Un’eruzione spettacolare che abbiamo potuto apprezzare dalle foto e dai tantissimi video che gli abitanti del posto hanno messo in rete.
Un’isola su cui il ghiaccio e il fuoco coesistono, plasmando insieme un paesaggio tra i più suggestivi al mondo.
Dopo oltre otto secoli di silenzio, il vulcano islandese Fagradalsfjall si è risvegliato attirando l’attenzione del grande pubblico ma anche e soprattutto della comunità scientifica internazionale.
Per saperne di più abbiamo intervistato Gianfilippo De Astis, vulcanologo dell’INGV che accosta la sua professione di ricercatore a un animo estremamente sensibile ai richiami dell’arte e della cultura.
Con lui abbiamo fatto un viaggio tra i campi lavici dell’Islanda, lasciandoci catturare dai panorami e dai colori mozzafiato di quella terra, accarezzati dalle suggestioni che quella natura a tratti molto selvaggia riversa nella musica e nella letteratura locale.
Gianfilippo, cosa sappiamo finora dell’eruzione del vulcano Fagradalsfjall?
È un’eruzione iniziata la sera del 19 marzo nella penisola di Reykjanes, dopo vari mesi in cui erano state registrate decine di migliaia di scosse di terremoto che, fino a quel momento, erano state di bassa magnitudo: il 24 febbraio invece, quindi poco meno di un mese prima dell’inizio dell’eruzione, si è verificato un terremoto sensibilmente più forte, di magnitudo 5.7, con epicentro a circa 30 km da Reykjavík, la capitale dell’Islanda, dove sono concentrate molte importanti infrastrutture e la maggior parte della popolazione del Paese, che ha avvertito bene la scossa. Sebbene all’inizio i terremoti fossero identificati come di origine tettonica, a partire dal 1° marzo il tipo di scosse è stato associato alla presenza di magma in una fascia posta tra due montagnole, Mt. Keilir e Mt. Fagradalsfjall. Reykjavík e alcune infrastrutture strategiche nelle sue vicinanze distano soli 40 km dall’area di Fagradalsfjall dove poi è effettivamente iniziata l’eruzione, che è tuttora in corso.
Più in generale, l’eruzione è riferibile al sistema vulcanico chiamato Krýsuvík–Trölladyngj, localizzato nella parte centrale della penisola di Reykjanes, poco distante anche dall'aeroporto internazionale di Keflavík, il principale scalo islandese. L’area di emissione del magma è quindi situata in una zona nevralgica per l’Islanda, e non corrisponde a una vera e propria struttura vulcanica - un cono o uno stratovulcano (come l’Etna, per intenderci) - ma a un sistema distensivo di fratture e fessure corrispondenti alla zona di allontanamento della placca tettonica nord-atlantica da quella euroasiatica.
A questo proposito, puoi spiegarci meglio il tipo di assetto dell’Islanda dal punto di vista geologico e vulcanologico?
L'Islanda è collocata, come dicevo, tra la placca nord-atlantica e quella euroasiatica: è una regione della Terra cosiddetta di rift ed è collocata lungo la dorsale medio-atlantica. In altre parole, l’isola risulta attraversata da un complesso sistema di faglie e fratture che si allungano da sud-ovest verso nord-est per poi assumere un andamento più nord-sud. Questa serie di lunghe faglie corrispondono al movimento “di apertura” e di allontanamento tra queste due placche, consentendo periodicamente la formazione di fessure attraverso cui risale il magma. Ha così origine il vulcanismo fissurale tipico dell’isola, senza escludere la formazione di stratovulcani tabulari (per la presenza di calotte glaciali) e di caldere. Nella penisola di cui stiamo parlando, questo regime geodinamico ha portato allo sviluppo di 4 sistemi vulcanici fissurali: Reykjanes, omonimo della penisola, Svartsengi, Krýsuvík e Brennisteinsfjöll.
Ci dicevi che i terremoti che hanno anticipato l’eruzione del Fagradalsfjall di queste settimane si erano concentrati proprio lungo una di queste fasce di fessure…
Esatto, l’attività sismica degli ultimi mesi è avvenuta proprio lungo un allineamento di fessure. Quando questa attività ha iniziato a focalizzarsi verso la superficie si è subito pensato che si trattasse di quello che i vulcanologi chiamano un “dicco”, cioè un movimento di risalita di magma lungo un allineamento abbastanza continuo corrispondente proprio a una fessura che, infine, porta alla fuoriuscita del magma. L’orientamento di questo dicco era proprio indicato dall'allineamento dei terremoti che stavano attraversando da sud-ovest verso nord-est quasi tutta la penisola di Reykjanes, arrivando in parte anche molto vicino al mare. Si aprivano a questo punto due possibilità: se il magma fosse risalito sulla terra emersa, l’eruzione sarebbe stata di tipo fissurale, un’eruzione effusiva con emissione di lava; al contrario, se fosse avvenuta in mare, l’interazione tra magma e acqua avrebbe potuto generare un’eruzione esplosiva - di tipo surtseyano (nome derivante da un’altra famosa eruzione islandese del 1963) - con formazione di colonna di cenere e possibile coinvolgimento del traffico aereo.
