Da sempre motivo di grande fascino e curiosità per l’uomo, il vulcano ha storicamente occupato un posto di prim’ordine anche nella mitologia. Basti pensare a Efesto, figlio degli dei greci Zeus ed Era, creatore degli oggetti più magnifici di cui si servivano le divinità e delle armi più potenti che venivano imbracciate dagli eroi. Nell’immaginario collettivo di noi italiani l’eruzione che più suscita curiosità e interesse è senza dubbio quella che nel 79 d.C. distrusse la città di Pompei. Un fenomeno naturale drammatico e sconvolgente, dalla dinamica tragica ma al tempo stesso vitale. Vitale come la ginestra cui Giacomo Leopardi dedica una delle sue ultime liriche: è proprio la vista del Vesuvio, infatti, a indurre il poeta a riflettere sull’evanescenza delle glorie terrene e, al contrario, sulla tenacia di questa pianta in grado di resistere caparbiamente anche agli eventi naturali più disastrosi. Potenza, drammaticità, rinascita: sono tutti elementi che accompagnano alla grande valenza scientifica anche il trasporto e la forza espressiva propri del mondo dell’arte. Abbiamo parlato di questa accattivante ambivalenza del fenomeno “vulcano” con una ricercatrice INGV che negli anni si è appassionata alla relazione tra arte e scienza, Micol Todesco.
Il fascino a tratti “poetico” del vulcano colpisce anche chi lo studia scientificamente “in prosa”?
Assolutamente sì. L’eruzione di Pompei, in particolare, continua ad esercitare il suo particolare fascino anche e soprattutto sulla comunità dei vulcanologi che la guardano e la studiano da un punto di vista scientifico. Il principale obiettivo del lavoro degli esperti è quello di ricostruire la complessa dinamica delle fasi eruttive e il loro impatto sul territorio abitato. Nel caso specifico di Pompei, però, la conoscenza scientifica accumulata con pazienza si accompagna all’emozione profonda per un evento che è magistralmente rappresentativo del rapporto tra le formidabili forze che plasmano il pianeta e le comunità di persone che lo popolano. Per questo l’autunno scorso ci è piaciuto interagire con il MADRE, museo di arte contemporanea di Napoli, dove era allestita la mostra Pompei@Madre. Materia Archeologica: Le Collezioni, curata da Massimo Osanna, Direttore Generale del Parco Archeologico di Pompei, e Andrea Viliani, Direttore Generale del MADRE (Museo d’Arte Donnaregina di Napoli). Introducendo brevi contenuti scientifici in un contesto artistico e archeologico, ci siamo divertiti a sfumare i confini fra arte, scienza e storia. L’esposizione Visions of the Earth – L’arte e la cultura visuale sismografica e vulcanologica, curata da Fabiola Di Maggio, antropologa delle immagini e Dottore di Ricerca in Studi Culturali Visuali e Museali all’Università di Palermo, è un altro esempio di questo felice connubio fra arte e scienza.
Cosa significa ad oggi convivere con un vulcano e in che modo l’arte può influenzare questa convivenza?
Convivere con un vulcano significa senza dubbio confrontarsi con una condizione complessa, basata sull’altrettanto complesso rapporto che lega i vulcani alle comunità che vivono sulle loro pendici: fare i conti non soltanto con un territorio bello e fertile, ma anche con tutto ciò che la presenza del vulcano implica, rischi compresi. La convivenza è possibile ma serve una buona consapevolezza dell’impatto che il vulcano può avere sul territorio e del modo in cui le nostre scelte e i nostri comportamenti contribuiscono ad aumentare o diminuire i rischi che corriamo. In questo senso l’interazione fra arte e scienza diventa particolarmente importante perché può aiutare a costruire l’immaginario attorno al vulcano influenzando la percezione che i cittadini hanno del vulcano stesso e del suo impatto sul territorio.
Cosa consigliare a chi volesse un approccio “inusuale” al mondo delle scienze della Terra?
Una delle collezioni più emblematiche in tal senso è sicuramente Terrae Motus, istituita per volontà del gallerista d’arte napoletano Lucio Amelio dopo il terremoto dell’Irpinia che il 23 novembre 1980 devastò vaste aree dell’Italia meridionale. La Collezione si compone di oltre 70 opere di artisti contemporanei provenienti da tutto il mondo: da Andy Warhol a Joseph Beuys, da Mimmo Paladino a Keith Haring. Esposta numerose volte in giro per il mondo, “Terrae Motus” nasce per dimostrare che anche un disastro può trasformarsi, in nome della solidarietà, in un movimento di rinnovamento. La Collezione è stata donata da Amelio alla Reggia di Caserta nel 1994, dopo la sua scomparsa, come da volontà testamentaria. Dal 2016 è esposta nella Grande Galleria del palazzo reale.
Nella foto: Pierre-Jacques Volaire, Eruzione del Vesuvio dal Ponte della Maddalena, 1782 © ArtStack