Nome: Carlo Alberto
Anni: 53
Qualifica: tecnologo
Campo di attività: Osservazione e analisi dei cambiamenti geologici della superficie terrestre
Incontrare persone come Carlo Alberto arricchisce sotto ogni punto di vista. In questi tempi dove social e media tentano ossessivamente di racchiudere visioni e opinioni in scatole a compartimenti stagni, dove ogni scatola rappresenta un tema indiscutibile e ti viene chiesto di schierarti, cancellando ogni possibilità di confronto, Carlo Alberto rappresenta perfettamente la visione di “incontro e raffronto” di idee.
Un ragazzo con lo sguardo proiettato al futuro, con occhi pieni di entusiasmo e tanti progetti da realizzare. Sa mettersi in discussione e si interroga spesso, come solo i grandi sanno fare. Accoglie le diversità e ne fa tesoro, tenendo lo sguardo fisso sul mondo e sulle tematiche che gli stanno a cuore.
Oggi scoprirete Carlo Alberto Brunori nel suo ritratto più intimo, senza filtri o mezze verità.
Come diceva George Orwell “In tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario” …e nel nostro piccolo queste “rivoluzioni” ci piacciono!
Cosa o chi ti ha avvicinato al mondo della scienza?
Da bambino leggevo i romanzi di Jules Verne e guardavo documentari sulla natura, gli animali, sulle stelle, i pianeti e sull’origine dell’universo e della vita. E poi c’era mio fratello infervorato con gli UFO che raccoglieva informazioni “scientifiche” sulla vita aliena, oltre alle riviste di divulgazione scientifica che non mancavano mai in casa. Infine, in seguito a una lunga vacanza a Solda (BZ) dove si camminava con una mia zia tutti giorni per i sentieri della valle (lei indicava, manuali alla mano, fiori e insetti), mi convinsi che avrei dovuto fare qualsiasi cosa per stare il più possibile tra i monti (o all’aria aperta in generale). La “rivelazione”, comunque, avvenne con la lettura di “Nel cosmo alla ricerca della vita” di Piero Angela (1980). Lì decisi che la ricerca era il mio mondo.
Tuo fratello a che conclusioni è arrivato in merito alla vita aliena?
Ancora se lo chiede, però è diventato più grande e quindi più razionale. Allora era proprio un sognatore…
Da bambino cosa sognavi di diventare “da grande”?
Appunto, uno scienziato o un esploratore. O meglio, uno che poteva dedicare il suo tempo ad andare in giro a scovare gli indizi di storie nascoste tra gli alberi, nei fondali marini o nelle rocce delle montagne.
Una semplice curiosità o una ricerca di sé stessi attraverso la natura?
Probabilmente non c'è differenza, probabilmente è la stessa cosa: avere curiosità, confrontarsi (con la natura e con sé stessi). Non distinguo le due cose, per me vanno di pari passo
Che materie ti appassionavano a scuola?
Non ho una risposta precisa. Sono sempre stato curioso di tutto. Mi appassionavo a qualsiasi cosa mi intrigasse al momento. Poteva essere la risoluzione di un quesito matematico, la rima di una poesia o la descrizione di una regione della Terra… Purtroppo mi dimenticavo e tralasciavo tutto il resto, cercando informazioni su quella che era la passione del momento. Ovviamente il mio rendimento era molto altalenante (per non dire disastroso). Sapevo tante cose, ma al momento sbagliato. Funziona ancora così per me.
Che adolescente eri?
Odiavo essere ripreso, giudicato, mi offendevo a morte. Quindi mi davo regole rigide in modo da evitare il confronto con gli adulti. Insomma, cercavo di non essere visibile e non mi piacevano neanche gli elogi… (imbarazzanti!). Con i coetanei non ero certo un leader, uno figo, forse rientravo tra gli “sfigati”, ma non me ne preoccupavo. Mi sentivo molto irrequieto e insicuro. Ma non davo preoccupazioni in casa. Credo!
C’è stato un “mito” di riferimento a cui ti sei ispirato?
Chiunque, da Prometeo in poi, abbia osato e saputo rompere con gli schemi per realizzare un sogno di scoperta, di conoscenza o, semplicemente, per superare i propri limiti. Tra gli altri: Leonardo da Vinci, Charles Darwin, Reinold Messner e Ipazia, la prima nota tra le scienziate.
