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L’ago nella roccia: alla scoperta del campo magnetico terrestre
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- Scritto da Sara Stopponi
Un grande libro illustrato a colori, il nostro Pianeta. Un susseguirsi di pagine che raccontano la storia e le gesta di popoli tra loro diversissimi, accomunati da una sola grande Casa. Ma sotto queste pagine, tra le righe di questo avventuroso romanzo, è il nostro stesso Pianeta a raccontarci la sua di storia. E lo fa attraverso le sue montagne, i suoi vulcani, i suoi profondi oceani.
È proprio nelle rocce delle nostre montagne che alcuni scienziati, nei loro laboratori, riescono a rintracciare gli indizi di un passato ormai lontanissimo per ricostruire un fenomeno affascinante e ancora quasi tutto da scoprire: le inversioni del campo magnetico terrestre.
Anche l’INGV, nel suo Laboratorio di Paleomagnetismo, studia i frammenti rocciosi per analizzare i minerali ferromagnetici ancora presenti al loro interno e ricomporre il puzzle della complessa storia del nostro campo magnetico.
Ne abbiamo parlato con Chiara Caricchi, ricercatrice dell’Istituto che da diversi anni si occupa proprio di paleomagnetismo e di variazioni del campo magnetico della Terra, nonché delle applicazioni che questi studi possono avere nella comprensione di molti processi e fenomeni geologici.
Chiara, cos’è il campo magnetico terrestre e come si genera?
La Terra ha un proprio campo magnetico (definito campo geomagnetico) che, secondo gli studi finora svolti, è presente da circa 3,5 miliardi di anni.
In prima approssimazione possiamo assimilare il campo magnetico terrestre a un campo generato da un magnete dipolo situato al centro della Terra. In realtà, tuttavia, la forma del campo geomagnetico è più complessa di quella connessa a una barra magnetica.
Il campo geomagnetico si genera principalmente nella parte esterna del nucleo del nostro Pianeta, che è liquida e formata da una lega di nichel e ferro. Questo materiale metallico fuso si muove con dei moti convettivi molto complessi a causa della rotazione terrestre e, essendo fortemente conduttore di elettricità, genera il nostro campo magnetico. Il campo magnetico terrestre è molto importante poiché grazie ad esso ha origine la magnetosfera, ovvero quello scudo che protegge la Terra dai venti solari e consente di mantenere integra l’atmosfera e abitabile il nostro Pianeta.
Come avviene una inversione di polarità del campo magnetico della Terra?
Il meccanismo con cui il campo magnetico si genera e, di conseguenza, di come si generano le inversioni di polarità non è stato ancora totalmente compreso e continua ad essere oggetto di studio.
Sappiamo però che cambiamenti nel nucleo del nostro Pianeta (come, ad esempio, delle variazioni dei moti convettivi) si riflettono nelle variazioni secolari del campo magnetico.
Diverse ricerche affermano che il campo magnetico si inverte nell’arco di qualche migliaio di anni, fino a centinaia di anni come ha mostrato un recente studio condotto da colleghi dell’INGV.
Parlando di campo magnetico si riconoscono, quindi, due periodi ugualmente stabili: quello a polarità cosiddetta “normale”, quando le linee di forza del campo magnetico escono dall’emisfero australe ed entrano da quello boreale, e quello a polarità inversa. Attualmente noi siamo in un’epoca a polarità “normale”.
Ad oggi sappiamo che vi sono stati diversi periodi di polarità nel passato grazie al paleomagnetismo, ovvero la scienza che ci permette di studiare il campo magnetico attraverso l’analisi delle rocce. Le rocce, infatti, sono costituite - tra gli altri - da minerali ferromagnetici che si comportano un po’ come gli aghi delle bussole: al momento della formazione della roccia questi minerali si orientano secondo il campo magnetico terrestre presente in quel momento. Questo ci consente di avere a disposizione, ad esempio, l’informazione “congelata” nella roccia di come era il campo magnetico terrestre anche diversi milioni di anni fa.
Quindi sono essenzialmente le rocce a restituirci le tracce delle passate inversioni del campo magnetico terrestre…
Esatto, sono le rocce che “interroghiamo” con gli studi paleomagnetici andando ad osservare il magnetismo residuo in esse presente. Questo perché le misurazioni dirette delle variazioni del campo magnetico non riescono ad andare più indietro di qualche secolo (i primi osservatori magnetici risalgono infatti alla prima metà del XIX secolo). Ci affidiamo quindi alle misurazioni indirette come quelle effettuate a partire dal materiale roccioso.
Ogni quanto si verificano mediamente queste inversioni e a quando risale l’ultima?
