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Da scienziato e da napoletano, come sente il rapporto con i vulcani campani? Lo abbiamo chiesto al Professor Aldo Zollo, Ordinario di Sismologia all'Università di Napoli “Federico II” e membro del Consiglio Scientifico dell’INGV, per cui fornisce un servizio di consulenza al vertice dell’ente su tematiche inerenti all’attività scientifica. Ospite d’onore del nostro salotto virtuale, il Professor Zollo ci ha raccontato il suo percorso professionale e alcuni eventi che lo hanno contraddistinto. Tra questi, il terremoto dell’Irpinia del 1980.

Professore, quando è maturata in lei la passione per la scienza?

ospiteLa mia passione per le Scienze della Terra è nata ai tempi del liceo. Mi capitava di incontrare spesso un amico di famiglia, professore di geologia, che ogni volta mi affascinava con i suoi “racconti” sui fenomeni naturali e fu egli stesso a indirizzarmi verso gli studi di Fisica all’Università. Erano gli anni del post-bradisismo dei Campi Flegrei alla fine degli anni Settanta, e spesso con il Prof. Oliveri del Castillo ci ritrovavamo a parlare dei fenomeni vulcanici e di come fosse necessario sviluppare nuovi sensori e reti di osservazione sismica più avanzati per seguire l’evoluzione della sismicità che accompagna i fenomeni di sollevamento del suolo. Osservazioni diventate attuali nel corso del successivo episodio di bradisismo degli anni ''82-'84, durante il quale si sperimentò il primo sistema digitale di registrazione sismica in Italia, importato dall’Università del Wisconsin.

C’è stato un evento per lei particolarmente determinante nel suo percorso personale e professionale?

Sì. Durante il mio percorso di studi è avvenuto il terremoto dell’Irpinia del 1980. Allora ero un tesista dell’Osservatorio Vesuviano, oggi sezione dell’INGV ma all’epoca istituto indipendente. L’evento, che colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale, fu caratterizzato da una magnitudo di 6.9 e causò centinaia di migliaia di sfollati e migliaia di morti. Sentii profondamente questo evento sia dal punto di vista scientifico sia emotivo: la mia terra era stata colpita duramente e ciò mi motivò ulteriormente allo studio dei fenomeni naturali ed in particolare dei terremoti.

Qual è il risultato scientifico di cui va maggiormente fiero?

Dopo aver condotto gli studi di dottorato in Geofisica della Terra Solida (Sismologia) presso l'Università di Parigi VII, in Francia, rientrai in Italia e il Professore Paolo Gasparini, scienziato di fama internazionale e Professore di Fisica terrestre presso l'università di Napoli Federico II, purtroppo deceduto nel 2016, mi coinvolse in un progetto avveniristico per l’epoca che riguardava la possibile identificazione della camera magmatica dei vulcani napoletani. Erano gli inizi degli anni Novanta e l’idea di fondo era quella di trasferire in vulcanologia tutta una serie di tecniche e metodologie utilizzate nel settore della geofisica di esplorazione per la ricerca dei serbatoi di idrocarburi nel sottosuolo. Fu un progetto molto affascinante durante il quale conducemmo in un periodo di 5 anni, dal 1996 al 2001, diversi esperimenti che ci permisero di pervenire a risultati estremamente importanti, tra cui l’identificazione e la localizzazione delle grandi camere magmatiche profonde che alimentano l’attività del Vesuvio e dei Campi Flegrei. Questo è stato uno dei miei primi risultati raggiunti e mi ha reso particolarmente orgoglioso.

Recentemente di cosa si sta occupando?

Recentemente sto lavorando allo sviluppo di sistemi di allerta immediata in caso di terremoti, detti Earthquake Early Warning. Abbiamo messo a punto, in collaborazione con RFI, Reti Ferroviarie Italiane, il primo sistema di allerta per i treni ad alta velocità capace di individuare in anticipo le onde sismiche originate da terremoti che potrebbero avere impatto sulla rete ferroviaria, così da adottare in tempo reale ed in automatico tutte le misure di sicurezza necessarie per consentire il rallentamento o l’arresto dei treni prima del loro ingresso nel tratto ferroviario potenzialmente danneggiato. Un progetto di altissima innovazione, unico a livello europeo. 

Qual è stata, da fisico, la sua esperienza presso la scuola di vulcanologia della Federico II?

I primi contatti con la vulcanologia li ebbi grazie al mio mentore, il Professore Paolo Gasparini, responsabile del gruppo di ricerca presso cui ho lavorato nei primi anni della mia carriera. Ho sempre affrontato la ricerca nelle Scienze della Terra dal punto di vista della Fisica, cercando di comprendere e modellare attraverso l’osservazione sperimentale e la modellazione numerica i fenomeni sismici associati a processi di instabilità nei vulcani o in aree di faglia, in particolare, la caratterizzazione della sismicità di fondo nei periodi inter-sismici. Sono “in origine” un sismologo e tutto ciò che riguarda i terremoti e la propagazione delle onde sismiche è per me fonte di estremo interesse.

