Giornalista, capo redattore RCS esperto di cultura ed enogastronomia, Maurizio Bertera scrive recensioni per la Guida ai Ristoranti dell’Espresso. Ora lavora per il Gambero Rosso, ma collabora anche con magazine e siti dove si tratta il wine & food nel modo giusto: un gioco, un piacere. Non un obbligo, una fissazione.
Forse non esiste terra che più dell’area del Vesuvio trasferiscono nell’immaginario mondiale quella leggerezza, simpatia e amore delle tradizioni che rende l’Italia un vero e proprio unicum nel panorama internazionale.
E’ dalle pendici del vulcano campano, iconografia di mare, sole, buona tavola e natura meravigliosa che partiamo con Maurizio Bertera in un viaggio fra scienza, cultura e cibo. In questo meraviglioso fazzoletto di terra campana, oltre a una cultura millenaria, c’è anche un vulcano, è un vantaggio per la qualità e l’unicità dei sapori?
Sicuramente. Se ne erano già accorti gli antichi romani in particolare per il vino. Tanti scrittori, (Plinio il Vecchio, Catone, Columella e altri) scrissero dei vini del Vesuvio. Marziale (I sec d.C.) disse : «Haec iuga quam Nysae colles plus Bacchus amavit» (Bacco amò queste colline più delle native colline di Nisa). Va ricordato che il suolo vulcanico è uno dei più particolari per la produzione di vino, essendo caratterizzato dalla presenza di minerali non ancora consumati da metabolismi biologici, maggiormente concentrati e in grado di conferire alla vite tante sostanze importanti per lo sviluppo dell’acino. Altro punto a favore del suolo vulcanico è la grande eterogeneità di minerali - nessuno prevale sull’altro - che vanno dal fosforo, potassio, zolfo, calcio, sodio, magnesio sino ai microelementi quali ferro, manganese, rame, zinco, molibdeno. Inoltre terreno vulcanico vuol dire anche sabbioso, originatosi dalle eruzioni, con ceneri molto fini, a elevata permeabilità. Proprio dalle sabbie da eruzione, ben diverse da quelle presenti sul letto di un fiume, si creano le condizioni per ottenere bianchi complessi e sapidi, difficilmente ottenibili in altre zone grazie alla ricchezza di fosforo, magnesio e potassio che donano soprattutto mineralità e acidità.
A tavola, alle falde del Vesuvio cosa non può mancare?
Gli ortaggi in prima battuta, tra cui spiccano i friarielli (broccoli), i carciofi di Acerra o di Stabia, le albicocche di cento specie (Pellecchiella, Boccuccia liscia, Boccuccia spinosa, Cafona, Carpone, Baracca, Vitillo, Monaco, Prete, Palummelle), celebrate nelle sagre a Pollena Trocchia e a Sant’Anastasia. Poi i pomodorini di piccole dimensioni, a partire dal famoso Piennolo E ancora le ciliegie, gli agrumi, le noci, le olive, Sono tutti prodotti inimitabili, veri cru della biodiversità, ricchi di sali e zuccheri, dal sapore marcato, tipico. E naturalmente i vini che hanno la loro massima espressione nella DOC riconosciuta ufficialmente nel 1983: il più noto è il Lacryma Cristi che può essere bianco, rosso, rosato e persino spumante o liquoroso. Ma c’è anche il Vesuvio bianco, rosso e rosato. Secoli di storia, di contaminazioni culturali e di tradizioni millenarie che hanno caratterizzato anche le produzioni tipiche. Nel mondo il vesuviano esporta qualità e accresce il prestigio del brand italiano.
E' questa la ricetta del successo o è tutto merito del Vesuvio e del sole?
E’ un insieme di fattori a decretare il successo di un’eccellenza, qui come nel resto d’Italia. Il “terroir” vulcanico e la situazione climatica sono un’ottima base su cui si può lavorare. Il resto è tradizione e la voglia costante di migliorarsi: è evidente nel caso del vino che la DOC è talmente giovane rispetto ad altre che i margini di miglioramento del prodotto restino notevoli. L'EXPO di Milano ha acceso i riflettori sul cibo, sulla sua cultura e sulla sua storia.
Un’ importante apertura a mercati nuovi che comprendono anche il turismo enogastronomico, nell’area vesuviana esistono percorsi dedicati e quale potrebbe essere la ricetta per valorizzare il patrimonio di un’area che tutto il mondo ci invidia?
C’è una Strada del Vino Vesuvio che sulle orme di tante altre in Italia consente di scoprire paesaggi fuori dal comune e conoscere tutte le produzioni locali. E’ ovvio che in un momento decisamente favorevole per l’enogastronomia mediterranea e campana in particolare, vadano fatti sforzi ancora superiori per fare in modo che l’area vesuviana non resti “limitata” dalla realtà di Napoli e quella della Costiera, sicuramente a livelli di ospitalità e organizzazione superiori.