Signori, noi abbiamo rapiti i fulmini al cielo; ma quel che è e quel che segue a poca profondità sotto questa terra che tutti calpestiamo e dove tutti abbiamo vita e morte, è ancora un gran mistero per noi.
Con queste parole sullo stato dell’arte della ricerca vulcanologica, 175 anni fa l’eminente fisico Macedonio Melloni inaugurava, come primo direttore, la nascita sul Colle del Salvatore (a 608 m s.l.m.) del più antico osservatorio vulcanologico del mondo: l’Osservatorio Vesuviano. Ma da allora, da quando si “rapivano” i fulmini al cielo, è cambiato il mondo. Le sfide tecnologiche si sono affacciate nelle nostre discipline scientifiche.
Ora le nostre Reti di Monitoraggio si basano sulle più moderne tecnologie, con risoluzioni che solo fino a qualche decennio fa erano impensabili.
Al Vesuvio e ai Campi Flegrei sono installate Reti di Monitoraggio di ultima generazione che forniscono una gran mole di informazioni e dati. I Campi Flegrei nella scala dei livelli di allerta sono a un livello di “Attenzione”, identificato dal colore giallo. La loro ultima eruzione risale al 1538. Il Vesuvio, invece, è ad un livello di allerta base, identificato dal colore verde. Ha eruttato per l’ultima volta nel 1944. Anche Ischia, l’ultimo dei vulcani napoletani ha visto la sua ultima eruzione diversi secoli fa: nel 1302. Monitorare vulcani napoletani assume il valore di una sfida: non esiste una pregressa esperienza strumentale dell’attività eruttiva (se si eccettua qualche segnale dell’eruzione del 1944 al Vesuvio). Inoltre i segnali associati all’attuale dinamica dei tre vulcani sono quasi tutti di bassa energia. Studiarli, caratterizzarli e da essi definire in modo appropriato lo stato del vulcano ha delle criticità maggiori rispetto al monitorare segnali di forte energia. I segnali di bassa energia si perdono nel rumore, sono spesso ai limiti della detenzione dei nostri strumenti. Infatti eventuali variazioni, anche di lieve entità, dei parametri monitorati (in particolare per i Campi Flegrei) potrebbero risultare in importanti variazioni dello stato dinamico dei nostri vulcani. Pertanto rilevarle è un imperativo categorico. E allora ci sforziamo di utilizzare o mettere a punto tecniche scientifiche sempre più raffinate per correggere la nostra miopia strumentale e cogliere anche la più piccola variazione nello stato dei vulcani in una delle aree a maggior rischio vulcanico del pianeta. Ed ecco che, ad esempio, usiamo le antenne sismiche che ci fanno scoprire tutto quello che i nostri vulcani fanno in quelle bande di frequenza che sono proprie dei movimenti di magma o di fluidi. Informazione fondamentale sui vulcani, dove l’insorgenza di eventi a bassa frequenza o di tremore ce ne racconta lo stato dinamico. E analizzando con tecniche sofisticate i segnali registrati da tali antenne abbiamo scoperto che sia al Vesuvio che ai Campi Flegrei ogni tanto qualcosa si muove generando eventi a bassa frequenza, i Long Period (LP), di bassissima energia, e raramente anche tremore. Generalmente non è l’oscillazione di magma la sorgente di tali segnali, bensì i movimenti del fluido idrotermale o una sequenza di rotture che avvengono in un piccolo volume e non sullo stesso piano di faglia. Il che da un punto di vista della definizione degli scenari di pericolosità è un’informazione di grande rilevanza. Com’è rilevante, da un punto di vista del monitoraggio, caratterizzare l’energia degli eventi a bassa frequenza. Per gli LP, infatti, non esisteva una scala di magnitudo a causa della particolarità delle caratteristiche del loro meccanismo di sorgente. Abbiamo messo a punto tale scala, il che consentirà di realizzare cataloghi completi di eventi a bassa frequenza, permettendo di confrontare le caratteristiche energetiche degli eventi LP in tutto il mondo. Abbiamo imparato a leggere informazioni nelle forme d’onda di quella parte di registrazioni sismiche che fino a qualche anno fa era considerato un inutile fardello di terabyte: il rumore sismico.
Oggi ne monitoriamo in continuo le caratteristiche, attenti a ogni suo cambiamento che potrebbe testimoniare l’insorgere di variazioni nello stato dinamico dei nostri vulcani. Un capitolo a parte riguarda sicuramente il monitoraggio geochimico dei nostri vulcani. La geochimica dei fluidi, per sua natura vive un legame indissolubile tra monitoraggio e ricerca. Senza la capacità scientifica di definire modelli, l’interpretazione dei dati geochimici del monitoraggio diventa impossibile. Le mappe spazio-temporali del flusso di CO2 (anidride carbonica) ai Campi Flegrei rappresentano un importantissimo esempio di circolo virtuoso tra ricerca e monitoraggio, mappe che ci raccontano come negli ultimi anni questo parametro sia aumentato in modo critico nell’area e che hanno contribuito alla decisione di innalzare nell’area vulcanica il livello di allerta dal verde al giallo. Altro esempio è il monitoraggio della CO (monossido di carbonio) delle fumarole, che porta in sé anche l’informazione sul riscaldamento e sull’aumento di pressione del sistema investigato. Un ulteriore importante contributo è quello alla sicurezza del volo aereo e riguarda il monitoraggio delle ceneri vulcaniche. Già approntato per l’operatività, nonostante Vesuvio e Campi Flegrei non siano, allo stato attuale, in eruzione. Sofisticati sistemi di calcolo permettono di definire i modelli previsionali che, qualora i vulcani si attivassero, verrebbero trasmessi al Dipartimento di Protezione Civile per le azioni conseguenti. Un monitoraggio efficace, moderno e perciò ricco di contenuti, non può che fondarsi saldamente sui pilastri della ricerca scientifica. Per sua natura il monitoraggio delle aree vulcaniche è multidisciplinare e la sua riuscita è funzione dell’armonica integrazione tra la sismologia, la geochimica, la geodesia e la vulcanologia, in un connubio che genera conoscenza.