Giornalista scientifico, geologo, autore di testi di divulgazione, ma anche docente al Master in Comunicazione della Scienza del Dipartimento di Fisica dell’Università di Padova e Direttore di Museo: Franco Foresta Martin è un personaggio poliedrico che ha fatto della vocazione per le scienze e la comunicazione uno stile di vita. La passione lo ha fatto arrivare lontano, fino a un angolo dello Spazio tra Marte e Giove dove c’è un pianetino con il suo cognome. Ma le sue radici sono forti, il sangue usticese che gli scorre nelle vene lo ha portato a realizzare, sull’isola che gli ha dato i natali, importanti progetti diretti a studenti, famiglie e comunità scientifica: ne è un esempio il Laboratorio Museo di Scienze della Terra Isola di Ustica (LABMUST), di cui è direttore, realtà che mette insieme didattica, ricerca scientifica e promozione del territorio.
Abbiamo intervistato Foresta Martin che ci ha raccontato qualcosa di sé, la storia del Laboratorio Museo e le particolarità dell’affascinante isola che lo ospita, vicina delle Eolie ma vulcanologicamente diversa.
Come è nato il Laboratorio Museo di Scienze della Terra Isola di Ustica?
Il Laboratorio Museo di Scienze della Terra è nato per iniziativa del Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica, di cui sono Presidente onorario, ed è stato istituito grazie a un protocollo d’intesa tra il Comune di Ustica e l’INGV. È una istituzione culturale e scientifica molto attiva nei campi della divulgazione delle Scienze della Terra, della didattica e della ricerca, operativa dal 2015.
La location è suggestiva: su mia proposta e grazie a finanziamenti della Regione Siciliana, un semi distrutto castello di origine borbonica, la Rocca della Falconiera, realizzato nella seconda metà del Settecento per la difesa dell’Isola dalle incursioni dei corsari barbareschi, venne restaurato. Qui fu allestito il museo, sull'orlo di un cratere vulcanico inattivo, a 157 metri sul livello del mare.
Lei è spesso coinvolto in attività formative con le scuole di Ustica, una di queste è “Ustica prima dell’Uomo”, dove il lavoro degli studenti è stato meritevole del primo spazio espositivo della mostra. Di che si tratta?
Sono usticese e appassionato di geologia, geofisica e geochimica, per questo vengo spesso coinvolto dalle scuole del posto in attività formative. “Ustica prima dell’Uomo” è stato un progetto messo a punto con l’obiettivo di trasferire agli studenti la consapevolezza del valore naturalistico della loro isola. I ragazzi dell’Istituto scolastico comprensivo di Ustica hanno ricostruito, attraverso una ventina di poster, la nascita e l’evoluzione dell’isola da circa un milione di anni fa, quando cominciò a edificarsi come monte vulcanico sottomarino sul fondo del Tirreno Meridionale. Furono bravissimi e i pannelli vennero successivamente riprodotti “in bella copia” dal Laboratorio Grafica e Immagini dell’INGV che li donò al Museo, dove sono in allestimento permanente.
Come prosegue il percorso espositivo?
Oltre al primo nucleo “Ustica prima dell’Uomo”, nel Museo è possibile ammirare differenti tipologie di prodotti eruttivi dell'isola. Con la collaborazione dei ragazzi delle scuole abbiamo raccolto delle vulcaniti emesse nell’arco di un milione di anni. Tra queste è possibile trovare anche prodotti vulcanici formati sott’acqua. Ustica ha trascorso parte della sua “vita” sommersa ed è emersa anche a seguito di spinte verticali e di sollevamento. Nelle antiche spiagge di ceneri e lapilli, abbiamo raccolto dei reperti di grande importanza paleontologica, come una malacofauna tipica dei mari equatoriali, che visse durante il periodo caldo Tirreniano, circa 125 mila anni fa. Il percorso della mostra continua con una piramide olografica al cui interno si compongono le immagini tridimensionali di differenti eruzioni. È possibile poi osservare un modello del primo laboratorio abissale sottomarino, il Geostar, realizzato dall’INGV circa venti anni fa in collaborazione con altri enti e istituzioni e calato a largo di Ustica. Noi ne conserviamo un modellino in scala 1:10 che tuttavia resta abbastanza grande, in una teca. L’allestimento prosegue con degli exhibit interattivi e un laboratorio di sperimentazione didattica.
Non solo una realtà interconnessa con il territorio ma anche un polo d’attrazione per chi viene da fuori. Qual è l’obiettivo del Laboratorio Museo?
