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La scorsa settimana l’INGV, in collaborazione con i colleghi francesi dell’Institut de Radioprotection et de Sûreté Nucléaire, ha aperto 3 trincee per studi paleosismologici lungo la faglia del terremoto del 30 ottobre 2016 (Mw 6.5), con l’obiettivo di individuare e datare i terremoti antenati di quest’ultimo che hanno a loro volta prodotto rotture dall’ipocentro fino alla superficie.

https://ingvterremoti.files.wordpress.com/2017/07/faglia-traccia1.png?w=1208&h=680 1208w, https://ingvterremoti.files.wordpress.com/2017/07/faglia-traccia1.png?w=150&h=84 150w, https://ingvterremoti.files.wordpress.com/2017/07/faglia-traccia1.png?w=300&h=169 300w, https://ingvterremoti.files.wordpress.com/2017/07/faglia-traccia1.png?w=768&h=433 768w, https://ingvterremoti.files.wordpress.com/2017/07/faglia-traccia1.png?w=1024&h=577 1024w" sizes="(max-width: 604px) 100vw, 604px" style="background: 0px 0px; border: none; margin: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline; max-width: 98%; width: auto; height: auto;">

Infatti, il terremoto del 30 ottobre ha rotto la crosta terrestre dall’ipocentro alla superficie producendo sui versanti occidentali dei Monti Vettore-Bove e nelle piane sottostanti degli scalini che interrompono le morfologie e si estendono per circa 25 km (Rapporto di sintesi sul terremoto del 30 ottobre M 6.5 in Italia Centrale).

Questi effetti geologici prodotti dal terremoto in superficie sono avvenuti anche con i terremoti del passato e se conservati nel record geologico possono essere letti e interpretati dai paleosismologi. Ma perché questi studi? Il passato è una chiave per conoscere il futuro. Quindi per poter modellare il comportamento sismico nel futuro di una regione utilizziamo tutta la storia sismica precedente che si basa principalmente su dati di sismologia storica, recente, ma anche di “archeosismologia” e “paleosismologia” che ci permettono di estendere le informazioni sui grandi terremoti indietro nel tempo di alcune migliaia di anni.