Ovidio, Enotrio e Diamante. Nomi che, una volta pronunciati, richiamano alla mente eco lontane di miti e leggende senza tempo. Atmosfere greche e romane, sapore di fasti antichi che riecheggiano da Sulmona, città natale del poeta romano delle “Metamorfosi”, fino alle ville nobiliari di cui ancora oggi possiamo ammirare i resti dalle zone costiere del basso Lazio fino alla punta più meridionale dello Stivale.
Per i ricercatori che indagano i fondali del Mare Nostrum, tuttavia, quest’anno i nomi Ovidio, Enotrio e Diamante hanno assunto un nuovo, importante significato. Infatti, quelle strutture che fino ad oggi erano note solamente come montagne sottomarine, addormentate sul fondo del Mar Tirreno meridionale, tra l’arco eoliano e le coste calabre, si sono rivelate in realtà dei maestosi vulcani estinti formatisi in un tempo ancora imprecisato compreso tra i 780.000 e i 20.000 anni fa.
Una scoperta di grande interesse scientifico, che aggiunge un tassello in più alla comprensione di quella che è la natura geologica del nostro territorio e che apre nuovi scenari nello studio del complesso mosaico di vulcani antichi e recenti che popolano le acque del Mar Tirreno. Ne abbiamo parlato con Riccardo De Ritis, ricercatore dell’INGV e primo autore dello studio che ha recentemente svelato la natura vulcanica di questi tre imponenti seamount.
Riccardo, il lavoro di ricerca di vulcani sottomarini nel Mediterraneo è una frontiera della vulcanologia moderna cui l’INGV si dedica da tempo. Raccontaci qualcosa di più…
Sì, effettivamente sono diversi anni che ci dedichiamo a questo lavoro: nel 2008 avevamo già fatto una scoperta simile nella zona di Capo Vaticano, vicino Tropea, un’area non molto distante da quella oggetto di quest’ultima pubblicazione, ovvero il settore marino davanti Diamante e Scalea, in provincia di Cosenza. Quello che stiamo cercando di fare, infatti, è analizzare i fondali del Mar Tirreno prossimi alla linea di costa per individuare eventuali strutture vulcaniche sommerse che abbiano un significato nel contesto del sistema di subduzione dell’arco calabro, ovvero di quel sistema in cui la placca ionica scorre sotto l’arco calabro e affonda nel mantello. Conosciamo il vulcanismo delle Isole Eolie e come questo si colloca nel contesto della Tettonica delle Placche, ma dobbiamo ricordare che nell’ambito dell’attuale visione di questa teoria sono previste anche altre possibilità di vulcanismo lungo le discontinuità che limitano lateralmente la placca ionica. Ci siamo quindi spostati lungo la catena del Palinuro, che una recente pubblicazione INGV del 2017 ha ipotizzato essere l’espressione vulcanica di una di queste fratture. Tale catena ha un’estensione di 90 km e la nostra scoperta rileva come questa sia in realtà ancora più estesa in direzione est, arrivando a lambire la costa calabra.
Cosa avete scoperto esattamente?
Abbiamo scoperto che Ovidio, Enotrio e Diamante, noti fino ad oggi come semplici seamount, ovvero montagne sottomarine, sono in realtà delle vere e proprie strutture vulcaniche. Questi vulcani sebbene siano parte dello stesso contesto geodinamico dell’arcipelago Eoliano, presentano posizione e geometrie differenti. Ci siamo inoltre resi conto che, nel complesso, la massa di materiale vulcanico emesso da tutta la catena del Palinuro risulta essere notevolmente più consistente di quella emessa dall’intero arcipelago delle Eolie (compresi i suoi seamount): questo è un altro dato importante che fornisce ancora maggior rilievo alla scoperta.
Che metodi avete utilizzato per determinare la natura vulcanica di questo complesso sottomarino?
Ci siamo accorti dell’esistenza di queste strutture attraverso un’analisi di dati già esistenti, in particolare delle mappe magnetiche pubblicate dall’INGV tra il 2000 e il 2004. Nello specifico, dato che l’area è tipicamente caratterizzata da un campo di anomalia magnetica molto basso, il fatto di aver individuato un’anomalia magnetica molto estesa (circa 14 km di lunghezza d’onda) è saltato subito al nostro occhio, definendo un primo importante indizio della presenza di strutture vulcaniche (le vulcaniti sono infatti molto magnetiche), nonché il primissimo passo della nostra ricerca.
Come è proseguita l’indagine?
