Una vera e propria sfida. Ridurre le emissioni inquinanti è oramai l’unica strada per limitare l’aumento della temperatura globale e, conseguentemente, dell’aumento del livello del mare. Dalla fine dell’Ottocento la Terra ha subito un riscaldamento medio di 0,85°C. E, in questi ultimi 50 anni il riscaldamento globale ha persino coinciso con un aumento delle emissioni di CO2 (anidride carbonica). Da qui la volontà nel 2011 dei governi di tutto il mondo di contenere il riscaldamento globale entro i 2°C. Un impegno già sottoscritto nel 1997 con il Protocollo di Kyoto per ridurre le emissioni di gas serra nell’arco di 20 anni, e ribadito nel 2015 con l’Accordo di Parigi, firmato da ben 195 Paesi. Questo, fino all’annuncio del presidente americano Donald Trump di uscire dall'accordo sul clima di Parigi, siglato dal suo predecessore, in occasione dell’ultimo G7 di Taormina.
I cambiamenti climatici causano lo scioglimento dei ghiacci polari, l’espansione termica degli Oceani e il continuo aumento del livello marino. Quest’ultimo, con i movimenti delle placche tettoniche, i terremoti e l’attività vulcanica, è da annoverare tra le maggiori cause dell’arretramento delle zone costiere a livello mondiale. In Italia diverse sono le aree colpite: dai Campi Flegrei, all’alto Adriatico, alle piane costiere del Tirreno, fino alla Sardegna, Sicilia, Calabria e isole Eolie. A fare un quadro su queste zone maggiormente a rischio, lo studio Coastal structure, sea-level changes and vertical motion of the land in the Mediterranean, realizzato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). La ricerca, pubblicata su Special Publication n.388 della Geological Society of London (
I dati mostrano una continua risalita del livello delle acque nel Mediterraneo, confermando le previsioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) sull’aumento del livello del mare di circa 1 metro entro la fine del secolo, con conseguente arretramento delle coste e danni alle strutture, in particolare nelle zone subsidenti. Fenomeno che porterebbe tali aree a un maggiore e progressivo rischio di allagamento, con conseguente esposizione di valore economico, in particolare delle zone a elevato valore industriale, commerciale, turistico e culturale, come Venezia, soprattutto se in aggiunta a grandi mareggiate e tsunami. Le zone più a rischio di ingressione marina in Italia sono: le coste presso la foce del Po, la laguna veneta, parte della costa Tirrenica, della Sardegna, della Sicilia della Calabria e le isole Eolie. Lo stesso per le coste della Turchia e della Grecia che, non a caso, sono anche quelle più sismiche del Mediterraneo. Meno esposte, invece, le coste Israeliane e parte del Nord Africa. Nuovi studi di dettaglio sono stati recentemente pubblicati nel 2107 proprio per l’area Italiana, illustrando scenari sui cambiamenti delle coste per l’isola di Lipari (Flooding scenarios due to land subsidence and sea-level rise: a case study for Lipari Island (Italy),Terra Nova n. 29: 44–51, 2017, doi: 10.1111/ter.12246) o per altre zone (Sea-level rise and potential drowning of the Italian coastal plains: Flooding risk scenarios for 2100, Quaternary Science Reviews 158 (2017) 29-43,
In questo numero si parlerà della partecipazione dell’INGV e CNR alla sezione Cinema e Scienza al Bari International Film Festival e del tributo al regista-produttore Jaques Perrin per i suoi film legati al tema dell’ambiente; del Terremoto del Belìce, il «precedente» di tutti i terremoti dell’Italia post-bellica; e dell’analisi dei danni dopo le scosse del 26 e 30 ottobre in Italia centrale. Ma anche dell’ omaggio a Totò, con una visita-spettacolo nel cratere flegreo per fare il punto sulla ricerca scientifica e sul monitoraggio vulcanico dei Campi Flegrei; di Bufale, post-verità e la buona informazione scientifica; di strumenti storici e molto altro ancora.
Buona lettura