La percezione del rischio da parte della popolazione costituisce il primo strumento di prevenzione. Tuttavia, in alcune situazioni non è facile far comprendere il potenziale pericolo dei luoghi in cui viviamo. Una maggiore consapevolezza può essere anche strumento di “gestione” di una eventuale emergenza? Lo abbiamo chiesto al dott. Luigi D’Angelo, Direttore Operativo del Coordinamento Emergenze del DPC. Ospite del nostro salotto virtuale, il dott. D’Angelo ci ha raccontato la sua esperienza a capo di uno dei settori più strategici del nostro Paese.
Dott. D’Angelo, Lei è Direttore operativo per il coordinamento dell'emergenze. Tra i compiti c’è quello del coordinamento delle sale operative sul territorio nazionale. Ci sono difficoltà connesse ai diversi tessuti sociali in cui si opera?
Un aspetto di cui bisogna tener conto è che l'articolo 117 della nostra costituzione prevede che la Protezione Civile sia una materia concorrente; ciò significa che abbiamo un dipartimento a livello nazionale e 21 differenti strutture regionali che dipendono dai presidenti delle regioni e delle Province autonome, organizzate anche sulla base della sensibilità politica e amministrativa nei confronti degli aspetti di protezione civile.
Quando attiviamo sale operative su differenti territori, nonostante le diverse modalità da regione a regione, abbiamo l’esigenza di garantire uno standard comune e omogeneo; questa è la sfida più importante.
Ricordo, per esempio, che nel caso del terremoto del 24 agosto 2016, e delle scosse successive in Italia centrale, sono state coinvolte ben quattro regioni.
In quel caso ognuna ha definito una propria modalità di risposta all'emergenza che ha necessitato poi di un coordinamento unico, impartito dalla struttura di comando e controllo che venne allestita a Rieti dal Dipartimento della protezione civile.
Sebbene questo meccanismo valorizzi le singolarità e le identità delle diverse regioni, ognuna con i propri rischi a cui far fronte, è sempre fondamentale garantire un coordinamento omogeneo durante le emergenze.
La percezione del rischio da parte della popolazione interessata costituisce il primo strumento di prevenzione. Tuttavia, in alcune situazioni non è facile far comprendere il potenziale pericolo dei luoghi in cui viviamo e che possono essere “malevoli” per la nostra stessa vita. Un maggiore consapevolezza può essere anche strumento di “gestione” di una eventuale emergenza?
Certamente sì. Il nostro codice di Protezione Civile all'articolo 31 prevede proprio la partecipazione dei cittadini alle attività, con una doppia chiave di lettura. Da un lato il cittadino ha il diritto di essere informato sui rischi che gravano sul territorio in cui vive; dall'altro c’è il dovere civico e morale del singolo di utilizzare al meglio le informazioni per assumere dei comportamenti adeguati durante un evento. Questo consente al cittadino di essere parte attiva del sistema di protezione civile e di poter avere a disposizione tutti gli strumenti conoscitivi che gli forniscono la possibilità di mettere in atto dei comportamenti consapevoli. Non c'è dubbio, durante la gestione di un'emergenza il comportamento del cittadino è determinante!
Sono convinto che il percorso debba iniziare dalle scuole; a tal proposito, a partire dallo scorso anno, è stato introdotto il tema della cittadinanza all'interno del quale c'è una specifica sezione dedicata alla Protezione Civile. Ogni persona, quindi, è parte del sistema e va formata ed informata.
Nella sua esperienza pluriennale di gestione di emergenze che hanno investito il nostro fragile Paese, dai terremoti alle alluvioni, gli interventi erano ben localizzati sul territorio. L’attuale crisi legata al COVID 19 investe, invece, tutta l’Italia. Ci sono stati momenti in cui lo sconforto ha preso piede, alimentato dai dati che via via arrivavano?
