Un vulcano maestoso, tra i più attivi e pericolosi al mondo. Il suo nome forse dirà poco alla maggior parte dei non addetti ai lavori, ma la sua storia e le sue caratteristiche ne fanno uno dei vulcani più interessanti per la comunità scientifica internazionale. Stiamo parlando del monte Nyiragongo, situato nella Repubblica Democratica del Congo, circa 20 chilometri a nord della città di Goma e del Lago Kivu, all’interno del Parco Nazionale Virunga.
Un territorio dai richiami ancestrali, circondato dalle foreste equatoriali che hanno cullato la nostra specie, ricchissimo in minerali e risorse naturali. Qui il Nyiragongo, con i suoi oltre 3.400 metri di altezza, domina maestoso Goma e il suo lago, rappresentando, con le sue fluide colate di lava e le massicce emissioni di biossido di zolfo e anidride carbonica, un pericolo potenzialmente letale in caso di eruzione.
Proprio qualche mese fa, dopo quasi venti anni di relativa quiete, il Nyiragongo è tornato a eruttare violentemente, costringendo centinaia di migliaia di persone ad abbandonare le loro case nei villaggi alle pendici del vulcano. Un’eruzione durata solamente qualche giorno, che però sembra aver ripreso vigore nelle ultime settimane, con nuovi sciami sismici e deformazioni del suolo che interessano anche il vulcano “gemello” del Nyiragongo, il Nyamuragira.
Ne abbiamo parlato con Mario Mattia, vulcanologo dell’Osservatorio Etneo di Catania dell’INGV, che ci ha guidati nella ricostruzione della spettacolare eruzione e nell’analisi delle peculiarità che rendono questo vulcano così pericoloso da poter provocare l’eruzione perfetta.
Mario, cosa sappiamo dell’eruzione del Nyiragongo?
L’eruzione del vulcano Nyiragongo è iniziata tra il 21 e il 22 maggio scorsi, con un’attività effusiva che ha interessato tre bocche eruttive, una a est dell’area sommitale e due nel versante meridionale. In particolare, una delle due bocche del versante sud ha emesso una colata di lava che ha lambito la città di Goma, la grande città situata ai piedi del vulcano. Si tratta di una città molto densamente popolata che, compresi i villaggi lì attorno, conta circa due milioni di abitanti: una città che, come molte altre nel continente africano, soffre purtroppo di molti problemi di natura politica ed economica, con una povertà piuttosto diffusa che rende la sua gestione abbastanza complessa.
A differenza di quanto accaduto nel 2002, anno dell’ultima eruzione del Nyiragongo prima di quella attuale, questa volta la colata di lava ha lambito l’abitato ma, fortunatamente, non ha raggiunto l’aeroporto, infrastruttura strategica per l’area. Dopo un giorno le colate si sono interrotte: tuttavia, data la grande spettacolarità dell’eruzione, con fontane di lava visibili chiaramente da Goma, la popolazione è stata colta da grande spavento ed è fuggita, spostandosi in massa verso i villaggi più a est o perfino verso nord, al confine con il Ruanda. Tutto questo ha posto dei seri problemi di ordine pubblico, con disordini e difficoltà di approvvigionamento di cibo per poter nutrire tutte queste migliaia di persone che scappavano precipitosamente per la paura del vulcano. Nei giorni seguenti la paura è rientrata e la maggior parte di chi era fuggito ha iniziato a tornare verso Goma: in questo viaggio almeno una decina di persone (purtroppo non si sanno i numeri esatti) hanno perso la vita asfissiate dai gas vulcanici camminando sopra le colate di lava. Al momento le vittime totali dell’eruzione (decedute, però, più per i disordini e gli incidenti che per cause direttamente collegate all’attività del Nyiragongo) sarebbero circa una quarantina.
Qualche giorno fa, tuttavia, è iniziata una nuova fase dell’eruzione che ancora non può dirsi conclusa. Infatti, nuovi sciami sismici e nuove deformazioni del suolo stanno interessando il vulcano Nyamuragira, dalle caratteristiche molto simili al Nyiragongo, da cui dista solo pochi chilometri. Inoltre, le condizioni di normalità – con il ripristino del lago di magma all’interno del cratere del Nyiragongo, improvvisamente scomparso a maggio, a pochi giorni dall’inizio dell’eruzione – non si sono ancora ripristinate: l’allarme, quindi, resta.
Come si spiega la “scomparsa” di questo lago di lava dal cratere?
La scomparsa del lago di lava è legata all’apertura di sistemi di fratture che drenano il magma dal lago e, a volte, lo riversano sulle sue pendici, con conseguenze molto pericolose per chi abita le pendici del vulcano.
Cosa caratterizza tipicamente l’attività del Nyiragongo?
