Un’oasi verde a pochi chilometri da Roma, addormentata placidamente tra le rigogliose distese di castagni, tigli, noccioli e aceri e la quiete delle acque limpide dei laghi. I Colli Albani rappresentano un’area particolarmente suggestiva, da sempre di grande interesse e dotata di grande forza attrattiva per gli abitanti della città eterna, come testimoniano le magnificenti dimore papali e gentilizie che ne dominano il paesaggio urbano. Tra queste come non citare Palazzo Chigi ad Ariccia, progettato da Gian Lorenzo Bernini e Carlo Fontana, e Villa Aldobrandini a Frascati, costruita tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo per l’omonimo cardinale, nipote di Papa Clemente VIII.
Ma la florida bellezza dei Colli Albani ha un’origine ben precisa, che affonda le sue radici tra lava, cenere e lapilli. Quest’area, infatti, è in realtà una delle più importanti aree vulcaniche dell’Italia centrale, con un passato antichissimo e peculiare che ne ha determinato storia e fortune.
Oggi la zona dei Colli Albani è densamente popolata e richiama turisti dalla Capitale per una gita fuori porta all’insegna del verde, della cultura e del relax. Per i ricercatori dell’INGV, però, continua a rappresentare anche un prezioso laboratorio a cielo aperto per la ricerca geologica e vulcanologica.
Ne abbiamo parlato con Maria Luisa Carapezza, primo ricercatore e vulcanologa dell’Istituto che, dopo anni di studio e ricerca sui vulcani siciliani, è approdata a Roma appassionandosi proprio al complesso vulcanico dei Colli Albani. Con lei abbiamo ripercorso la storia eruttiva di questa particolare area, approfondendo le attività di ricerca e monitoraggio che l’INGV porta avanti in questo settore del Lazio.
Marisa, cosa si intende per Vulcano Laziale e che relazione ha con i Colli Albani?
Colli Albani è il nome dell’intero complesso vulcanico, mentre Vulcano Laziale è il nome del vulcano primordiale, il centro eruttivo più antico. La sua attività è iniziata circa 600.000 anni fa ed è proseguita fino a circa 355.000 anni fa.
Che tipo di struttura evidenziano i Colli Albani?
Iniziamo col dire che si tratta di uno strato-vulcano complesso, ovvero una struttura in cui la posizione del centro eruttivo è migrata nel corso del tempo.
Le eruzioni principali del Vulcano Laziale sono state di natura ignimbritica (vale a dire emissioni di colate piroclastiche con grande velocità di avanzamento) che, nell’insieme, coprono una superficie di 1.600 km2. Le principali eruzioni ignimbritiche hanno causato dei collassi calderici, ovvero degli sprofondamenti della sommità del vulcano dovuti allo svuotamento del sottostante serbatoio magmatico a seguito dell’eruzione. Il più recente collasso calderico è stato causato dall’eruzione ignimbritica di Villa Senni (355.000 anni fa, con 39 km3 di materiale emesso) e ha lasciato una depressione calderica di 8 km2.
L’attività successiva è quella del vulcano delle Faete (iniziata circa 355.000 anni fa e terminata circa 250.000 anni fa) che ha progressivamente riempito la depressione calderica. Contemporaneamente e successivamente (fino a 180.000 anni fa) sono avvenute deboli eruzioni esplosive con emissione di cenere da coni monogenici ed emissioni di colate laviche da fratture peri- ed extra-caldera che hanno formato allineamenti di centri eruttivi concentrici alla caldera.
La fase più recente dell’attività è stata, infine, di tipo freatomagmatico, caratterizzata quindi dall’interazione esplosiva del magma con acqua esterna, sia sotterranea che lacustre. Si sono formati alcuni “maar” (larghi laghi craterici) e coni di tufo: nel suo insieme, quest’area è oggi nota come “il campo di maar di via dei Laghi”. Il lago Albano è il più recente di questi maar e presenta, sui suoi fondali, cinque crateri allineati che hanno alimentato tutte le eruzioni più recenti.
Va tuttavia segnalato che, nel corso del tempo, si è riscontrata una forte diminuzione, di vari ordini di grandezza, del volume dei prodotti eruttati.
Qual è la causa della formazione dei Colli Albani?
I Colli Albani fanno parte della cosiddetta Provincia Comagmatica Romana formata da numerosi vulcani con magmi alcalino-potassici che si estendono dal Vesuvio, a sud, ai Monti Vulsini, a nord, e che si sono formati nel corso dell’ultimo milione di anni. Questi vulcani si sono generati per la subduzione della Placca Adria al di sotto della Placca Euroasiatica. La peculiarità di questi vulcani è che, invece della consueta composizione calco-alcalina caratteristica dei magmi delle zone di subduzione, i loro magmi sono alcalino-potassici. Questa particolare composizione chimica è attribuita a una complessità di fenomeni che vanno dalla subduzione di crosta continentale (e non solo oceanica) a processi di contaminazione del magma con le rocce carbonatiche incassanti.
