La zona del Nepal, colpita il 25 aprile dal terremoto di magnitudo 7.8, era nota ai geologi e ai sismologi per la sua pericolosità sismica e, in ragione dell’estrema vulnerabilità degli edifici, era ed è tuttora considerata una delle regioni a più alto rischio del mondo. L’attività sismica del Nepal e delle zone circostanti è causata dalla convergenza tra la placca indiana, a sud, e quella euro-asiatica a nord, che ha determinato la formazione della catena dell’Himalaya. Il movimento relativo tra le due placche è di circa 5 centimetri per anno (si stima che circa 2 cm/anno vengano accumulati lungo il margine meridionale della catena montuosa). Questo significa che ogni 100 anni si accumula una deformazione pari a 2 metri di spostamento relativo tra le due placche. Nell’area colpita dal terremoto del 25 aprile non si erano verificati forti terremoti per diversi secoli; per questo motivo la zona intorno alla capitale Kathmandu era considerata un gap sismico.
La figura 2 mostra il potenziale sismico di tutta la fascia di contatto tra la placca indiana e quella eurasiatica (linea curva nera): le colonne colorate in rosso e rosa indicano, per ciascun settore, la quantità di spostamento (in metri) che si poteva verificare con un terremoto. Nel caso della zona colpita dal terremoto del 25 aprile 2015 si ipotizzavano possibili movimenti co-sismici tra 4 e 10 metri. La zona subito a est di quella colpita oggi era stata interessata da un terremoto di magnitudo superiore a 8 nel 1934, e per questo motivo la colonna corrispondente in figura 2 mostra un accumulo pari a “soli” 1-2 metri.
La sezione geologica (nel box in alto a destra della figura 2) mostra come la placca indiana scivoli sotto quella eurasiatica creando l’innalzamento dell’Himalaya. La porzione del contatto tra le placche indicata come “locked” (bloccata, a tratteggio in figura) è quella che rimane ferma – per secoli – nel periodo inter-sismico e che si muove improvvisamente quando viene superata la resistenza della faglia: in quel momento avviene un terremoto che ristabilisce (momentaneamente) l’equilibrio geologico. Per approfondimenti si veda il sito del CIRES:
Il terremoto del Nepal è un buon esempio di come gli studi geologici, geodetici e sismologici possono permetterci di individuare le zone più propense a dar luogo a forti terremoti, pur non essendo possibile identificare quando questi avverranno esattamente. Almeno, non entro un intervallo temporale di ore o giorni. Va considerato che la geologia opera su scale temporali di centinaia di migliaia o milioni di anni, quindi anche un’eventuale “previsione” in una finestra temporale di 10 o 100 anni rappresenterebbe un ottimo risultato.
La conoscenza delle aree ad elevata probabilità di accadimento di un forte terremoto è il primo importante passo per ridurre l’impatto dei terremoti. Anche nel caso di un paese povero come il Nepal, possono essere adottate politiche di riduzione del rischio.