L’ultima inversione del campo magnetico terrestre è avvenuta circa 780.000 anni fa e ci ha condotti nella nostra epoca a polarità normale. Non è però possibile indicare ogni quanto tutto ciò avvenga, poiché le inversioni non sono regolari: basti pensare, ad esempio, che nel Cretacico si è verificato un lungo periodo di tempo (tra 121 ed 83 milioni di anni fa) in cui il campo magnetico ha mantenuto una polarità normale; viceversa, negli ultimi 20 milioni di anni la polarità si è invertita in modo molto più frequente.
Qual è un indicatore dell’avvicinarsi - in tempi geologici - di una inversione di campo?
Nel corso di studi effettuati su varie sequenze di rocce si è osservato che, di norma, il campo magnetico terrestre va incontro a una inversione di polarità quando si ha una diminuzione di intensità del campo magnetico stesso. Quindi, in generale, un campo magnetico di intensità molto bassa è solitamente associato a una più probabile “prossima” inversione della polarità.
Abbiamo detto che il campo magnetico genera il nostro scudo, la magnetosfera: quali potrebbero essere gli effetti sulla Terra di un campo magnetico di bassa intensità?
Provocherebbe senz’altro una generalizzata diminuzione della protezione del nostro Pianeta dagli effetti delle particelle cariche provenienti dal Sole, che potrebbero penetrare fino a zone più prossime alla superficie terrestre. Questo, a sua volta, potrebbe portare a delle ripercussioni sul mondo tecnologico, sui sistemi di distribuzione della rete elettrica e sui sistemi satellitari.
Quando si parla di campo magnetico terrestre si fa riferimento anche ai poli magnetici. Qual è la differenza tra poli magnetici, poli geomagnetici e poli geografici?
Il polo geografico è il classico polo Nord o polo Sud che si studia a scuola: l’intersezione tra l’asse di rotazione terrestre e la superficie terrestre.
Il polo geomagnetico è invece l’intersezione tra l’asse del dipolo magnetico (che si discosta dall’asse terrestre di circa 11°) e la superficie terrestre.
Il polo magnetico è, infine, il punto in cui le linee di forza del campo magnetico diventano “perpendicolari” e rientrano nella superficie terrestre, quando l’inclinazione è di circa 90°.
Gli studi di paleomagnetismo che conduciamo anche noi all’INGV indagano i poli geomagnetici.
Sappiamo che nel corso del tempo i poli geomagnetici “camminano”. Con che velocità si spostano?
Hanno una velocità piuttosto variabile. Un nostro recente lavoro ha ricostruito la posizione del polo geomagnetico nell’Olocene, ossia negli ultimi 11.700 anni, e ci ha mostrato come, nel suo movimento, il polo alterni delle fasi più stazionarie ad altre in cui invece accelera sensibilmente il suo moto.
In che modo e con che strumenti l’INGV si occupa di queste tematiche così varie?
In Istituto abbiamo il Laboratorio di Paleomagnetismo in cui effettuiamo misure e analisi della magnetizzazione rimanente di rocce e sedimenti ottenendo informazioni sulle variazioni del campo magnetico terrestre alla scala del tempo geologico. Queste informazioni hanno poi varie applicazioni in diversi ambiti delle Scienze della Terra: ricostruire le variazioni del campo magnetico terrestre nel passato, con le sue inversioni; effettuare una ricostruzione della magnetostratigrafia, che, integrata con analisi biostratigrafiche e datazioni radiometriche, permette la datazione di eventi geologici e climatici; studiare la mineralogia magnetica di sedimenti provenienti dall’Artide e dall’Antartide per ricostruire le passate variazioni ambientali e climatiche; datare le lave per comprendere la storia eruttiva dei vulcani; definire l’evoluzione tettonica di un’area e ricostruire le fasi della formazione delle catene montuose.
Quali saranno i prossimi passi dell’Istituto in questo genere di ricerche?
I progetti importanti che abbiamo in atto in questo momento sono davvero molti. In particolare io sono impegnata in progetti volti a studiare le variazioni paleoclimatiche del passato, un tema molto “di tendenza” in questo momento storico, poiché la conoscenza di ciò che è avvenuto nel passato può consentirci di capire cosa sta accadendo oggi e predire scenari futuri.
In particolare con le analisi paleomagnetiche dei sedimenti possiamo infatti ricostruire la variazione del campo magnetico, che rappresenta un prezioso strumento di datazione, permettendo di definire l’età dei sedimenti e di comprendere quando si sono verificati i processi legati alle variazioni climatiche passate. Inoltre, mediante l’analisi della mineralogia magnetica, si possono ricostruire le variazioni dei parametri magnetici legati ai mutamenti paleoambientali, paleoclimatici e paleoceanografici arricchendo il quadro della comprensione di cosa sia avvenuto in epoche remote sul nostro Pianeta.
In copertina: successione di rocce per analisi magnetostratigrafiche (foto di Leonardo Sagnotti)
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