Nella mia esperienza la pandemia è sicuramente tra le più importanti emergenze nelle quali sono stato direttamente coinvolto. Non tanto perché ha interessato tutti i settori ma perché ha colpito l’intero globo. Molto spesso mi sono chiesto il motivo per il quale il nostro Paese si è trovato a pagare un tributo così alto, soprattutto in termini di vite umane, e la situazione è stata spesso frustrante. Ci siamo impegnati h24 ma i numeri hanno messo in evidenza la fragilità del sistema nel suo complesso.
Nonostante ciò ho avuto modo di apprezzare quotidianamente le grandi potenzialità del sistema di Protezione Civile che ha operato sin dall’inizio a supporto dei sistemi sanitari attivandosi con tutte le eccellenze del nostro Paese, dalle forze dell’ordine ai Vigili del Fuoco, dal personale volontario alla Croce Rossa.
Ci siamo occupati dell’acquisizione e della distribuzione di dispositivi di protezione individuale così come, ancora oggi, del supporto alla popolazione delle zone rosse. Un grande contributo, tuttavia spesso i numeri ci hanno fatto lavorare con la costante consapevolezza che la situazione fosse molto grave.
Qual è la maggiore difficoltà nel gestire una ‘pandemia’ che investe tutti i settori della società?
La più grande difficoltà rispetto alle emergenze “tradizionali” come terremoti, eruzioni vulcaniche e alluvioni, è che queste ultime colpiscono territori ben definiti e il resto del Paese viene chiamato in causa per dare una mano. In questo caso non è possibile farlo perché, a parte la solidarietà della prima ondata in cui i medici e gli infermieri sono stati mobilitati dal sud per aiutare le regioni del nord, l’Intera nazione è stata coinvolta.
La difficoltà in questo caso è stata proprio quella di trovare delle soluzioni che potessero essere di supporto a tutto il Paese. La risposta più importante è stata quella dei cittadini: dal momento che hanno acquisito la consapevolezza di dover assumere comportamenti adeguati per ridurre il rischio di contagio si è avuta la vera chiave di volta. La sfida più grande è stata quella di conciliare l’esigenza della riduzione del rischio di contagio con l’esigenza del cittadino alla mobilità.
La ricerca scientifica ha come scopo primario la conoscenza di tutto ciò che ci circonda. La conoscenza del territorio in cui fenomeni naturali possono creare eventi disastrosi è fondamentale. Qual è la scoperta futura che più di ogni altra potrebbe aiutare la gestione delle emergenze?
In più di venti anni di lavoro mi hanno sempre insegnato che l’attività decisionale doveva necessariamente guardare al supporto fondamentale della comunità scientifica. Questo anche grazie all’Onorevole Zamberletti che ha immaginato con lungimiranza il moderno sistema di Protezione Civile supportato dalla Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei grandi Rischi costituita da un organo collegiale composto dai maggiori esperti di tutti le tipologie di rischio.
Ho imparato che in ogni situazione le decisioni da prendere dovessero basarsi sulle indicazioni provenienti da coloro che hanno una lettura molto tecnica dei fenomeni che si possono verificare.
Tornando alla domanda: la scoperta che rappresenterebbe per noi un vero e proprio regalo potrebbe essere quella di prevedere certi fenomeni con un anticipo tale da consentire al sistema di Protezione Civile di mettere in sicurezza le persone. La capacità di prevedere dei fenomeni naturali sarebbe sicuramente una scoperta importantissima.
Per concludere, da ingegnere, qual è la soluzione ingegneristica che vorrebbe vedere maggiormente applicata al fine di ridurre il rischio?
Mi piacerebbe vedere messi in pratica tutti quegli interventi che rendono il nostro territorio più sicuro, come quelli per mettere in sicurezza le case al fine di evitare che si verifichi quello che è accaduto il 24 agosto 2016 ad Amatrice, quando l’intero centro storico ha subito gravissimi danni determinando molte vittime.
Così come vorrei che ci fosse una maggiore consapevolezza nell’ambito della costruzione delle nuove opere: bisogna sempre considerare i rischi a cui l'area è soggetta.
Ecco, da ingegnere vorrei che la consapevolezza sui rischi naturali nel nostro paese sia sempre più presente nella testa di tutti i colleghi che si accingono a realizzare nuove opere.