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Il manto stradale della strada Mareneve ricoperto da uno strato discontinuo di cenere e lapilli scoriaceiGli eventi esplosivi che l’Etna ci ha regalato in questi giorni rappresentano senz’altro uno spettacolo unico, irripetibile e pieno di fascino. Negli ultimi 20 anni l’attività eruttiva dell’Etna ha generato decine di episodi parossistici dai crateri sommitali e almeno due importanti eruzioni laterali, emettendo nell’atmosfera consistenti quantità di piroclastiti o tefra (particelle vulcaniche di varie dimensioni) e formando spettacolari colonne eruttive sopra il vulcano. 

A partire dal 3 dicembre scorso, il cratere Voragine è entrato in eruzione producendo 4 episodi di fontana di lava nel giro di 3 giorni associate a colonne eruttive e, soprattutto, durante i primi 2 eventi, a copiose ricadute di tefra al suolo. A seguire, durante le prime ore del 6 dicembre il Nuovo Cratere di Sud-Est (NCSE) ha generato un’intensa attività stromboliana con un pennacchio eruttivo più modesto, l’8 dicembre infine è entrato in attività anche il Cratere di Nord-Est (CNE) con discontinue emissioni di cenere, che sono poi gradualmente aumentate in termini di frequenza e intensità la mattina del 9 tanto da formare un pennacchio continuo di colore bruno che si è allungato sul fianco orientale del vulcano.
“Le piroclastiti o tefra” spiega Daniele Andronico, vulcanologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Catania - Osservatorio Etneo (INGV-OE), “sono il risultato del processo di frammentazione del magma ad opera dei gas durante l’attività eruttiva che danno origine a particelle vulcaniche solide di varie dimensioni: ceneri, lapilli e bombe. La porzione sommitale della colonna eruttiva viene sospinta lateralmente dai venti dominanti che soffiano in quota, causando la formazione di una nube eruttiva o plume vulcanico che si allunga sopra i fianchi del vulcano e, nel caso di eventi eruttivi più intensi, oltre l’edificio vulcanico. Durante il trasporto in atmosfera, le piroclastiti vengono ‘selezionate’ e ricadono al suolo secondo le loro dimensioni o densità: le particelle più grossolane cadono in aree prossime alla bocca eruttiva, quelle più fini, possono essere trasportate anche a centinaia di km di distanza dal vulcano prima di ricadere”.
L'evento parossistico del 3 dicembre si colloca fra quelli più violenti dell’ultimo ventennio, lo stesso cratere Voragine ha dato luogo a due parossismi particolarmente intensi, il 22 luglio 1998 e il 4 settembre 1999, con caratteristiche simili a quelle del parossismo del 3 dicembre 2015. Entrambi gli episodi hanno prodotto fontane di lava e abbondante ricaduta di materiale piroclastico.
Ma vediamo anche altri aspetti della stessa storia. In pochi giorni l’attività eruttiva a 3 dei 5 crateri sommitali dell’Etna, ha causato una ricaduta quasi incessante di ceneri e lapilli sui fianchi medio alti del vulcano e di ceneri su quelli inferiori e oltre, interrotta, solo per poche ore di pausa, tra un evento parossistico e l’altro. Sebbene le popolazioni residenti sui fianchi dell’Etna siano ormai abituate a convivere con queste attività vulcaniche, ciò non toglie che gli effetti sul territorio possano essere rilevanti tanto più l’emissione di tefra in atmosfera è continua e significativa in termini di quantità.
“Il pericolo maggiore lo soffrono i principali scali aerei della Sicilia orientale e lo scalo di Reggio Calabria. Le nubi eruttive, infatti, possono interferire pesantemente sia sul traffico aereo in atmosfera che sulle operazioni aeroportuali. Le particelle di cenere possono essenzialmente produrre abrasioni sulle superfici esterne degli aerei, in particolare sui finestrini della cabina di pilotaggio e quindi significativa riduzione di visibilità, inoltre, possono essere ingerite dalle aperture presenti sui vettori, in particolare i motori, provocando il blocco parziale o totale delle turbine. Durante l’attività eruttiva di questi giorni, lo scalo di Catania ha subito quasi ogni giorno la temporanea chiusura per diverse ore o la chiusura di alcuni dei settori di volo, con ripercussioni significative sul traffico aereo a causa dei numerosi voli limitati, cancellati o dirottati su altri scali, sia in arrivo che in partenza, e gravi disagi ai passeggeri e all’economia locale” chiarisce ancora Daniele.

Coltivazione di insalata ricoperte da cenere caduta sul litorale orientale ionico

La ricaduta al suolo produce anch’essa una serie di inconvenienti, soprattutto se la rimozione delle piroclastiti non avviene in tempi rapidi. Il traffico stradale viene parzialmente compromesso, la cenere, infatti, provoca lo slittamento in fase di avvio sia ai mezzi a due ruote che ai veicoli, ne riduce la stabilità e ne pregiudica l’arresto in caso di frenatura.

“Gli effetti sulla salute umana possono essere anch’essi significativi. La continua frantumazione meccanica della cenere sull’asfalto da parte delle macchine genera particelle di cenere più fini che vengono continuamente risollevate in aria e possono essere inalate dalle persone ad una altezza cosiddetta respirabile. Disturbi e irritazioni agli occhi possono essere molto frequenti, e l’unico sollievo, specie nei centri urbani, è indossare mascherine e occhiali protettivi. Gli enti locali, in genere i Comuni, ma anche i cittadini privatamente, rimuovono spesso le ceneri da terra con macchine “soffiatrici” che spostano le stesse da una zona ad un’altra rinviando il problema della loro rimozione ma soprattutto contribuendo ad incrementare la rimobilizzazione delle particelle più fini e quindi la loro risospensione in aria” prosegue Daniele.
Non sono da sottovalutare i danni all’agricoltura per l’accumulo di ceneri sulle superfici di frutta e verdura. Le ceneri basaltiche dell’Etna, particolarmente abrasive, creano piccole lacerazioni e macchie nere sulla superficie che da una lato possono compromettere il processo di maturazione e dall’altro ne pregiudicano l’aspetto. Questo è quanto accade in genere agli agrumi, la cui coltivazione è uno dei punti di forza dell’agricoltura siciliana, riducendone parzialmente o totalmente la commerciabilità.
“Come se non bastasse, la copertura di ceneri e lapilli sui tetti delle abitazioni, se non rimossi rapidamente, causa l’accumulo e il ristagno di acqua piovana che poi col tempo filtra sui soffitti e sui muri formando muffa e umidità. Conseguenze simili si hanno sulle grondaie delle case, che perdono la loro efficienza. Inoltre l’accumulo di tefra lungo le strade può causare temporanee ostruzioni delle grate, compromettendo localmente il drenaggio delle acque piovane. Durante gli eventi esplosivi più violenti, infine, la ricaduta in aree turistiche e nei centri urbani di scorie di taglia decimetrica (e talora maggiore) può causare danni significativi alla carrozzeria e ai vetri, finanche la loro rottura” conclude Daniele Andronico.

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