Certo, anche le canzoni di Edoardo Bennato, il rock dei Led Zeppelin e il fingerpicking di James Taylor mi sconvolsero da bambino.
Dove ti sei laureato e che ricordi hai del tuo percorso universitario?
Mi sono laureato in Scienze Geologiche a Perugia. Finalmente potevo dedicarmi completamente alle materie e ai temi che mi piacevano. Ma anche in quel caso continuavo a seguire l’istinto, quindi ogni esame era una tortura perché ero costretto a dedicarmi a una sola materia alla volta. Insomma grande gioia ma anche fatica. Per la tesi passai lunghi periodi (in tutto quasi 8 mesi nell’arco di poco meno di 2 anni) sull’Isola d’Elba. Il professor Pialli, mio relatore, rimase perplesso quando gli proposi questo tema perché il lavoro era complicato sia dal punto di vista scientifico sia logistico, ma era la sfida che cercavo e ci riuscii, anche e soprattutto grazie al collega e amico col quale condivisi la fatica, un poeta-bluesman regalato alla geologia.
Che ricordi personali hai di quegli 8 mesi?
Non sono stati 8 mesi continuativi ma devo dire che iniziavo a sentirmi come un esploratore: ero su un'isola, la sera quando tornavamo dal rilevamento geologico andavo sul molo a Rio Marina a chiacchierare con un pescatore anziano che mi raccontava delle storie assurde. Era un po’ pazzo, ma secondo me un genio, e inventava delle storie di quando andava per mare. Ho dei ricordi fantastici di quel periodo. Ero su un’isola, un posto già di per sé stesso magico, facevo una cosa nuova, ero da solo col mio amico, iniziavo a ‘vedere’ la scienza… Per me è stato l'inizio di un'avventura che ancora ho nel cuore.
Il momento più emozionante della tua carriera?
Dopo un periodo in cui ho lavorato come analista programmatore (cartografia digitale e banche dati geologiche, principalmente) con contratto di lavoro indeterminato, in un momento cruciale della mia vita (avevo 37 anni e non ero soddisfatto di quel lavoro), mollai Milano (città dove mi trovavo comunque bene e avevo appena comprato casa con la mia compagna) e tornai all’INGV a Roma dove ero già stato come borsista con un contratto a tempo determinato. Apparentemente un passo indietro nella carriera ma per me era il ritorno a “casa”.
Qual è il significato di una scelta così importante?
Pur essendo ben consapevole che lasciare il posto fisso per un posto precario fosse un rischio, mi sono detto che da una parte era un treno che passava (per la seconda volta, peraltro…). Avevo 34 anni, un’età che cominciava a essere importante per il mondo del lavoro, però questo treno era tornato a chiamarmi e lo faceva per una cosa che ritenevo giustamente essere “mia”, il mio lavoro, il mio futuro. Era per così dire un rischio calcolato. La mia “incoscienza” è quella di dire “mettersi in gioco è necessario”: non prendersi dei rischi va bene, ma mettersi in gioco significa anche avere fiducia in sé stessi. Diciamo che non ho avuto paura di sbagliare, ma di non sbagliare.
Invece il momento più emozionante nella tua vita privata?
Ovviamente la nascita dei figli (2010 e 2012) e… questa mattina quando si sono alzati storti o tranquilli e la giornata è cominciata.
Cosa pensi che saresti diventato se non avessi fatto il ricercatore?
Guardia-parco (ah, no, lì forse - almeno all’epoca - sarebbe servito il porto d’armi e io sono obiettore di coscienza), guida alpina, gestore di rifugio… Ma in fondo avrei cercato in ogni modo di fare quello che faccio.
Cosa significa amare il proprio lavoro?
Sentire che quello che fai, anche nei momenti di in cui ti pesa di più, rientra nel tuo mondo, fa parte di te e della tua vita.
Da quanto tempo sei all’INGV?
Sono entrato la prima volta all’ING il 1° luglio 1995 per fare la tesi di master in telerilevamento, restai fino al 1998 con una borsa di studio. Poi tornai nel 2005.
Qual è la prima cosa che fai quando torni a casa?
Cerco di capire che aria tira in casa poi, il più delle volte, provo a fare il “bravo educatore” con i bimbi… ma puntualmente scivolo in qualche errore. Quindi torno ad essere me stesso, giocherellone, e improvviso.