Questo “dubbio” sulla tipologia di eruzione si è poi sciolto definitivamente proprio il 19 marzo con la fuoriuscita effusiva del magma poco a sud-ovest di quel piccolo plateau già esistente, che è il sistema vulcanico di Krýsuvík–Trölladyngj.
È un’eruzione pericolosa per la popolazione?
La più grande preoccupazione per un’eruzione vulcanica in Islanda è la dispersione di ceneri e gas sul territorio e in atmosfera. Questo perché i venti possono trasportare rapidamente nuvole di cenere sia sull’isola (danneggiando campi e bestiame, per esempio), sia verso l'Europa occidentale (come si è visto con l'eruzione dell’Eyjafjallajökull nel 2010); inoltre le ceneri possono raggiungere grandi altezze nell’atmosfera, dove le compagnie aeree commerciali viaggiano attraverso i trafficati corridoi di volo del nord Atlantico, e determinare l'interruzione dei viaggi aerei internazionali.
Dal momento che l’eruzione si è sviluppata in maniera tranquilla, con un espandimento di lava che ha cominciato ad accumularsi nella valle a una velocità compresa tra i 5 e i 7 metri cubi al secondo, l’eruzione non è risultata assolutamente pericolosa per la popolazione. Ha poi avuto dei momenti di attività lievemente più esplosiva, da stromboliana a piccole fontane di lava, che hanno portato alla costruzione di un conetto di scorie: parliamo però di una struttura di circa 40 metri di altezza, quindi davvero molto molto piccola. Anche le simulazioni di invasione di colate laviche nei territori circostanti non vedono coinvolti insediamenti urbani e ci potrebbe essere un rischio solo per la strada numero 427 che corre lungo la costa meridionale della penisola verso Grindavik.
Questa modalità “pacifica” di eruzione ha dato luogo a una reazione popolare molto entusiasta e festosa: molti ragazzi sono accorsi quasi in massa sul luogo dell’eruzione per guardarla e fotografarla, in tantissimi hanno fatto volare i loro droni e sono stati realizzati dei video meravigliosi che hanno fatto il giro del mondo.
La Protezione Civile islandese ha naturalmente emesso dei comunicati con dei warning, cioè con delle indicazioni sulle precauzioni da adottare in prossimità dell'eruzione: non avvicinarsi troppo alla lava, prestare attenzione alle possibili piccole esplosioni innescate dal contatto del magma con la neve, eccetera. Allo stesso tempo però ha favorito l'accesso in sicurezza delle persone, installando ad esempio dei corrimano o dei dispositivi per igienizzarsi le mani nel rispetto delle disposizioni anti-Covid. Tutto ciò è durato più o meno fino all’inizio di aprile, perché poi in prossimità del primo punto di emissione del magma si sono aperte 3 nuove fessure più lunghe, sempre orientate secondo la direzione dei terremoti, e la lava ha iniziato a scorrere lungo alcuni pendii che, seppur lievi, potevano generare una maggiore velocità di avanzamento del flusso di lava. Questo ha fatto sì che l’area coinvolta cambiasse un po’ la sua fisionomia, formando un più vasto e articolato campo lavico, e le persone hanno dovuto adattarsi a regole un po’ più stringenti di accessibilità al sito.
Per la popolazione, quindi, questa eruzione è stata e continua ad essere caratterizzata dalla sua ‘dimensione’ scenografica. Ma qual è invece l’aspetto più importante e interessante per voi ricercatori?
Per noi è un evento importante perché interessa un’area in cui non si verificavano eruzioni da oltre 800 anni e, quindi, ci consente di ottenere dei dati di vario genere (relativi, ad esempio, all’attività sismica, alle deformazioni del suolo e a quella di emissione di gas) su come si verifica l'unrest di un vulcano, cioè su come un sistema vulcanico passi da uno stato di quiescenza a uno di attività. Lo studio, attraverso i sistemi di monitoraggio, del comportamento nel tempo di questi parametri fornisce a noi ricercatori nuovi dati su una zona mai analizzata prima proprio a causa dell’assenza di attività vulcanica nei secoli scorsi e permette di confrontare il comportamento di un sistema vulcanico fissurale come questo con quello degli stratovulcani o dei vulcani di tipo centrale, con l’obiettivo di aumentare sempre più le conoscenze sulle modalità con cui i sistemi vulcanici si riattivano.
Inoltre, un altro aspetto molto interessante nel caso dell'Islanda riguarda la natura basaltica dei magmi, che sono molto fluidi e solitamente “primitivi” (ovvero ricchi di elementi ferro-magnesiaci) e che vengono emessi in un ambiente di dorsale medio-oceanica, risalendo direttamente dal mantello terrestre. Questi magmi provengono da grandi profondità: nel caso di questa eruzione, ad esempio, si è stabilito che venissero da una profondità di circa 15-17 km, senza lunghi tempi di permanenza all'interno della crosta terrestre. Dal punto di vista della genesi e della composizione dei magmi, quindi, questo tipo di eruzione offre un’interessante possibilità di studiarli prima che si “differenzino”, ovvero prima che possano evolvere chimicamente all'interno della crosta, come spesso accade.
