Uno scenario paradisiaco che valica le frontiere del grande schermo. Dai tramonti mozzafiato del kolossal “Pearl Harbor” alla remota meta esotica che solletica i desideri dell’eccentrico Merlino ne “La spada nella roccia”. Le Hawaii sono un arcipelago vulcanico completamente isolato nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, con le coste distanti migliaia di chilometri dalla propaggine di terraferma più vicina, quella della California.
Un arcipelago che ospita il vulcano attivo più grande del mondo per volume, il Mauna Loa, e che alterna le celebri spiagge assolate e incorniciate dalle palme e dal verde delle foreste ai paesaggi lunari regalati dalla lava che lentamente solidifica sulla cima del ‘giovane’ vulcano Kilauea.
Per conoscere meglio questo sorprendente arcipelago, che la tradizione vuole sia frutto dell’atavica storia d’amore senza fine tra il dio del mare e la dea del fuoco, abbiamo intervistato Elisabetta Del Bello, ricercatrice dell’INGV che nel corso negli anni ha avuto la possibilità di recarsi più volte in questo remoto angolo di paradiso per studiare il vulcanismo tipico della zona, tra i più singolari al mondo.
Elisabetta, che tipo di “assetto” hanno le Hawaii dal punto di vista vulcanologico?
Le Hawaii sono un arcipelago vulcanico, caratterizzato dalla presenza di cosiddetti “vulcani a scudo”, ovvero vulcani che appaiono molto più sviluppati in larghezza che in altezza, in grado di emettere volumi impressionanti di magmi basaltici a bassissima viscosità. Ciò fa sì che il vulcanismo qui presente sia prevalentemente effusivo, con un basso indice di esplosività nella scala VEI (Volcanic Explosivity Index).
Le Hawaii sorgono in mezzo all’Oceano Pacifico, generate da un vulcanismo al centro della placca Pacifica, detto “da hotspot”: è come se, nel mezzo della placca oceanica, il magma dal mantello risalisse attraverso un “buco” e arrivasse in superficie costruendo, a partire dal fondale oceanico, degli edifici vulcanici estremamente alti che finiscono con l’emergere dalle acque.
L’arcipelago hawaiano è la parte emersa di una lunga catena di vulcani che prosegue per migliaia di chilometri sotto il livello del mare, verso Nord, fino quasi alla Kamchatka, formando una sorta di L rovesciata: questo è dovuto al fatto che mentre l’hotspot di materiale caldissimo è fermo, la placca oceanica si muove sopra di esso prima verso nord ed ora verso nord-ovest, e via via che la placca si sposta, lui costruisce nuovi vulcani. Il più antico dei vulcani hawaiani è, infatti, quello che si trova più a nord e lontano dal punto caldo; viceversa, i più recenti, nonché quelli attualmente attivi, sono i vulcani situati sulla più meridionale delle isole, l’isola di Hawaii, che dà il nome all’intero arcipelago.
Cosa caratterizza questa ‘giovane’ isola?
Attualmente l’isola di Hawaii ha una forma a cuspide ed è costituita dalla sovrapposizione di tre vulcani principali, la cui età è - anche in questo caso - distribuita in senso decrescente procedendo da nord verso sud.
Il più antico è quello più settentrionale, il Mauna Kea, considerato non attivo e particolarmente famoso per essere sede di numerosi osservatori astronomici costruiti proprio sulla sua cima, a oltre 4.200 metri di altezza. Nella parte centrale dell’isola c’è poi un altro edificio gigantesco, il Mauna Loa, oggi attivo ma quiescente: la sua ultima grande eruzione, avvenuta negli anni Ottanta, ha dato luogo a quelle spettacolari immagini che in molti ricordiamo delle fontane di lava che zampillano copiose da fessure lunghe chilometri sulla cima della montagna. L’ultimo vulcano, quello che studiamo adesso, è il Kilauea, che è attivo e sta ancora “costruendo” il suo edificio. Fino al 2018 l’attività vulcanica era persistente sia nel settore sommitale, sede di un lago di lava, che lungo il fianco meridionale, dove la piccola bocca eruttiva del Pu‘u ‘Ō‘ō ha alimentato per 35 anni un vasto delta lavico che raggiungeva ed entrava in mare.