Su dai di che errori parliamo…
Dire “male” le cose, voler essere troppo autoritario invece che autorevole, oppure non accorgersi che in quel momento ci voleva una parola in più o una parola in meno, o semplicemente uno sguardo in più. Sono errori normali che fanno tutti, ma che quando capitano non mi fanno sentire bene.
Come hai vissuto questo periodo di lockdown?
Da quando è nata la mia prima figlia (2010) ho sempre “pendolato” tra Foligno e Roma. In media più di 5 ore al giorno tra treni, autobus e metro. Il tutto ripagato dalla soddisfazione di fare questo lavoro, di far vivere la famiglia in una piccola città con qualità della vita altissima e, sul treno, di leggere moltissimi libri.
Da marzo 2020 il “lockdown” mi ha imposto l’interruzione di questo tran-tran che, dopo 10 anni, era diventato pesante e faticoso. Ho lavorato da casa con maggiore tranquillità. Ho passato più tempo con i bimbi. È incredibile come questa tragedia che ha devastato famiglie, reso difficile la vita per moltissimi, per me ha creato stabilità e calma.
Pensi che abbiamo corso troppo in questi anni? Che la vita sia diventata sempre più una corsa, una gara che imponeva allenamenti a limite della sopportazione?
Assolutamente sì. Mi sento molto superbo da questo punto di vista: credo che sia importante quella che chiamano la ‘decrescita felice’. Noi facciamo troppe cose, consumiamo tanto, pretendiamo tanto da noi e dagli altri, quando invece secondo me bisognerebbe andare molto più lentamente, bisognerebbe fare le cose con più riflessione, secondo le proprie possibilità. Durante il lockdown sono stato costretto a fare quella che secondo me era la cosa più logica da fare: costruire il mio mondo come lo vorrei, con una dimensione più umana, più razionale. Ma direi che proprio in generale, con il lockdown, siamo stati un po’ tutti costretti a ripensare un attimo che cosa stavamo facendo nel qui e ora: ma tanto sono convinto che non servirà, e qui faccio l’uccello del malaugurio… Appena riavremo un “liberi tutti” ricominceremo a correre perché bisogna produrre, bisogna consumare, bisogna andare…
Di questo periodo di pandemia, cosa pensi abbia funzionato e cosa no a livello scientifico?
Me lo sono chiesto molte volte: a livello scientifico è venuto fuori che noi ricercatori, nel tempo, probabilmente non abbiamo preparato a sufficienza la gente a riflettere sui dati, sui numeri e sulle conseguenze. Le opinioni e i commenti che nel corso di questi mesi si sono succeduti, quindi, sono parsi alla maggior parte delle persone come discordanti o provenienti da persone che non ne capivano niente. La realtà era un po’ diversa: si stava avendo a che fare con cose che non si conoscevano, come il comportamento del virus. Bisogna aspettare per conoscere: credo che non abbiamo insegnato alla gente a riflettere sulla scienza e sui dati che questa offre, dati che devono essere sperimentati e per farlo ci vuole tempo.
Qual è, secondo te, la scoperta scientifica che cambierebbe la storia?
La generazione di energia con bassissimi costi e pericoli. Penso a molte nazioni “povere”, che noi schiavizziamo per procurarci le risorse necessarie al nostro livello di vita, insostenibile per loro e per il pianeta.
Pensi che stiamo andando verso quella direzione o credi che qualcosa non stia funzionando? Le rinnovabili e questa conversione all’elettrico sono davvero una soluzione valida?
Non saprei. La direzione è quella, il mondo sta andando nella direzione probabilmente giusta perché si sta ragionando sempre di più sul passaggio dal fossile al rinnovabile, e già come concetto direi che è più che giusto. Al momento il problema grosso è l’accumulo di energia che si fa con batterie create con materiali che andiamo a cercare, ad esempio, in Congo e in altri posti dove scaviamo per estrarre materiali devastando aree, distruggendo culture, uccidendo persone. Quindi diciamo che da una parte sì, la direzione è quella giusta, dall’altra però ancora non siamo in grado di seguirla senza sfruttare così tanto altri territori. Siamo in un momento di passaggio, e come in tutti i momenti di passaggio possono essere fatte delle scelte giuste o delle scelte sbagliate: in questo momento siamo ancora “a cavallo”, perché stiamo ancora sfruttando e basta.
Una città che hai visitato che ti è rimasta nel cuore e una in cui hai sempre sognato di trasferirti?
