È il 20 febbraio 1743. Tre scosse fanno tremare il Salento: crollano palazzi e chiese e si verifica persino uno tsunami. Di questo terremoto, dei suoi “segni” ed effetti sul territorio, ancora oggi visibili, ne abbiamo parlato con Rosa Nappi, ricercatrice dell’INGV, che ci ha raccontato gli avvenimenti di quel giorno.
Alcuni pensano, erroneamente, che l’area del Salento sia asismica. Per quale ragione si è diffusa questa convinzione?
Perché il Salento, ovvero la zona meridionale della Puglia, rappresenta l'area esterna della Catena appenninica chiamata Avampaese Apulo. Questa è una zona maggiormente stabile, dove la deformazione è minima, a differenza di quella dell'Appennino dove invece si verificano forti terremoti. Il fatto che nell’area dell’Avampaese Apulo i forti eventi sismici, nel tempo, siano stati pochi contribuisce alla erronea convinzione che il Salento sia asismico. Non dobbiamo dimenticare, però, che la pericolosità sismica di quest’area è legata anche agli eventi sismici che avvengono nel mar Ionio, quindi in Grecia e nell’Arco ellenico, e nel settore orientale del mare Adriatico (Albania), di cui il Salento risente fortemente.
Alcune informazioni sui terremoti avvenuti nel Salento ci arrivano dalle cronache del tempo. È il caso del sisma avvenuto il 20 febbraio 1743. Cosa accadde esattamente in quella data?
Per la ricostruzione dettagliata di un terremoto è molto importante consultare le fonti storiche, in particolare quelle coeve all'evento sismico. Una volta che queste fonti vengono raccolte e analizzate criticamente si cerca di verificare l'attendibilità del dato per contestualizzare il momento storico in cui il terremoto è avvenuto.
Dall’analisi delle cronache di quei giorni è stato possibile stabilire che il 20 febbraio del 1743 alle 23:30 italiane, allora le ore si contavano a partire dal tramonto e l’orario quindi corrisponde alle 16:30 GMT riferite al meridiano di Greenwich, avvenne un forte terremoto che colpì la Puglia meridionale. L’evento venne avvertito in tutta Italia e provocò la morte di 180 persone, di cui 150 solo a Nardò, dove i danni furono consistenti, con un danneggiamento del IX grado della Scala macrosismica Mercalli-Cancani-Sieberg MCS.
Quali sono le fonti arrivate fino a noi?
Le fonti storiche coeve costituiscono una base essenziale per la ricostruzione di un terremoto, e sono quelle che vengono raccolte e inserite nei cataloghi storici. Le fonti consultabili possono essere di vario tipo, a partire da quelle archivistiche quali le testimonianze dirette dell'evento, ma anche elaborati storici e scientifici più recenti. Per il terremoto del 1743, abbiamo consultato una grande mole di dati, in particolare quelli conservati presso gli archivi di Stato di Brindisi, Lecce, Napoli, presso gli archivi notarili ecclesiastici e presso la biblioteca arcivescovile di Brindisi.
Un’altra preziosa fonte è rappresentata dalle iconografie, come i quadri. Nella chiesa di Lecce di Santa Croce, per esempio, c'è un quadro di Sant'Oronzo con una bella scritta in lingua “Foi s[antu] Ronzu ci ni leberau / de lu gra terramotu, ci faciu / a binti de frebaru, tremulau, / la cetate nu piezzu, e no cadiu. / Iddu, iddu de celu la guardau, / e nuddu de la gente nde patiu / è rande santu!, ma de li santuni / face razie, e meraculi a migliuni //1743” che tradotta in italiano dice “Lì ci fu Sant'Oronzo che ci liberò dal grande terremoto che avvenne il 20 febbraio; tremò la città per un pezzo e non crollò; egli dal cielo la guardò e nessuno del Popolo patì. È un grande santo, anzi dei Santoni, fa grazie e miracoli a milioni.
Dove fu avvertito e fino a dove si estesero i danni provocati dall’evento sismico?
Il terremoto fece registrare il massimo danneggiamento nel Salento ma venne avvertito in tutta la Puglia, provocando crolli di case e chiese a Brindisi e a Lecce, e in tutta Italia. A sud da Napoli a Matera fino Reggio Calabria e Messina ma si percepì anche in Italia centrale e settentrionale fino ad arrivare a Trento e Udine. Sempre dalle cronache storiche è stato possibile apprendere che il terremoto fu avvertito in gran parte del Mediterraneo Occidentale, nel mar Ionio e nel mar Adriatico, provocando danni lungo le coste della Grecia, in Albania e anche a Malta.
A quel terremoto seguì un maremoto. Come andarono i fatti?