Hai mai avuto la possibilità di studiare sul campo i vulcani islandesi?
Sì, sono stato due volte in Islanda, la prima nel 2007, l’ultima nel 2013. Durante quest’ultimo viaggio ho studiato l’area del vulcano Katla dove si verificavano dei piccoli sciami di terremoti di origine e caratteristiche ambigue, che si temeva potessero essere legati a una riattivazione di quell’apparato (ma poi non accadde nulla, in effetti). La prima volta, invece, andai con un gruppo di studenti e docenti dell’Università di Bologna per un’escursione geologica: siamo stati brevemente nella capitale Reykjavík, una cittadina molto affascinante di circa 120.000 abitanti, e abbiamo visitato alcuni tra i vulcani più importanti dell’isola, che in alcuni casi hanno prodotto eruzioni che hanno letteralmente cambiato il corso della storia dell’Islanda.
In che senso?
Ne cito una come esempio: fra il 1783 e il 1784 si verificò la famosa eruzione del vulcano Laki (per gli islandesi Skaftareldar, anche stavolta un sistema fissurale), che durò ben otto mesi e mise in ginocchio l’economia dell’isola, spingendo molti islandesi a emigrare e facendo nascere una forte ostilità della popolazione verso i danesi. Infatti, a quel tempo l’Islanda era sotto la giurisdizione amministrativa della Danimarca: la crisi sociale che seguì quella economica indotta dall’eruzione coagulò un forte risentimento verso i “dominatori” danesi e innescò dei moti di ribellione nei loro confronti che, nell’arco di qualche tempo, condussero alla conquista di una maggiore autonomia da parte dell’Islanda. Da rimarcare, tra parentesi, che l’eruzione di Laki è una di quelle eruzioni con conseguenze ambientali a livello planetario (sic!), ma questa è un’altra storia…
Circa un secolo dopo, l’eruzione dell’Askja (1875) produsse di nuovo un tale peggioramento dei raccolti in agricoltura da produrre una nuova grande ondata di emigrazione islandese nel Nuovo Mondo, come riportato in vari studi di storia islandese.
Cos’è che, personalmente, ti affascina maggiormente di quest’isola?
Innanzitutto un dato: l’Islanda (Reykjavík) ha, in rapporto al numero di abitanti, il più alto tasso di musicisti d’Europa. Vengono da qui molti artisti diventati famosi, penso ai Sigur Rós, ai Múm, a Björk… Intorno a loro c’è un quadro musicale e culturale estremamente vivace e ricco, concentrato in particolar modo nella capitale. Sia la musica che la letteratura islandese hanno un forte legame con il vulcanismo: l'Islanda è un posto che offre dei paesaggi veramente fiabeschi, bellissimi, con colori stupefacenti… Per me è un luogo di grande fascino sia dal punto di vista paesaggistico, sia dal punto di vista dell’interazione tra l’uomo e la natura, perché, come dicevo, ciò che questo legame è in grado di produrre e alimentare in termini di creatività culturale e musicale è veramente notevole.
Questa fascinazione che senti per la letteratura e per la musica islandese è nata dai tuoi viaggi lì o ha radici più antiche e profonde?
I Sigur Rós li avevo già visti suonare in Italia qualche anno prima di andare in Islanda. Diciamo che il fascino di quel genere di suoni e di sonorità che producono mi aveva colpito già in precedenza: si tratta di una musica unica effettivamente, che non si può inquadrare facilmente sotto il cappello di un genere musicale ben definito. Per spiegare il legame esistente tra la loro musica e la natura islandese, in un’intervista che rilasciarono dopo l’uscita di un loro album nel 2013 fu lo stesso leader della band, Jónsi, a raccontare di come l’ispirazione diretta del disco fosse stata proprio l’eruzione del vulcano Eyjafjallajökull avvenuta nel 2010, quella che oscurò i cieli di mezza Europa.
Ma prima ancora dei Sigur Rós avevo conosciuto Björk: lei vive ormai da decenni in Inghilterra e ha delle caratteristiche che si sono trasformate rapidamente, rendendo la sua musica più “anglo-islandese”, contaminata dalla musica internazionale di tipo elettronico. Si è trattato però, appunto, di una contaminazione: c’è sempre, anche nel suo caso, un nucleo centrale che resta fedele alla sua terra.
Ti auguri di poter tornare presto in Islanda?
Direi proprio di sì. La curiosità e la passione che nutrivo per questo Paese esistevano ma si sono rafforzate e amplificate moltissimo dopo i miei viaggi lì. Tornerei in Islanda tantissime altre volte, ecco: è una terra che continua ad attrarmi e a stimolare interessi che spero di poter tornare a coltivare sul campo una volta terminata la pandemia in corso.