Come già detto, appartengono a questa categoria di vulcani il Vesuvio, i Campi Flegrei e Ischia in Campania, e i Colli Albani, i Monti Sabatini, Cimini e Vulsini nel Lazio. I vulcani napoletani sono tutti ancora attivi, dei vulcani laziali è attivo solo il vulcano dei Colli Albani.
A quando risale l’ultima eruzione dei Colli Albani e qual è il suo stato attuale?
Esiste una controversia scientifica relativamente all’eruzione più recente dei Colli Albani. Secondo alcuni sarebbe avvenuta 36.000 anni fa; secondo altri sarebbe invece più recente, intorno a 5.000-6.000 anni fa.
In ogni caso tutti gli studiosi sono concordi nel considerare i Colli Albani un vulcano non estinto ma quiescente, cioè ancora in grado di produrre una nuova eruzione. Questo si basa sulla constatazione che il tempo intercorso dalla sua ultima eruzione (anche qualora risalisse a 36.000 anni fa) è più breve della durata media degli intervalli di riposo registrati nella sua storia eruttiva passata. Questo implica un rilevante pericolo potenziale per la zona densamente abitata intorno al vulcano, fino alla periferia di Roma.
Che tipo di vulcanismo lo ha caratterizzato storicamente?
Poco fa abbiamo raccontato e ripercorso a grandi linee un po’ tutta la storia eruttiva dei Colli Albani. Non ci sono, tuttavia, episodi eruttivi descritti storicamente, a parte qualche pericolosa colata di fango causata dall’esondazione del lago Albano che avrebbe portato, nel IV secolo a.C., alla realizzazione dell’emissario allo scopo di mantenere il livello del lago al di sotto della soglia di esondazione. Questa opera è il primo intervento al mondo per la prevenzione del rischio vulcanico ed è, almeno in parte, ancora efficiente.
Sono presenti, ad oggi, delle residue manifestazioni riconducibili ad attività vulcanica?
La transizione da una fase di riposo a una eruttiva di un vulcano implica, in generale, una risalita del magma verso la superficie che dà luogo a vari fenomeni, detti anche “precursori”. Tra questi ve ne sono tre principali, ovvero la sismicità anomala, prodotta dalla fratturazione delle rocce profonde sotto la spinta del magma; le deformazioni del suolo, in particolare il sollevamento anomalo dell’edificio vulcanico, anche questo causato dalla spinta del magma; e l’aumento del flusso di gas con cambiamenti nella sua composizione chimica e isotopica, che indicano un crescente contributo di gas di origine magmatica. Questi fenomeni possono verificarsi anche durante momenti di “crisi” del vulcano senza che necessariamente vi sia la transizione verso un’eruzione.
Ai Colli Albani avvengono fenomeni anomali di questo tipo che ne confermano lo stato quiescente e non estinto. Possiamo citare, ad esempio, la crisi sismica del 1989-1990 con numerosi terremoti, cinque dei quali con magnitudo maggiore o uguale a 4, con ipocentri di pochi chilometri ed epicentri centrati per lo più sui crateri più recenti; il sollevamento anomalo del vulcano che perdura da vari decenni; l’emissione di gas con composizione isotopica che ne indica l’origine magmatica.
Ricordiamo anche che nei Colli Albani non vi sono fumarole; tuttavia alcune zone (ad esempio Cava dei Selci e Solforata) sono sede di una vistosa attività di rilascio di gas (prevalentemente anidride carbonica, con una significativa quantità di idrogeno solforato) sia da piccole fratture che in modo diffuso dal suolo. Anche sul fondo del lago craterico di Albano si rilevano emissioni di gas magmatici.
Quali sono le principali attività di ricerca e monitoraggio che l’INGV svolge ai Colli Albani?
L’INGV svolge, anche per conto del Dipartimento nazionale della Protezione Civile, un’intensa attività di monitoraggio dei Colli Albani.
Per quanto riguarda il monitoraggio sismico, in particolare, l’INGV si avvale, oltre che delle stazioni della rete sismica nazionale, anche di una rete sismica locale che consente di registrare al meglio gli eventi sismici anche di piccola energia e di seguirne l’evoluzione nel tempo.
Per il controllo delle deformazioni del suolo, vale a dire per il monitoraggio geodetico di quel territorio, l’INGV ha sviluppato e mantiene una rete in continuo di sette stazioni GPS. Questa rete e il suo inserimento all’interno della rete RING (ovvero la Rete Integrata Nazionale GPS dell’Istituto) offrono l’opportunità di rilevare i movimenti locali del vulcano e di inserirli nel contesto geodinamico caratteristico dell’area. I movimenti del suolo nell’area vulcanica vengono controllati anche attraverso le analisi di immagini satellitari (SAR).
