Un'esistenza dedicata allo studio delle eruzioni vulcaniche e dei terremoti. Per il grande scienziato lombardo la prevenzione dai disastri futuri è basata sulla conoscenza del fenomeno scientifico e della storia degli eventi passati
Chissà quanti si saranno chiesti chi fosse quell'uomo, dall'accento settentrionale, che nelle notti dei primi anni del secolo scorso se ne stava accucciato su una panchina sul cratere del Vesuvio, per osservare i mutamenti dell'attività del vulcano. Un tipo strano, un solitario, che riempiva taccuini di brevi e precise annotazioni scritte con frenetico disordine. Quell'uomo era Giuseppe Mercalli, sismologo e vulcanologo, noto in tutto il mondo per la scala d'intensità dei terremoti, lo scienziato che, "pervaso dal fuoco del sapere, consacrò al fuoco dei vulcani tutta la sua vita", secondo le parole dei suoi allievi. Mercalli fu un appassionato studioso di tutte le scienze della Terra, ma soprattutto dei vulcani e delle loro manifestazioni. Dalle sue ricerche derivarono una classificazione delle eruzioni vulcaniche e una degli apparati vulcanici, descritti nelle opere "Vulcani e fenomeni vulcanici in Italia" e "I vulcani attivi della terra". Questo interesse lo portò a vivere a Napoli per studiare il Vesuvio, il suo vulcano prediletto, di cui descrisse l'attività per circa venti anni, pubblicando i risultati delle sue ricerche nelle "Notizie Vesuviane", del Bollettino della Società Sismologica Italiana. Dal 1911 al 1914, anno della sua morte, diresse l'Osservatorio Vesuviano. Ne tracciamo il percorso di vita e scientifico con Giovanni Pasquale Ricciardi, ricercatore dell'Osservatorio Vesuviano dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (OV-INGV) e responsabile del monitoraggio dei Campi Flegrei, in particolare durante la crisi bradisismica del 1982-84. Negli ultimi anni si è dedicato alla ricostruzione storica dell'attività eruttiva del Vesuvio e dei Campi Flegrei. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche e del "Diario del Monte Vesuvio", opera in circa 900 pagine pubblicata nel 2010 dalle Edizioni Scientifiche Italiane, ha avuto una serie di riconoscimenti tra cui la medaglia d'argento del Presidente della Repubblica e il premio internazionale "Le Pleiadi", come ricercatore dell'anno, alla Camera dei Deputati.
Come era il Vesuvio ai tempi di Mercalli?
Ebbe la fortuna di osservare tutte le tipologie eruttive del Vesuvio: l'attività a condotto aperto, con colate di lava e la formazione delle cupole laviche di Colle Margherita e Colle Umberto; l'attività parossistica, durante l'eruzione del 1906; la fase di ostruzione del condotto dopo il 1906, nel corso della quale studiò le frane interne al cratere, le colate di fango, la formazione di mofete (emissioni di CO2 da fratture laterali) e di nuove fumarole, con relativa attività sismica. E dal 1913 al 1914 fu anche testimone della riapertura del condotto e della formazione di un conetto intracraterico.
Quali sono gli elementi innovativi della sua ricerca in campo vulcanologico?
Sicuramente la capacità di osservare, confrontare e classificare i fenomeni. Inquadrò la storia eruttiva del Vesuvio dal 1631, in periodi eruttivi, separati da intervalli di riposo, e caratterizzati dal ripetersi di attività parossistica a inizio e fine ciclo. Chiamò come suo assistente Alessandro Malladra, dell'Osservatorio Geofisico di Domodossola, per impiantare un moderno sistema di sorveglianza del Vesuvio, con strumenti sismici e periodiche campagne di misure.
Mercalli fu direttore dell'Osservatorio Vesuviano. Qual era il suo programma scientifico-organizzativo?
Nei tre anni della sua direzione, Mercalli fu promotore della rinascita dell'istituto, quasi fatiscente dopo la morte del precedente direttore, Raffaele Matteucci. Con fondi del Ministero ristrutturò l'edificio, dotandolo di laboratori strumentali per lo studio dei prodotti vulcanici e dei precursori delle eruzioni, di un museo e di una biblioteca.
Per Mercalli la vulcanologia aveva una ricaduta sociale?
Nonostante fosse di carattere riservato e solitario, Mercalli aveva molto a cuore la sorte del territorio vesuviano e dei suoi abitanti; frequenti erano le sue conferenze pubbliche e le interviste sui principali quotidiani napoletani, in cui, con parole chiare e dirette, informava la cittadinanza dei fenomeni vulcanici in corso e della loro possibile evoluzione. Non trascurò di avvertire la popolazione anche del rischio legato ai fenomeni post-eruttivi, come le colate di fango e le emissioni di CO2 nelle aree abitate alle pendici del vulcano, in particolare a Torre del Greco.
Aveva anche un intento didattico, educativo?
Sì. Non dimentichiamo che Giuseppe Mercalli fu anche un educatore. A Napoli insegnò per anni al Liceo Vittorio Emanuele II e all'Università. Nelle sue parole traspariva sempre un sincero impegno a rendere consapevole il suo interlocutore della pericolosità dei vulcani e dei terremoti, specie quando si trattava di territori esposti a elevato rischio. Egli agiva nella convinzione che l'unica difesa possibile fosse la prevenzione, e che la capacità di affrontare con sicurezza i i disastri nel futuro non potesse prescindere dalla conoscenza approfondita della storia sismica e vulcanica di un territorio.