San Francisco (CA), amore a prima vista. Tre volte per congressi e tre volte le stesse emozioni.
Bellissima città, forse però il simbolo di una America divisa in classi sociali…molto nette
Sì, la prima volta che ci andai, nel 2010, notai una cosa che mi soprese molto. C’erano molti homeless che cercavano nella spazzatura cose da rivendere per fare qualche soldo (San Francisco è famosa anche per questo, d’altronde) e il Comune aveva fatto installare sopra i cassonetti della spazzatura dei “cappellotti” per mettere dentro le lattine usate e da buttare via. La cosa mi incuriosì e, cercando, alla fine scoprii che era stato trovato questo sistema per fare in modo che chi rovistava nella spazzatura non rischiasse di tagliarsi con l’alluminio delle lattine. Era una piccola cosa e chissà, magari era solo quella, però era segno che un minimo d’attenzione c’era. Sono le contraddizioni dell’America forse, molto più evidenti che da noi: che è povero è sempre più povero e chi è ricco è sempre più ricco. Ecco, non mi sono meravigliato di questo perché corrispondeva esattamente a quello che prima di andare avevo letto sulla città.
Quali sono stati i tuoi viaggi più belli?
Tutti quelli fatti con zaino, tenda e scarponi ai piedi, ma anche in Vespa, in particolare in Corsica, o in barca a vela (arcipelago toscano). E poi i prossimi viaggi, magari a piedi, o in bici o…
Cosa ti sarebbe piaciuto scoprire, tra le scoperte del passato?
Il sito di impatto del meteorite che avrebbe dato il colpo di grazia al 75% delle specie animali e vegetali del cretaceo tra cui i dinosauri (65.9 milioni di anni fa ca.). Cioè il cratere di Chicxulub, sepolto sotto la penisola dello Yucatán, in Centro America. È stato un gran numero di ricercatori, ambiti scientifici, innumerevoli campioni di rocce raccolti in ogni parte della Terra e un incredibile lavoro di sintesi a permettere la ricostruzione della probabile sequenza degli eventi. In effetti non è stata ancora detta l’ultima parola (chissà se lo sarà mai) su quell’evento e sulle sue conseguenze.
Qual è la tua principale inquietudine?
Di non essere in grado di dire o fare la cosa giusta, nel momento giusto. Di offendere con parole o comportamenti. Di non essere coerente. Di non essere credibile per i miei figli e di non dargli gli “strumenti” giusti per affrontare la vita.
Tutte cose ricche di spunti. Ti chiedo solo di più in merito all’offendere con parole e comportamenti…non credi che stiamo vivendo un periodo di cortocircuito totale dove si polarizzano le opinioni e si depotenziano sacrosante lotte? Non sei preoccupato per i nostri figli che avranno sempre meno spazio nell’affrontare quelle situazioni di difficoltà che ci hanno permesso di crescere e migliorarci attraverso il confronto, talvolta anche duro?
Sì, sono d'accordo, anche se parlavo più che altro del punto personale nel rapporto uno a uno. Direi che molto dipende da chi fa cosa e da quale credibilità ha questa persona, perché se uno esprime un parere diverso da quello “mainstream” e lo fa non per provocare una reazione ma piuttosto una riflessione, allora per me va bene, quel “politicamente scorretto” è anche accettabile. Al contrario, se invece viene fatto con interesse semplicemente per attirarsi la benevolenza di una certa fetta di pubblico e poterci guadagnare sopra allora a mio avviso diventa un’operazione commerciale. Sarà banale, ma sono dell’idea che tutta questa situazione dipenda anche dal fatto che oggi esistono tantissime possibilità di criticare: parlo di Internet e di tutti gli strumenti che offre, rendendo estremamente veloce il passaggio da un argomento all’altro, da una situazione a un’altra. Per parlare delle cose secondo me bisognerebbe prima prendersi il tempo per rifletterci su, tempo che oggi sembra essere inesistente.
La conversazione che non hai mai fatto e che ti sarebbe piaciuta fare…con chi?
Con mia mamma. È scomparsa presto ed è stata male a lungo. Non sono riuscito a confrontarmi con lei. Una conversazione impossibile? Con Leonardo da Vinci: magnifico, geniale, originale in tutto quello che fece!
Come ricercatore è sempre tutto spiegabile?