A proposito del monitoraggio geochimico, infine, il principale sito di osservazione è Cava dei Selci, una frazione di Marino dove dal 2000 il flusso di CO2 dal suolo viene monitorato con una stazione in continuo e attraverso campagne periodiche; di recente hanno iniziato ad essere monitorati in continuo anche l’attività di radon nel suolo e la temperatura e il livello della falda idrica locale. Il secondo sito monitorato è il Lago Albano, dove vengono svolte campagne periodiche per il controllo delle caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua e per la campionatura e l’analisi del gas disciolto.
Va sottolineato che ognuno di questi aspetti del monitoraggio è complementare all’altro e la variazione simultanea di questi parametri ci rivela che è in atto una possibile riattivazione del vulcano. Per questo è molto importante che queste reti di monitoraggio esistano, che siano tenute in efficienza e che i dati raccolti vengano processati e studiati costantemente. La quiescenza di un vulcano può essere anche molto lunga ma le serie temporali dei dati raccolti sono preziose per riconoscere l’insorgere di una condizione anomala del vulcano stesso.
Oltre alle attività di ricerca direttamente connesse al monitoraggio, poi, varie ricerche sono state condotte sui Colli Albani nel corso degli anni dall’INGV e dalle Università romane. Queste hanno riguardato, in particolare, il raffinamento della storia eruttiva del vulcano grazie anche a nuove datazioni radiometriche e lo studio delle caratteristiche petrologiche e geochimiche mirato alla comprensione della genesi dei magmi.
Qual è, per te, l’aspetto scientificamente più interessante del lavoro e della ricerca in questa zona?
Senza dubbio la prima considerazione da fare è che stiamo parlando di un vulcano attivo, sebbene quiescente, sito alle porte di una metropoli come Roma. Una nuova eruzione dei Colli Albani, considerato anche il suo carattere esplosivo, avrebbe un forte impatto su un’area densamente popolata. Contribuire a studiare e monitorare questo vulcano è quindi estremamente utile e importante e questa è la ragione per la quale, fin dal 2000, è stato promosso il suo monitoraggio geochimico.
Dal mio punto di vista, uno degli aspetti più interessanti riguarda la pericolosità delle emissioni gassose. La zona di Cava dei Selci è andata emergendo nel corso degli anni come una delle zone più pericolose al mondo per l’emissione di gas endogeno di origine magmatica. Basti ricordare la morte nel 1999 di ben 29 mucche che si stavano abbeverando alla pozza d’acqua presente nella manifestazione, seguita, l’anno dopo, da quella di una decina di pecore per la stessa ragione. Nel 2001 perfino un uomo ha perso la vita poco distante dalla manifestazione, sempre a causa del gas. Intorno alla manifestazione sorgono, peraltro, numerose abitazioni, alcune delle quali caratterizzate da una concentrazione anomala di gas al loro interno che crea condizioni di pericolosità tali che tre di esse hanno dovuto essere permanentemente evacuate.
Un altro fenomeno pericoloso dei Colli Albani - e in particolare di Cava dei Selci - è l’emissione improvvisa (“blowout”) di gas da pozzi perforati anche a piccola profondità (circa 10-15 metri). Quattro blowout sono avvenuti vicino Cava dei Selci nel 2008, un altro era avvenuto nel 1986 a un pozzo Enel sul versante sud-occidentale del vulcano e, nei primi anni 2000, anche un pozzo di ricerca perforato dall’INGV a Santa Maria delle Mole, sempre vicino Cava dei Selci, ha generato un blowout di gas. Infine, anche sul versante nord-occidentale dei Colli Albani, all’interno del Comune di Roma, vi è una zona particolarmente esposta a questo pericolo: quattro blowout vi sono avvenuti tra il 2003 e il 2016, l’ultimo dei quali in prossimità della Via Anagnina. Negli ultimi anni tre blowout sono stati registrati anche a Fiumicino.
Questi fenomeni si producono quando un pozzo raggiunge un livello acquifero, confinato al di sotto di una cappa di rocce impermeabili, che è stato pressurizzato da gas risalito da fratture profonde. L’emissione diretta del gas dal pozzo comporta spesso la morte di animali di varia taglia; inoltre il gas, per diffusione nel suolo circostante il pozzo, può raggiungere le case più vicine creandovi condizioni pericolose: basti pensare che, infatti, in quasi tutti gli incidenti sopra menzionati è stato necessario evacuare a lungo gli abitanti delle abitazioni vicine.
Il nostro gruppo di ricerca INGV ha studiato tutti questi incidenti dal punto di vista geochimico, ne ha valutato la pericolosità, monitorato l’evoluzione nel tempo e controllato l’efficacia delle operazioni di cementazione dei pozzi, acquisendo quindi una preziosa esperienza specifica su un tema a me particolarmente caro e che ritengo tra i più interessanti a caratterizzare la zona.