Sicuramente la tipologia di lava che emette. Si tratta di un tipo di lava altamente pericoloso e tipico di pochi vulcani al mondo, detta nefelinite, con una consistenza così fluida da sembrare acqua. Ciò significa che quando fuoriesce dalle fessure eruttive inizia a scorrere sui fianchi del vulcano ad altissime velocità. Nel corso dell’eruzione del 2002 questa lava uccise centinaia di persone: si tratta, per noi, di un evento assolutamente inedito, abituati come siamo alle eruzioni dell’Etna o dello Stromboli, le cui colate non arrivano mai a destare tali preoccupazioni per la vita della popolazione.
A maggio l’attività effusiva si è esaurita quasi subito ma altri eventi naturali sono sorti. Cosa è successo?
Sì, esatto, come dicevo l’attività eruttiva vera e propria si è conclusa nell’arco di poche ore, ma un altro serio problema si è posto qualche giorno più tardi, a partire dal 24 maggio, quando è iniziato uno sciame sismico particolarmente intenso, con terremoti che hanno sfiorato una magnitudo 5 causando numerosi crolli. Gli ipocentri di questi terremoti si sono via via allineati dall’area sommitale del vulcano in direzione sud, tagliando Goma e dirigendosi verso il gigantesco lago su cui si affaccia la città, il Lago Kivu. Questo era il sintomo evidente del fatto che si stesse aprendo una frattura eruttiva, proprio come già accaduto nel 2002: a conferma di ciò, le immagini SAR processate dai nostri colleghi del Gruppo GEOSAR dell’Osservatorio Nazionale Terremoti dell'INGV hanno mostrato delle enormi deformazioni.
Che rischi comporterebbe per la popolazione l’apertura di questa frattura?
Dei rischi molto seri. Un’altra delle caratteristiche uniche del vulcano Nyiragongo, infatti, è che il lago Kivu su cui affaccia Goma contiene disciolte al suo interno delle enormi quantità di gas, in particolare anidride carbonica e metano: la prima è tipica dei laghi vulcanici, il secondo è invece prodotto dalla grande popolazione algale che c’è nei fondali di questo gigantesco lago. La paura più grande è che possa verificarsi una cosiddetta “eruzione limnica”, un tipo molto particolare di eruzione già verificatosi nel 1982 in Camerun, sul Lago Nyos. All’interno dei laghi di origine vulcanica, l’acqua e i gas ‘convivono’ in equilibrio abbastanza precario tra loro: se questo equilibrio viene perturbato, ad esempio con l’apertura di una frattura, può innescarsi un ‘rimescolamento’ violento per cui i gas arrivano repentinamente in superficie e vengono liberati in enormi quantità lungo le rive, risultando letali per la popolazione. In aggiunta a ciò, queste eruzioni limniche - data la loro violenza - possono generare anche delle onde di tsunami che, in questo caso, andrebbero ad abbattersi sui molti villaggi presenti sulle sponde del Lago Kivu costituendo un ulteriore elemento di estremo pericolo.
Lo scenario più temuto, quindi, è proprio legato all’apertura di questa fattura: per il momento, fortunatamente, gli ipocentri dei terremoti sono localizzati qualche chilometro sotto il livello del mare, quindi non è ancora arrivata in superficie.
Ma tutto ciò, non va dimenticato, avviene in un Paese politicamente instabile, povero, con un Osservatorio, quello di Goma, che possiede attrezzature e strumenti molto meno vari e molto meno avanzati di quelli cui siamo abituati noi.
Anche l’INGV ha collaborato alla gestione dell’emergenza, nell’ambito di una cooperazione internazionale sempre attiva...
Sì, l’INGV ha immediatamente offerto il suo supporto ai colleghi di Goma. Con l’Osservatorio abbiamo in essere da tanti anni degli accordi di collaborazione che ci hanno permesso, nel tempo, di formare alcuni ricercatori del posto. In questa emergenza ci siamo resi fin da subito disponibili a fornire tutto l’aiuto che è nelle nostre possibilità, a partire dai dati telerilevati, quindi misure da satellite della deformazione del suolo, misure termiche dei gas, e così via. Abbiamo anche valutato, nelle ore immediatamente successive all’inizio dell’emergenza di maggio, la possibilità di essere inviati in missione a Goma per aiutare più da vicino con la nostra esperienza e i nostri strumenti. Ma il Congo è un Paese molto difficile dal punto di vista geopolitico: il nostro Ambasciatore Luca Attanasio è stato ucciso lì soltanto pochi mesi fa…
L’ultima eruzione del Nyiragongo, prima di questa attualmente in corso, risale al 2002. Quale fu l’azione dell’INGV a supporto dei colleghi congolesi?
In quel caso l’INGV intervenne su richiesta dell’ONU. In quell’occasione le Sezione di Catania e Roma dell’INGV realizzarono sul Nyiragongo una rete di monitoraggio sismico e una rete di monitoraggio delle deformazioni del suolo e si occupò dell’addestramento dei tecnici dell’Osservatorio di Goma all’uso di strumenti di geodesia per le misure di deformazione del suolo. Anche per questo dicevo che l’INGV ha una storia piuttosto lunga in quanto a collaborazione con l’Osservatorio di Goma. Molti colleghi italiani volati in Congo per l’eruzione del 2002 hanno poi continuato a studiare il Nyiragongo e oggi lo conoscono abbastanza bene.