A quel punto, consapevoli di quello che era il risultato del 2008 a Capo Vaticano (lì ad un’anomalia magnetica era effettivamente seguita la scoperta di un vulcano sottomarino), abbiamo guardato anche altri dati geofisici: una sezione sismica evidenziava in effetti quella che ho interpretato come un’importante risalita di materiale vulcanico, salvo poi rivolgermi alla professionalità di Fabrizio Pepe dell’Università di Palermo per averne conferma attraverso altre sezioni sismiche da lui interpretate; la batimetria ad alta risoluzione effettuata da un gruppo di ricercatori del CNR e della Sapienza coordinati da Francesco Chiocci, che evidenziava la presenza di strutture dalla morfologia tipicamente vulcanica in corrispondenza dell’area in cui avevamo individuato la prima anomalia magnetica; e la tomografia sismica effettuata dalla collega Barbara Orecchio dell’Università di Messina, mediante la quale ab
biamo analizzato la velocità delle onde sismiche prodotte dai terremoti per ricostruire in tre dimensioni le proprietà dei materiali di cui si compongono le rocce attraversate dalle onde stesse. La tomografia, in particolare, ci ha permesso di notare che in quella zona sembrava esistere una fase di degassamento - presente o passata - di un corpo magmatico in raffreddamento. Il naturale passo successivo è stato quello di unire le forze per interpretare i dati. Possiamo quindi dire che la definizione della natura vulcanica di Enotrio, Ovidio e Diamante è stata possibile grazie all’incrocio di ben quattro metodiche differenti.
Cosa sappiamo ad oggi di queste strutture vulcaniche?
Sappiamo che questo complesso vulcanico, che non mostra segni di attività da almeno 20.000 anni, è composto da due settori differenti: uno prossimo alla costa, più superficiale (le “cime” di queste montagne sottomarine si trovano a una profondità media compresa tra i 150 e i 500 metri) e con una morfologia arrotondata; l’altro più lontano dalla terraferma, più profondo e con creste ripide e scoscese. Il settore più vicino alla costa è quello in cui ricadono Ovidio e Scalea (quest’ultimo sconosciuto e “battezzato” nel nostro articolo). In particolare, prima di avere a disposizione il modello digitale del terreno ad alta risoluzione, si pensava che Ovidio fosse un unico seamount: in realtà abbiamo scoperto essere costituito da cinque montagne sottomarine più piccole, arrotondate, smussate e a bassa profondità. Si tratta di strutture alte da un minimo di 200 a un massimo di 300 metri dal circostante fondale marino, ma con una base molto larga: ad esempio Scalea, che è una di queste, risulta essere poco più grande del Vesuvio. Questo lascia ipotizzare che in passato questi seamount fossero molto grandi e che la loro estensione verticale probabilmente sia diminuita nel tempo a causa tanto dell’erosione delle correnti e del moto ondoso (un tempo giacevano in prossimità della superficie del mare), quanto del lento scivolamento verso il basso del fondale marino, fenomeno noto come “subsidenza”. Questa sorte, viceversa, non è toccata all’altro settore del complesso vulcanico, ovvero quello più profondo, che conserva ancora tratti ripidi e “acuminati”.
Lungo la costa della Calabria, tra Diamante e Capo Vaticano, c’è anche un noto parco termale, le Terme Luigiane. Esiste una correlazione tra il vulcanismo sottomarino scoperto e le terme stesse?
Al momento ancora non esiste una risposta univoca a questa domanda. Attraverso i profili sismici, oltre al complesso di edifici vulcanici, nel corso della ricerca abbiamo individuato anche l’esistenza di intrusioni, ovvero processi per cui il magma che non riesce ad arrivare in superficie ad alimentare l’attività vulcanica prende delle direzioni diverse, irradiandosi lungo discontinuità e linee di debolezza (ad esempio faglie) e raffreddandosi all’interno della crosta. Si tratta quindi di serbatoi di calore che, raffreddandosi, cedono calore al sistema idrogeologico: questo avviene lungo tutta la costa tirrenica, dai vulcani estinti della Toscana fino alla Campania e alle Isole Eolie. Le nostre sezioni sismiche hanno individuato a circa 5 km dalle coste calabresi, molto vicino alle Terme Luigiane, delle strutture portatrici di calore che derivano da questa attività vulcanica. Quindi quello che si ipotizza è che il calore che alimenta queste terme derivi proprio da questo complesso vulcanico. Con l’Università della Calabria stiamo lavorando a un fronte di indagine per dimostrare scientificamente questa correlazione, con la possibilità di realizzare un progetto organico volto a investigare le risorse geotermiche alla luce del nuovo complesso vulcanico sottomarino scoperto.