Raccontaci del tuo lavoro lì, sul Kilauea…
La mia esperienza lavorativa alle Hawaii ha riguardato il settore sommitale, dove attualmente è attivo un lago di lava molto suggestivo, situato all’interno della caldera sommitale dell’Halema‘Uma‘U, dimora della dea Pele. Esso si è formato alla fine dell’Ottocento e da allora alterna fasi di intensa attività a fasi di prosciugamento. È bellissimo da osservare: la lava raffreddandosi in superficie forma delle “croste” che scorrono l’una di fianco all’altra quasi simulando, su piccolissima scala, la dinamica della tettonica delle placche. È davvero suggestivo, un mondo che replica sé stesso in miniatura…
Di tanto in tanto questa attività piuttosto tranquilla e poco pericolosa per la popolazione è stata intervallata da episodi a carattere più violento, a causa di esplosioni freatiche oppure legate ad esempio alla caduta o al franamento di alcune porzioni del “bordo” del lago. C’è poi anche un altro rischio che va considerato, e che non è affatto banale: quello delle emissioni di gas, in particolare di anidride solforosa e di altri gas tossici che, se emessi in grandi quantità, possono raggiungere i villaggi abitati.
Per quanto riguarda il Pu‘u ‘Ō‘ō, ho avuto la fortuna di poter visitare anche il campo lavico attivo, che mi ha colpito per la sua grandezza. Vedere una colata lavica dal vivo è davvero emozionante, ed è uno dei rari posti nel mondo in cui è possibile assistere a un fenomeno di questo genere in queste proporzioni. Io ho avuto la fortuna di visitarlo per ben due volte prima che, nel 2018, questa attività si esaurisse: è stata sicuramente una delle esperienze più belle della mia vita.
Ce la vuoi raccontare?
Beh, è stato incredibile! Dovete immaginare di camminare su questo campo lavico… Di essere in un luogo paradisiaco come le Hawaii e di avere davanti una vasta distesa di materiale nero e iridescente, un plateau caldissimo di materiale ossidianaceo che scorre lentissimamente e scricchiola via via che si solidifica e man mano che camminate sopra di lui. Davvero un’esperienza unica nel suo genere.
Ci dicevi che l’attività di questa bocca eruttiva si è interrotta nel 2018. Cosa è successo?
Sì, nel 2018 una crisi eruttiva ha colpito l’isola quando sia il lago di lava nell’area sommitale che il cratere che alimentava la colata lavica si sono improvvisamente prosciugati: il magma è drenato verso il basso e in pochissimo tempo, con pochi ma chiarissimi segnali (tra cui, ad esempio, la sismicità, che si è concentrata tutta in un’unica zona piuttosto circoscritta), si è aperta una frattura eruttiva nel bel mezzo di un villaggio abitato situato alle pendici del vulcano dalla quale hanno iniziato a fuoriuscire delle fontane di lava che hanno creato non pochi danni.
Che livello di consapevolezza c’è secondo te, tra la gente del posto, del rischio vulcanico?
L’episodio del 2018 ha ricordato a tutti che un vulcano attivo è imprevedibile, e la sua attività può modificarsi o spostarsi in qualunque momento senza neppure troppe avvisaglie, esponendo a dei rischi concreti la popolazione che vive alle sue pendici. Credo però che, tutto sommato, gli abitanti del posto siano un passo più avanti nella percezione del rischio rispetto all’Italia. L’osservatorio vulcanologico delle Hawaii (Hawaiian Volcano Observatory) che ha sede sull’isola e che fa capo all’USGS, l’Agenzia scientifica che negli Stati Uniti si occupa del monitoraggio sismico e vulcanico, fa tantissima informazione sia online che in loco e questo sicuramente aiuta molto nel rafforzare la percezione e la consapevolezza del rischio vulcanico tra i locali.