Il Laboratorio Museo è nato con l’obiettivo di essere un punto di riferimento non solo per i visitatori comuni e i numerosi studenti che ogni anno arrivano, in gita scolastica da tutta Italia, ma anche per laureandi e studiosi che si recano a Ustica al fine di sviluppare le loro ricerche. Ustica è un vulcano spento, estinto da più di centomila anni e offre, come tutte le isole vulcaniche, una ricchezza straordinaria di strutture come cuscini di lava, relitti di antichi crateri, dicchi, direttamente osservabili in condizioni di totale sicurezza. Questa istituzione intende anche promuovere nuove ricerche nel campo delle Scienze della Terra, richiamando geologi e vulcanologi da tutta Italia, con l’intento di valorizzare gli aspetti, spesso esclusivi, dell’Isola. Come Direttore del Museo, oltre a promuovere programmi scolastici e visite da parte di turisti cerco anche di sollecitare i colleghi ad approfondire gli studi sull’Isola. Sono così nati dei progetti internazionali di ricerca molto interessanti che hanno portato a diverse pubblicazioni su riviste scientifiche qualificate.
Una delle iniziative più recenti di cui è stato protagonista è la ricerca sulle ossidiane, “l’oro nero del Mediterraneo”, che ha portato a nuove conoscenze sulla preistoria dell’Isola. Da dove nasce questa ricerca e cosa avete scoperto?
Le ossidiane sono un vetro vulcanico molto affascinante, anche dal punto di vista estetico, un materiale adatto a produrre strumenti litici prima dell'uso dei metalli. Con le ossidiane durante la Preistoria si costruivano strumenti da taglio e da caccia molto affilati e indispensabili per diversi lavori. Esse sono presenti a Ustica, nonostante il vulcanismo dell’Isola non ne abbia mai prodotte. Basta passeggiare nei campi agricoli per vederne a centinaia, soprattutto dopo le arature profonde o dopo le piogge che dilavano i terreni. Ci siamo quindi chiesti da dove arrivassero queste ossidiane, che chiaramente furono importate. Nell’antichità preistorica le ossidiane venivano raccolte da quattro giacimenti importanti del Mediterraneo: il Monte Arci in Sardegna, l’Isola di Palmarola nelle Isole Pontine, le isole di Lipari e Pantelleria in Sicilia. Poiché ciascun giacimento è caratterizzato da una specifica impronta geochimica, attraverso le analisi sui frammenti si può stabilire quale sia la loro provenienza. Ho promosso numerose campagne di raccolta e di analisi delle ossidiane, a cui hanno partecipato anche i ragazzi della scuola di Ustica, per ricostruire i commerci con che l’Isola aveva migliaia di anni fa. Questa ricerca ha entusiasmato alcuni ricercatori della Sezione di Palermo dell’INGV, che hanno realizzato le analisi. I risultati hanno premiato le nostre indagini sistematiche. Che Ustica avesse contatti con Lipari si sapeva. È da questa isola, infatti, che proviene la maggior parte dei frammenti. Ma i nostri studi hanno anche rivelato una inaspettata molteplicità di contatti anche con la lontana Pantelleria e qualche sporadico contatto addirittura con Palmarola. Inoltre, grazie al ritrovamento di numerosi scarti di produzione di strumenti litici, abbiamo potuto localizzare delle aree in cui probabilmente erano presenti delle “officine litiche” dove la materia grezza veniva lavorata dagli artigiani. Questi risultati sono stati illustrati in occasione del workshop internazionale “L’oro nero del Mediterraneo”, recentemente tenuto a Palermo, e saranno oggetto di pubblicazione. I risultati raggiunti sono frutto del lavoro congiunto tra i ragazzi delle scuole medie, che hanno raccolto i frammenti di ossidiana, e gli istituti di ricerca, fra cui le università di Palermo e di Bari, che hanno effettuato le analisi. L'unione tra didattica, divulgazione e ricerca è uno degli aspetti più interessanti del lavoro che stiamo portando avanti.
Non solo geochimico ma anche appassionato di storia della scienza e autore di libri di astronomia. In omaggio ai suoi meriti di giornalista, scrittore e divulgatore delle Scienze, nel 2007 l’Unione Astronomica Internazionale ha dato il suo cognome a un pianetino che orbita fra Marte e Giove. Quando è nata questa passione per la comunicazione?
Sono stato un comunicatore fin dai tempi dell’Università: mentre studiavo geologia e geochimica a Palermo mi sono appassionato alla divulgazione cominciando a scrivere per quotidiani e riviste. Al Corriere della Sera sono rimasto per oltre 30 anni come redattore scientifico e inviato alle conferenze internazionali sul clima. Nel tempo ho partecipato a vari programmi televisivi che hanno fatto la storia della comunicazione scientifica in Italia come Quark, che poi diventò Superquark, e Geo & Geo. Personalmente ho sentito sempre questa esigenza di comunicare la scienza e ritengo che fare ricerca e comunicarne gli esiti siano due lati della stessa medaglia. Quando uno scienziato ottiene dei risultati, sente subito il desiderio di comunicarli non solo alla comunità a cui appartiene mediante la pubblicazione di articoli scientifici, ma anche al vasto pubblico attraverso la divulgazione. Questa restituzione di conoscenza alla società è, inoltre, doverosa in quanto sono i cittadini che sostengono la ricerca scientifica ed è giusto che sappiano di cosa si occupa. Senza dimenticare che la diffusione delle conoscenze scientifiche contribuisce allo sviluppo sociale, culturale ed economico della società.