Qual è il più prezioso insegnamento che le ha dato il Professor Gasparini?

Il Professore Gasparini mi ha trasmesso la passione e la curiosità per le Scienze della Terra, in particolare per lo studio dei sistemi dinamici complessi come lo sono i vulcani e le grandi fratture sismiche che originano i forti terremoti. Mi ha insegnato ad avere sempre un approccio critico e costruttivo nei confronti dell’esperienza scientifica e dei risultati innovativi che da essa ne possono conseguire, attraverso un percorso di studio e di lavoro costellato di tentativi, errori e ripartenze. Nelle fasi embrionali di una grande scoperta scientifica, diceva Paolo, c’è sempre un’idea visionaria e anti-conformista, per cui nella ricerca bisogna dare spazio ed alimentare la creatività ed il pensiero innovativo.

Da scienziato e da napoletano, come sente il rapporto con i vulcani campani?

Il vulcano è una presenza immanente, rappresenta la possibilità, in un futuro, di provocare danni e di turbare profondamente la nostra vita. Nonostante ciò, da scienziato, il mio rapporto con i vulcani tenta di essere freddo e distaccato. Nutro un forte rispetto verso la natura e voglio contribuire alla messa a punto di tecnologie avanzate per prevenire i disastri e mettere in sicurezza la popolazione. Dal mio punto di vista questo è un approccio razionale attraverso il quale cerco di fugare le profonde paure che a volte possono avere coloro che vivono in un ambiente potenzialmente pericoloso.

Qual è il risultato che lei vorrebbe fosse raggiunto dalla comunità scientifica?

Esistono svariati obiettivi scientifici che potrebbero rappresentare la frontiera della nostra disciplina, tra questi mi piacerebbe vedere realizzato un sistema osservativo multiparametrico dei terremoti, esteso a scala nazionale, estremamente sensibile ed ad alta risoluzione, che consenta di intercettare nelle aree vulcaniche e tettoniche italiane anche le più piccole instabilità come possono essere i micro terremoti che si osservano nelle regioni di faglia. Esistono prime esperienze in Italia di Near-Fault Observatories nelle zone di faglia Alto-tiberina ed in Irpinia, che ci mostrano immagini uniche della microsismicità che delineano strutture di faglia complesse e ne individuano possibili correlazioni con la presenza e la migrazione di fluidi nella crosta terrestre. A livello nazionale, anche grazie agli enormi progressi raggiunti in ambito scientifico e tecnologico, siamo pronti ad affrontare un progetto di questo tipo esteso all’intero territorio nazionale.

Quali potrebbero essere, secondo lei, le azioni da mettere in campo per un maggiore “appeal” della ricerca nell’ambito delle Scienze della Terra in Italia?

Esiste un deficit di comunicazione nell’ambito delle Scienze della Terra che andrebbe colmato, sin dalle scuole primarie e secondarie, al fine di illustrare alla comunità il grande lavoro che si conduce in queste discipline e come esso sia di grande utilità per lo sviluppo di una società sostenibile. Si pensi alla valutazione della pericolosità sismica, ai sistemi di osservazione dei vulcani e dei terremoti, ma anche al grande contributo fornito dalla Geologia per la conoscenza del territorio.

Da “interno”, inoltre, penso che gli operatori debbano fare maggiormente squadra per portare, nelle sedi opportune, le istanze in rappresentanza della comunità scientifica.

Come Università, infine, dobbiamo cercare di promuovere maggiormente le nostre discipline: sono ancora troppo pochi, infatti, gli studenti che vi si avvicinano.

Per concludere, da Professore, qual è il consiglio che da più frequentemente ai suoi studenti?

Alla base della ricerca scientifica c’è soprattutto la passione per la materia che si studia e in virtù di questo entusiasmo si deve essere disposti al sacrificio: bisogna lavorare molto per apprendere strumenti, metodologie e conoscenze, approfondendo anche aspetti “meno” interessanti rispetto all’ambito di studio perché nel futuro potranno risultare fondamentali.

Un altro consiglio che do spesso è quello di imparare a lavorare in gruppo. Le Scienze della Terra mettono insieme molteplici competenze, lavorare in team significa avere la mente aperta, capacità di dialogo e di interscambio con le altre persone. Queste sono, secondo la mia esperienza, caratteristiche fondamentali per lo studente che si avvicina alla ricerca scientifica.