Il terremoto non provoca solo danni a persone e al patrimonio architettonico ma può provocare degli effetti anche sull’ambiente naturale, utili a fornire indicazioni sulla rottura della faglia e sulla sorgente dell’evento sismico. Sono detti effetti primari quelli visibili a occhio nudo come le fagliazioni superficiali rappresentate dalle spaccature del terreno. Tra gli effetti secondari, il maremoto rappresenta quello più temuto. Gli altri effetti secondari sono le frane, le variazioni idrologiche e i fenomeni di liquefazione del terreno. Gli effetti sull’ambiente naturale provocati da questo terremoto sono stati perlopiù secondari e il più rilevante è lo tsunami i cui effetti sono stati ritrovati lungo la costa salentina come riportato dalle fonti storiche consultate.
A queste vanno sommate le osservazioni geomorfologiche pubblicate recentemente da alcuni Autori che hanno rilevato la presenza grandi massi accumulati ("Boulders") e allineati lungo le coste a Torre Sasso, a Torre Santa Sabina e Torre S. Emiliano tra Leuca e Otranto, ascrivibili allo tsunami avvenuto nel 1743.
Di che tipo di evento sismico si è trattato?
Si è trattato di evento sismico molto complesso percepito come una sequenza di tre violente scosse iniziate alle 23:30 e terminate alle 23:45 (che corrispondono alle 16:30 - 16:45 se ci riferiamo al meridiano di Greenwich).
Probabilmente è avvenuta l'attivazione di diversi segmenti di faglia e secondo i nostri studi l’epicentro di questo evento è a mare, nel Canale d'Otranto.
Anche altri studi successivi al nostro, di geofisica a mare, hanno evidenziato la presenza di un sistema di faglie attivo nel Canale d’Otranto, probabile responsabile del terremoto del 1743. Ciò confermerebbe quanto da noi ipotizzato sulla base dei dati storici.
Cosa ci dicono le analisi storiche e strumentali sul Salento?
Nella nostra analisi critica della sismicità del Salento abbiamo visto che sono avvenuti 13 terremoti di magnitudo compresa tra 3 e 5 nel ventesimo secolo, precedentemente c’è stato un evento sismico nel 1826 a Manduria. La sismicità strumentale registrata dagli anni Settanta a oggi mostra un'attività intensa sia ad ovest della penisola salentina, nel Golfo di Taranto, sia nel Canale d'Otranto. Gli eventi più energetici sono avvenuti a Taranto, in particolare quello del 7 maggio del 1983 e quello del 23 settembre del 2001, di magnitudo M=5. Nel Canale d'Otranto nel 1974 e nel 1976 si sono verificate delle sequenze sismiche proprio nell'area epicentrale del terremoto del 1743 con eventi di magnitudo fino a 5, come per il terremoto del 20 ottobre 1974.
Bisogna sottolineare un aspetto molto importante: il Salento risente della sismicità delle aree sismogenetiche circostanti come quella del promontorio del Gargano, dell'Appennino meridionale, dell'arco Calabro ma anche della penisola balcanica, della Grecia e dell’Albania, e che potrebbe essere anche interessato da maremoti dovuti agli eventi sismici con epicentri in queste aree.
In particolare il Salento dista meno di 100 km da Grecia e Albania che sono tra le aree più sismiche del Mediterraneo e i cui terremoti sono fortemente avvertiti in Salento come, per esempio, il terremoto del 10 ottobre del 1858 avvenuto in Albania che provocò gravi danni alla cattedrale di Brindisi. Più recentemente, il terremoto di Cefalonia (Grecia) del 17 novembre 2015 (M 6.5) ha causato rilevanti effetti in Italia con la registrazione di un’onda anomala sulle coste della Calabria ionica e della Puglia meridionale. Analoghe piccole onde di tsunami sono state rilevate sulle coste ioniche in occasione del terremoto di Zacinto dell’ottobre 2018.
Per concludere, cosa ci insegna questo terremoto?
Questo terremoto ci ha insegnato che la penisola salentina non deve essere considerata a bassa pericolosità perché eventi sismici nel passato sono stati registrati. Soprattutto bisogna ribadire che il Salento risente in maniera molto forte degli effetti dei terremoti con epicentri lontani (Grecia, Albania, Gargano) e quindi non è da escludere che possano verificarsi maremoti lungo questa costa, come è avvenuto nel passato, ma anche più recentemente.
È necessario tenere conto di quanto abbiamo appreso dal nostro studio e bisogna lavorare affinché aumenti la consapevolezza della pericolosità e del rischio sismico della penisola salentina.
Come ultima cosa, ma sicuramente non meno importante, direi che lo studio di questo terremoto è un esempio di approccio multidisciplinare, dovuto all’ interazione di più ricercatori con competenze diversificate finalizzate alla comprensione di fenomeni complessi. Se non si fa squadra i risultati e gli obiettivi non si raggiungono, questo è il mio motto.
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