Verificare l’effettiva presenza di possibili inquinanti nel terreno attraverso metodologie proprie della geofisica applicata. A fare un quadro sulle tecniche, Marco Marchetti, tecnologo dell’INGV e coordinatore delle attività di monitoraggio ambientale
La bellezza di un paese non si misura solo per gli innumerevoli e diffusi lasciti architettonici e artistici delle generazioni che ci hanno preceduto, per il clima mite, la simpatia della gente, la storia, il folklore e la ricca cucina. La bellezza di un paese si misura anche per il rispetto verso il territorio in cui si vive. La sua mancanza, come spesso accade in Italia, può avere effetti a dir poco devastanti. Il nostro territorio è continuamente violato da azioni lecite e illecite, quasi sempre irreversibili, che lo degradano, lo consumano, lo avvelenano. Parliamo degli occultamenti e seppellimenti di rifiuti, solidi o liquidi, sciolti o aggregati e riposti in contenitori di fortuna, ben sepolti nel terreno, sotto metri e metri di copertura terrosa. Un'applicazione importante delle metodologie geofisiche all'ambiente, con finalità investigative e di monitoraggio, è da molti anni attiva presso l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Il team di esperti, coordinato da Marco Marchetti, ricercatore della sezione Roma 2 dell’INGV, opera per conto delle autorità ispettive e giudiziarie di tutta Italia. "Purtroppo”, spiega Marco Marchetti, “viene occultato in modo illecito un po’ di tutto: dai rifiuti urbani agli pneumatici di automezzi, dagli elettrodomestici alle demolizioni in cemento armato dell’edilizia. E questi sono considerati meno pericolosi e impattanti per l’ambiente. Ben più rischiosi per la salute umana sono invece i rifiuti chimici, i prodotti di scarto dell’industria, delle concerie, le morchie e i residui di vernici e solventi, le polveri di abbattimenti fumi, le scorie industriali, i prodotti farmaceutici, le batterie esauste di automobili”.
Ma l'elenco non termina qui. In alcuni casi questa moltitudine di rifiuti è stata smaltita illecitamente in grosse buche o cavità preesistenti sul territorio e poi ricoperte di terra. “Queste sostanze altamente pericolose sono state spesso conferite in fusti metallici, che negli anni, deteriorandosi, hanno disperso il loro contenuto di veleni. Recentemente il quadro è persino peggiorato: alcuni di questi materiali di scarto sono stati seppelliti sciolti, miscelati al terreno vegetale, rendendo molto difficile la loro individuazione su un manto erboso ricostruito”, prosegue il ricercatore. Il contatto, poi, con le falde idriche sotterranee è una fonte di inquinamento considerevole che si può diffondere anche a grandi distanze dal punto di contaminazione iniziale. “Un contributo significativo al rinvenimento di questi veleni nel sottosuolo”, aggiunge Marchetti, “è fornito da alcune metodologie proprie della geofisica applicata, un insieme di tecniche di esplorazione rapide, economiche e soprattutto non invasive. I rilievi sono eseguiti con sensori, portati a mano o su appositi supporti, direttamente sulla superficie del terreno sospetto. Ogni metodo è calibrato per un target specifico, cioè risponde meglio all’individuazione di una tipologia di materiale. I sondaggi magnetometrici, ad esempio, sono appropriati per l'individuazione di corpi ferrosi (fusti e altri corpi assimilabili), i metodi geo-elettrici ed elettromagnetici (georad) sono indicati per ogni altro materiale che possieda proprietà elettriche diverse dal terreno incassante. Grazie ad una corretta interpretazione dei valori locali di campo magnetico ed elettrico, alterati inaspettatamente mentre si effettua il rilievo, si possono identificare con precisione le aeree incriminate”.
Spesso tali tecniche vengono utilizzate progressivamente per una lettura più dettagliata del sottosuolo. La realizzazione di apposite cartografie, con la rappresentazione di settori anomali, è la fase propedeutica agli scavi che consentono di osservare la natura dei materiali presenti, valutare la loro pericolosità e quindi avviare un piano di rimozione e di bonifica dei siti così individuati. “Verificare l’effettiva presenza di inquinanti nel terreno, fornisce un concreto aiuto al risanamento del territorio e, direttamente o indirettamente, alla salute pubblica dei cittadini”, conclude Marchetti.