Che tipo di assetto geologico e vulcanologico ha questa zona del Congo?
Lì c’è un rift continentale, ovvero una ‘spaccatura’, una zona di apertura caratterizzata proprio da terremoti con meccanismi distensivi. Tutte le zone caratterizzate da queste aperture sono contraddistinte anche dalla presenza di vulcani, poiché in queste fratture si innescano delle risalite di magma. Il Virunga, cioè quest’area del Congo, resa famosa anche dai gorilla di montagna che abitano i territori del Parco Nazionale, ospita due vulcani particolarmente pericolosi. Uno è il Nyiragongo, di cui stiamo parlando, l’altro è al suo fianco e si chiama Nyamuragira. Possiamo quindi dire che è un territorio in cui risultano frequenti sia i terremoti legati all’apertura del rift, sia il vulcanismo in corrispondenza delle fratture da cui i fluidi magmatici risalgono più facilmente.
Qual è l’aspetto più interessante del vulcano Nyiragongo e del suo stile eruttivo?
Come prima cosa sicuramente le lave, con questa fluidità eccezionale (quasi simile all’acqua) cui non siamo abituati. Queste lave creano dei depositi proprio come se si trattasse di fango, ma a temperature che raggiungono gli 800°C e che, quindi, sono in grado di uccidere. Diversi colleghi delle Sezioni dell’INGV di Pisa e Catania hanno lavorato su queste lave proprio perché sono abbastanza rare, direi pressoché uniche, e meritano delle analisi e degli studi ad hoc.
In più in questa zona dell’Africa c’è una sorta di compendio di tutto il rischio vulcanologico possibile: abbiamo queste lave che raggiungono velocità eccezionali, abbiamo il pericolosissimo Lago Kivu con questi gas vulcanici disciolti nelle sue acque, ma abbiamo anche le piogge acide. Infatti, un’altra cosa che non ho detto è che a seguito dell’eruzione del 2002 caddero perfino delle piogge di questo tipo e, poiché in quelle zone - data la povertà - si beve anche l’acqua piovana che si accumula un po’ dove capita, la popolazione iniziò a bere acqua contaminata dal fluoro e dai gas vulcanici che, in grandi quantità, ricadevano a terra sotto forma di pioggia. Il fluoro in queste quantità causa delle malattie tipiche come la fluorosi, detta anche ‘malattia dei denti trasparenti’ perché ha la caratteristica di eliminare il calcio dalle ossa rendendo i denti simili al vetro. Ma non solo, perché la fluorosi provoca anche gravissimi problemi intestinali che, soprattutto nei bambini, possono portare alla morte.
Come dicevo, quindi, l’interesse scientifico per questo territorio e per la sua geologia risiede sicuramente nel fatto che qui vengono ‘riassunti’ tutti gli aspetti più pericolosi che un vulcano può presentare.
Come si sta muovendo la comunità scientifica internazionale per dare supporto durante questa emergenza?
L’Osservatorio di Goma è una realtà scientifica “local”, che chiaramente deve confrontarsi ogni giorno con le difficoltà e le limitazioni prodotte dalla condizione sociopolitica della zona. Basti pensare che, solo a titolo esemplificativo, nei sei mesi intercorsi tra ottobre dello scorso anno e aprile i colleghi dell’Osservatorio non hanno avuto a disposizione risorse economiche sufficienti nemmeno a coprire i costi della connessione internet, perdendo quindi tutti i dati delle loro (poche) reti di monitoraggio. Va detto, infatti, che la maggior parte delle reti presenti nell’area sono gestite da colleghi belgi e del Lussemburgo, che storicamente hanno sempre vantato una forte presenza in Congo,: quelle reti funzionano, quindi diciamo che, da quando è iniziata l’emergenza lo scorso maggio, sono stati loro a supportare in prima persona e sul posto i colleghi dell’Osservatorio di Goma.
Come INGV, come dicevo poco fa, siamo sempre rimasti in contatto con il Direttore Generale dell’Osservatorio e con i colleghi ricercatori, anche in virtù del memorandum of understanding che ci lega. Il nostro contributo scientifico riguarda principalmente l’invio di dati derivanti dal telerilevamento. La realtà dell’Osservatorio di Goma è piccola ma non piccolissima, perché conta circa un centinaio di scienziati: quello che spero e che speriamo in tanti qui in Istituto è di poter proseguire, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, a emergenza conclusa, a fornire supporto e formazione ai ricercatori e ai tecnici di Goma, con l’obiettivo di provare a consentire loro di crescere per arrivare a una sempre maggiore autonomia scientifica.