“Indicherò l’intensità con la mia scala sismica, aggiungendo il grado XI (catastrofe), come venne proposto dal prof. Cancani.” Giuseppe Mercalli, 1909
Così scrisse l’abate Giuseppe Mercalli nel suo Contributo allo studio del terremoto calabro-messinese del 28 dicembre 1908, la relazione redatta per descrivere quanto avvenuto in Calabria e Sicilia a seguito del disastroso terremoto avvenuto nello Stretto di Messina.
All’epoca Mercalli stava già collaborando con la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni dei contadini nel Mezzogiorno, con l’incarico di definire l’impatto dei terremoti sulla grave situazione di disagio economico nella quale versavano i centri rurali della Calabria e della Basilicata. Per acquisire informazioni dirette sul terremoto dello Stretto, nell’aprile del 1909, Mercalli si recò personalmente nelle località più duramente colpite, in particolare a Messina, Reggio Calabria e in alcuni paesi calabresi. La relazione di Mercalli del 1909 è estremamente dettagliata e ricca di osservazioni rilevanti su tutti gli aspetti dello scenario determinato dal terremoto: dai danni materiali, agli effetti sui suoli, al grande maremoto che colpì le coste dello Stretto. Mercalli fu inoltre il primo a elaborare un elenco di località classificate con i gradi di intensità, utilizzando proprio la sua scala macrosismica, alla quale, come si diceva prima, dovette aggiungere, in questa tragica occasione, il grado XI.Indagini scientifiche complete e dettagliate sugli effetti furono condotte anche da altri scienziati, come Mario Baratta, il più illustre fondatore della sismologia storica italiana, e Giovanni Platania, docente di Fisica terrestre all’Università di Catania, autore dello studio più dettagliato sugli effetti del maremoto.
Le relazioni da loro scritte, insieme a quella di Mercalli, rappresentano un enorme patrimonio, tutt’ora oggetto di studio da parte dei sismologi. Da questi lavori, si comprende come il terremoto del 28 dicembre 1908 sia stato uno dei più forti della storia sismica italiana, una vera e propria catastrofe sia per gli effetti con la distruzione di Messina, Reggio Calabria e di centinaia di paesi, sia per l’altissimo numero di morti, circa 80 mila. Il terremoto avvenne all’alba del 28 dicembre, alle ore 5:20:27 locali, come risulta dal sismogramma registrato all’Osservatorio di Messina. I danni più gravi (equivalenti ad effetti di XI e X grado) furono rilevati in un’area di circa 600 km2: in 76 località della provincia di Reggio Calabria e in 14 della provincia di Messina ci furono distruzioni devastanti, estese dal 70 al 100% delle costruzioni. Nel messinese l’area delle distruzioni totali fu ristretta al territorio del comune di Messina, dove il terremoto distrusse completamente il tessuto urbano. Secondo i dati pubblicati dal Ministero dei Lavori Pubblici nel 1912 le costruzioni che resistettero furono pochissime. La maggior parte crollarono totalmente o ne rimasero in piedi solo le pareti esterne, mentre collassarono tetti, solai, muri divisori e scale. In Calabria il terremoto ebbe effetti distruttivi in un’area molto più estesa di quella siciliana, comprendente tutto il versante occidentale del massiccio dell’Aspromonte. A Reggio le distruzioni furono di entità un po’ inferiore rispetto a Messina, tuttavia nei rioni più popolari i crolli totali furono estesissimi e in molti edifici sprofondarono tutte le parti interne.
“Ma il gran numero di vittime umane si deve certamente in primo luogo all’altezza delle case, […]; in secondo luogo, alle loro condizioni statiche che non corrispondevano a nessuna delle regole più elementari di una edilizia antisismica. I sapienti regolamenti emanati dai Borboni dopo il terremoto del 1783, si erano da tempo dimenticati.” Giuseppe Mercalli, 1909.
Pochi minuti dopo il terremoto, le coste della Sicilia orientale e della Calabria occidentale vennero colpite da devastanti onde di maremoto che causarono la morte di più di 1500 persone. Le informazioni più importanti sugli effetti del maremoto furono raccolte da Giovanni Platania in uno studio monografico pubblicato nel Bollettino della Società Sismologica Italiana nel 1909. Anche Giuseppe Mercalli, come Platania e Baratta, osservò direttamente gli effetti del maremoto soprattutto sulla costa calabrese dello Stretto, da Villa San Giovanni a Capo dell’Armi. Il maremoto fu rilevato da 5 a 10 minuti dopo il terremoto. Sia sulla costa siciliana sia su quella calabrese, il mare dapprima si ritirò e poi invase le coste con parecchie ondate successive, di cui le maggiori furono le prime tre. Secondo la maggior parte dei testimoni la più alta e violenta fu la seconda. Sulla costa orientale della Sicilia l’altezza massima delle onde fu compresa tra 6 e 9,50 metri circa e fu rilevata nel tratto compreso tra la foce della fiumara Portalegni, subito a sud del porto di Messina, e Giardini Naxos. Sulla costa calabrese l’altezza massima delle onde fu compresa tra i 6 e gli 11 metri circa nel tratto da Gallico Marina a Lazzaro, con un massimo di circa 13 metri rilevato da Platania in un punto poco a sud del paese di Pellaro. In alcune delle località più colpite, il maremoto aggravò enormemente le distruzioni causate dal terremoto e fece molte vittime tra le persone scampate ai crolli.