Non dimentichiamo poi che, per cultura e religione, gli hawaiani sono da secoli legati alla dea Pele, la dea della creazione e della distruzione, la dea dai capelli di lava la cui dimora è situata proprio all’interno del vulcano Kilauea: diciamo quindi che la consapevolezza del rischio vulcanico per questo popolo è un fattore ben radicato già nella sfera culturale, con cui hanno convissuto tutte le popolazioni che nel corso dei secoli hanno colonizzato l’arcipelago. Andava forse soltanto “risvegliata”…
Hai qualche aneddoto particolare che ti piacerebbe raccontare delle tue esperienze alle Hawaii?
Beh, sì, ne ho tantissimi! Ho già parlato della camminata sul campo lavico che è stata, come ho detto, una delle esperienze più belle della mia vita e mi ha lasciata davvero a bocca aperta: non potrò mai dimenticare lo scenario che si apriva davanti ai miei occhi e il rumore della lava che scricchiolava attorno a me.
Uno dei racconti più “divertenti” però risale sicuramente all’ultima volta in cui sono stata lì, nel gennaio del 2018. Eravamo al Kilauea per studiare il lago di lava e alloggiavamo in una casa che avevamo affittato in un villaggio molto vicino. Si tratta di un villaggio molto bello, con tantissime ville distanziate e immerse nella foresta, ma abitato da persone un po’ particolari, schive, abituate - appunto - a vivere nell’isolamento della foresta. Una mattina due dei nostri colleghi decidono di uscire per andare a fare una corsetta: girato l’angolo, passano davanti a una di queste ville e vengono “accolti” da un uomo che, pistola alla mano, gli intima di andarsene, “Get out of here! Get out of here!”. Un’accoglienza molto americana, ecco… Da quella mattina nessuno dei miei colleghi ha più avuto tutta quella voglia di fare jogging!
Cosa ti colpisce maggiormente della cultura hawaiana?
Davvero tutto direi: è esotica, spettacolare… Sono un bel popolo secondo me, ed è un grande peccato che siano stati spazzati via per lungo tempo all’epoca della colonizzazione, un po’ come è successo per gli indiani d’America. Negli anni si è tentato di recuperare il tempo perso e, ad esempio, alle Hawaii il governo statunitense ha riconosciuto un’intera isola patrimonio della popolazione indigena. So che negli ultimi anni hanno anche ricominciato a insegnare la lingua hawaiana nelle scuole, e questo mi sembra un bellissimo segnale.
Trovo molto bella e suggestiva anche l’importanza che gli hawaiani danno alle divinità, che per loro sono la trasposizione dei fenomeni naturali: il dio dell’oceano e dei mari, la dea Pele del fuoco che, con la sua lava, costruisce le isole dell’arcipelago e le rende fertili… Trovo tutto ciò, compresa la storia d’amore tra il mare e il fuoco, davvero molto affascinante.
L’emergenza da Covid-19 ha avuto impatto sulla tua vita da ricercatrice?
Sì, e in modo anche piuttosto “duro”. Fino allo scorso anno facevo tantissimi viaggi di lavoro e almeno due o tre volte all’anno partecipavo a convegni in giro per l’Italia e per il mondo. Facevamo anche moltissima attività sul terreno: a Stromboli, dove io e i miei colleghi del Laboratorio HP-HT dell’INGV svolgiamo la parte principale del nostro lavoro, ma anche - almeno una volta all’anno - su qualche altro vulcano nel mondo. Oggi, nonostante sia consentito spostarsi per motivi di lavoro, devo dire che stiamo evitando di farlo a meno che non sia veramente necessario. Al momento sto approfittando del periodo di relativa calma data dall’assenza dalle trasferte per lavorare il più possibile ad una grande mole di dati accumulata nel tempo.
Una volta terminata l’emergenza da Covid-19, hai in programma di tornare alle Hawaii o di fare qualche viaggio importante per nuovi studi?
Recentemente ci ha solleticato l’idea di tornare alle Hawaii perché proprio poco tempo fa c’è stata una ripresa dell’attività eruttiva nella zona sommitale del Kilauea, con il lago di lava che è tornato a riempirsi e, anzi, è ancora più grande di quello che c’era nel 2018, prima che si prosciugasse. Ma al momento è ancora soltanto un’idea… Sicuramente entro maggio tornerò a Stromboli: al momento è logisticamente meno complicata da raggiungere!