Un Museo allestito nel Bastione di Santa Maria, il primissimo Duomo di Milazzo incastonato all’interno delle antiche mura del Castello della città, che dall’alto di un promontorio lambito dal blu profondo del Mar Tirreno veglia su uno dei pochi luoghi del Mediterraneo ininterrottamente abitati dall’uomo sin dall’antichità.
Il
Carmelo Isgrò, biologo e Direttore del MuMa, è stato tra i primi ad occuparsi di Siso quando, nonostante gli sforzi della Guardia Costiera, per lui non c’è stato più niente da fare. Lo abbiamo incontrato a Milazzo per farci raccontare la sua passione per il Mare Nostrum e la grande avventura culminata con l’apertura del Museo.
Carmelo, come è nato il MuMa?
Il MuMa è nato ufficialmente il 9 agosto di quest’anno, esattamente due anni dopo l’arrivo sulla spiaggia di Milazzo del capodoglio Siso, un giovane maschio di circa 10 metri rimasto impigliato in una rete da pesca illegale al largo delle Eolie. Quel 9 agosto del 2017 anche la Guardia Costiera provò a liberarlo, ma senza successo: Siso non ce la fece e arrivò, spiaggiato, lungo le coste di Capo Milazzo. A quel punto, mentre gli addetti cercavano di capire come smaltire il corpo, ho fatto ricorso a tutta la mia voglia di fare e, insieme al Museo della Fauna dell’Università di Messina, ho deciso di recuperare lo scheletro del capodoglio. Quelle ossa sono state il “seme” attorno al quale abbiamo deciso di costruire l’intero Museo, e infatti ancora oggi sono la primissima cosa che nota chi entra al MuMa. Un aiuto importante è poi arrivato anche da una campagna di crowdfunding lanciata dal sito Siso Project, con la quale abbiamo raccolto i primi € 33.000 necessari per l’allestimento della prima sala del Museo.
Dov’è oggi Siso?
Lo scheletro di Siso ha subito un lungo processo di pulizia e trattamento e ad oggi è stato interamente riassemblato ed è esposto al pubblico nel suggestivo Bastione di Santa Maria del Castello di Milazzo, sede del MuMa. È sorretto a mezz’aria da alcuni cavi e presenta due dettagli che, immediatamente, colpiscono i visitatori e li spingono a riflettere: la rete illegale che lo ha ucciso, ricollocata sulla sua pinna caudale, e i rifiuti in plastica rinvenuti all’interno della sua pancia.
Cosa ti ha spinto a mettere in piedi un progetto così ambizioso come l’apertura di un Museo?
Avevo una gran voglia di realizzare un museo scientifico che fosse un po’ diverso da quelli tradizionali: al MuMa la parola d’ordine è “interdisciplinarietà” e il visitatore è spinto dalla commistione tra arte e scienza a coltivare il desiderio di trovare nuove formule per declinare la relazione uomo-ambiente. Il punto di partenza fondamentale era trasmettere la bellezza del nostro mare: sono convinto che si possa proteggere qualcosa solo se la si ama nel profondo. Per questo volevo fare innamorare i visitatori di questo mare, per arrivare tutti insieme a proteggerlo e a proteggere tutti i “Siso” che lo abitano.
Ci guideresti in un viaggio “virtuale” nel tuo Museo?
Si tratta di un Museo, come dicevo, un po’ diverso dal solito: qui la scienza incontra l’arte e si fa conoscenza attraverso video didattici interattivi, realtà virtuale, realtà aumentata e installazioni artistiche multimediali con l’obiettivo di guidare il pubblico alla scoperta dell’impatto che l’uomo può avere sull’ecosistema e del cambiamento necessario nel rapporto tra lui e il mare. Superato lo scheletro di Siso, sospeso là dove un tempo sorgeva l’altare del primo Duomo di Milazzo, ci si addentra in un percorso di crescita interiore organizzato in tre sale. La prima, l’inferno, mostra gli effetti delle attività umane che arrecano un danno all’ambiente: qui le pareti sono tappezzate della stessa rete illegale che ha ucciso Siso nel 2017 e a terra sono depositati, tra l’altro, 10.000 cotton fioc e 15.000 tappi di plastica che, in circa due ore, i ragazzi di una scuola del posto hanno raccolto in appena cento metri di spiaggia nella Baia di Sant’Antonio, nei pressi di Milazzo. La seconda, il purgatorio, aiuta il visitatore a prendere coscienza del possibile impatto negativo dell’attività umana sull’ambiente, e lo fa con delle infografiche e del materiale raccolto in una cineteca e in una biblioteca per grandi e piccini. L’ultima sala, infine, il paradiso, è dominata da un’installazione dell’artista milazzese Giuseppe La Spada: uno schermo che, quando ci si avvicina, trasforma i nostri corpi in gocce d’acqua. In mare due gocce che si uniscono creano un’unica goccia più grande: è questo il messaggio che mi piace trasmettere soprattutto ai visitatori più piccoli, per stimolarli a unirsi e proteggere insieme la nostra Casa.
Cosa avete in programma per il futuro?
Abbiamo tantissime iniziative in programma! Molte di queste nascono giorno dopo giorno anche da attività per così dire “collaterali”, come la Conferenza Internazionale sulla Geochimica dei Gas che l’INGV ha organizzato qui nel Castello di Milazzo dal 30 settembre al 5 ottobre scorsi. In quell’occasione, ad esempio, l’amicizia che mi lega al Direttore della Sezione di Palermo dell’Istituto, Francesco Italiano, è stata un importante gancio per organizzare una conferenza in cui discutere delle attività legate alla protezione del mare e alla conoscenza dei cetacei. In generale, però, quello che spero è che il MuMa continui a crescere e diventi un punto di riferimento sempre più importante per il territorio, in grado di unire il linguaggio dell’arte alle evidenze della scienza per spingere chi arriva anche da molto lontano a intraprendere un viaggio interiore e riscoprire l’equilibrio fondamentale e delicatissimo tra uomo e mare.