Osservare le variazioni del campo magnetico terrestre in prossimità di un vulcano può restituire preziose informazioni sul suo stato, fornire scenari utili alla gestione delle emergenze vulcaniche e documentare siti archeologici nascosti
Il carattere magnetico di un vulcano e le sue variazioni temporali sono aspetti interessanti da osservare per capire il suo stato di "salute" e seguirne le evoluzioni nel tempo. Le rocce che formano gli edifici vulcanici contengono una grande quantità di minerali magnetici che possono generare dei campi magnetici talmente forti da compromettere anche il corretto uso delle bussole. Con una rete di magnetometri, opportunamente dislocati sull'edificio del vulcano, è possibile osservare le variazioni locali strettamente connesse alla dinamica dei magmi. Generalmente lo status magnetico di un vulcano in quiete rimane immutato nel tempo, ma quando questo è in procinto di eruttare, ossia quando il magma risale nei condotti per raggiungere la superficie e dare origine ad un’eruzione, oppure in caso di circolazione di fluidi che possono interessare vasti volumi dell'edificio vulcanico anche senza raggiungere la superficie, allora le cose cambiano. I minerali magnetici, infatti, possono cambiare la loro magnetizzazione quando sono soggetti ad una variazione di temperatura o quando sono sottoposti ad un campo di sforzo, modificando di conseguenza la "carica" magnetica del vulcano. È necessario però essere pronti ad intercettare anche il più debole segnale che il vulcano manifesta, attraverso una efficace e costante attività di monitoraggio.
"E' proprio questo l'obiettivo più importante e nobile della rete permanente per il monitoraggio magnetico dell'Etna", afferma Rosalba Napoli, ricercatrice presso la sede INGV di Catania e responsabile della rete. “Infatti anche l'Etna, il vulcano più grande d'Europa, può vantare, da oltre 15 anni, una rete per il monitoraggio magnetico, composta da 8 stazioni remote poste sull’edificio vulcanico e una stazione di riferimento sui Monti Nebrodi a circa 27 km. Tutte le stazioni - dotate di un magnetometro scalare che esegue ogni 5 secondi la misura del campo totale, un ricevitore GPS per la sincronizzazione delle misure e di un sistema di trasmissione dati per condividere i dati anche con utenti esterni - sono ubicate sull’edificio vulcanico lungo un profilo Sud-Nord che attraversa la zona sommitale dai 1700 ai 3000 m di quota.”.
La disposizione simmetrica, rispetto ai crateri centrali, garantisce una prospezione continua del campo geomagnetico lungo questa sezione del vulcano. Tale geometria, inoltre, permette di discriminare facilmente le sorgenti profonde da quelle superficiali. Le stazioni più lontane dai crateri rilevano fenomeni profondi e mostrano variazioni regolari correlate con i cambiamenti globali della attività vulcanica. Al contrario, le stazioni più vicine alla zona craterica possono rilevare intense anomalie vulcano-magnetiche correlate con l'attività superficiale.
“Dalla lunga serie di dati geomagnetici acquisiti dalla rete si è capito che le variazioni del campo dovute a intrusioni magmatiche negli strati più superficiali del vulcano generano anomalie di origine piezomagnetica. Si tratta di variazioni irreversibili che, insieme allo sciame sismico e alle deformazioni del suolo che in genere precedono e accompagnano il processo intrusivo, marcano la ripresa dell’attività eruttiva. Un esempio di questo fenomeno è quanto successo nell’eruzione dell’Etna del 2001, del 2002 e del 2008”, prosegue la ricercatrice.
Generalmente la graduale, e a volte forte, variazione dell’intensità del campo magnetico si arresta bruscamente indicando l’esaurirsi del fenomeno intrusivo sia nel caso in cui avvenga emissione di lava come nell’eruzione del 2001 e del 2002, sia nel caso in cui l’intrusione produca fratture non eruttive come nel caso del 2008.
“Questa chiara correlazione spazio-temporale, con l’intero processo intrusivo, permette di seguire in near real time l’evoluzione del fenomeno e di fornire importanti informazioni in ambito di protezione civile”, spiega Rosalba Napoli. “E’ possibile, infatti, seguire la possibile evoluzione dell’attività vulcanica in atto fornendo scenari che possono allertare la comunità scientifica per quanto riguarda il rischio sismico e vulcanico relativo al versante del vulcano dove è ubicata la sorgente magmatica”.
Ancora una volta, l'osservazione e lo studio del campo magnetico terrestre permettono, a scala locale, applicazioni importanti per il monitoraggio dell'attività vulcanica e, su scala spaziale ancora più piccola, persino applicazioni in ambito archeologico.
“Con una prospezione magnetica, sfruttando il campo magnetico terrestre come sorgente e osservando le sue variazioni spaziali causate dalle anomalie di corpi sepolti (mura antiche, tombe, camere sotterranee, lastricati stradali, etc.) su un'area di interesse archeologico, si possono inoltre elaborare dettagliate mappe del sottosuolo e fornire indicazioni precise su dove condurre gli scavi”, aggiunge la ricercatrice. “Queste tecniche permettono un notevole risparmio di tempo e di risorse economiche”.
L'Etna deve aver esercitato tanto fascino e attrazione sui primi coloni greci che approdarono per la prima volta sul suolo siciliano che, noncuranti dei potenziali pericoli, hanno fondato città come Naxos, Paternò, Adrano e la stessa Catania nelle sue pendici e intorno al suo edificio.
“Proprio a queste zone sarebbe interessante applicare il metodo magnetico per contribuire a documentare alcuni siti archeologici”, conclude Rosalba Napoli. “Il vulcano sembra aver voluto nascondere e tutelare i tesori di queste aree con coltri di colate e ceneri vulcaniche, che attraverso idonee prospezioni magnetiche potrebbero essere svelate. Qui però il riconoscimento dell’impronta magnetica di carattere archeologico, tipicamente molto debole ma ben evidente se il terreno incassante è privo di minerali magnetici, diventa un’impresa ardua. Sui terreni etnei, quindi, è sicuramente una sfida impegnativa. Una storia da provare…”.
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