Tutto è analizzabile, da studiare, per conoscere, per sapere, per aprirsi al nuovo. Non esiste mistero che non possa essere indagato. L’alternativa è la paura dell’ignoto, la chiusura nelle proprie idee limitate e il rifiuto di qualcosa che non sia “ordinario”. L’ignoranza conduce le persone a essere schiave di forze che si approfittano per interessi personali o di pochi. Un rischio continuo e ricorrente nella storia umana e che vedo adesso intorno a me.
La tua promessa mantenuta e quella che non sei riuscita a mantenere…
La mia promessa mantenuta è stata quella di cercare ogni giorno soddisfazione in quel che faccio, per primo nel lavoro…
Per quanto riguarda quella non mantenuta, beh, avrei voluto fare una o più esperienze di ricerca in Antartide… Ma ancora non è detta l’ultima parola!
Il tuo amore a prima vista?
Le Alpi, il suono della 12 corde e dell’armonica a bocca di Bennato, la Venere di Milo incontrata al Louvre, la Vespa Piaggio, la poesia “Elevazione” di Baudelaire, quella ragazza nella Metro di Milano che transitava da Zurigo verso l’Umbria…
Qual è il tuo X-Factor?
…ah, beh, prima o poi lo scoprirò!
Ti piace lo sport?
Si. Qualsiasi sport. Sono immune alla competitività e alla cosiddetta “fede” applicata all’ambito sportivo. Ci sono scrittori o giornalisti, come Brera tra gli altri, che raccontano e hanno raccontato lo sport e che non smetterei mai di leggere.
Ne hai mai praticato qualcuno?
Basket fino a 16 anni (ero un disastro in partita!) e poi corsa campestre e in pista, un po’ di baseball, quindi volley e calcetto con gli amici. Corro e vado in bici (…da montagna) per puro piacere.
Ascolti musica?
…sempre, comunque, dovunque, qualunque.
Qual è il tuo genere preferito?
Jazz, Classica, Rock, “cantautorale”, … tutta quella fatta bene.
Libro preferito?
Uno solo!? “Il partigiano Johnny” (Beppe Fenoglio -I'm in the wrong sector of the right side-), “Il Senso di Smilla per la Neve” (Peter Hoeg, “Lei crede?” … -Ci sono mattine in cui non credo nemmeno a me stessa-), “Il Signore degli anelli” (J.R.R Tolkien), “Breve storia di quasi tutto” (Bill Bryson), …
Se dovessi ricordare un tuo “primo giorno” quale ricorderesti?
Il mio primo ricordo credo, avevo 3 anni, per mano con mia mamma, andavamo a casa nuova a Perugia.
Cosa fai quando non sei a lavoro?
Se ho del tempo da spendere solo per me, leggo o vado in bici o cammino (prevalentemente in montagna, ovviamente!).
Hai un posto del cuore?
Diversi: il fienile in Val di Daone (valle Trentina), la casa intonacata di bianco con il tetto di tegole rosse che si affaccia sul golfo di Policastro, il Pian Grande di Castelluccio di Norcia, la croce di Monte Tezio (PG)…
La tua maggior fortuna?
Una certa quantità di sogni e ambizioni persistenti e che aspettano il momento di essere realizzati e che nel tempo, spero, lasceranno poco spazio ai rimpianti.
Nella tua valigia non può mai mancare?
Nello zaino volevi dire! Un libro, una carta dei sentieri, gli scarponi.
In cucina sei più da dolce o da salato?
“O Franza o Spagna, basta che se magna… bene”.
Piatto preferito?
Eeehh!? Uno solo!!?? Facciamo semplice, per me due fette di pane (pugliese, ma anche il pane “sciapo” umbro) con salame (di norcineria) e un bicchiere di rosso (un Montefalco, ad esempio) sono la definizione della felicità.
Ti piace cucinare?
Sì, ma mi distraggo facilmente e l’arte culinaria richiede tecnica, disciplina e concentrazione. Quindi non sono un granché, anche se mi salva la fantasia.
Una cosa che hai capito “da grande”?
Che non si finisce mai di imparare e di capire, e che ti devi voler bene.
Cosa conservi della tua infanzia?
La fiducia nel domani. La capacità di meravigliarmi e di… ridere.
Ultima domanda: qual è la canzone che non smetteresti mai di ascoltare?
A parte tutto De André, “Stairway to Heaven” (Led Zeppelin).