebook dell'Istituto e in poco più di due anni abbiamo superato gli 80.000 follower, numero niente affatto banale per un ente scientifico, indice del bisogno, da parte degli utenti, di avere informazioni corrette e autorevoli. Per concludere, al fenomeno delle fake news bisogna rispondere con strategie di comunicazione ben definite, messe a punto partendo dal profilo dei nostri interlocutori e con un’azione a 360° che coinvolga il personale interno e i ricercatori degli enti e delle organizzazioni scientifiche. Non è più possibile sottovalutare l’importanza strategica della comunicazione!