Una riserva naturale al confine tra Lazio e Umbria, a pochissimi chilometri dalla città di Rieti. È qui che un team di ricercatori provenienti dall’INGV e dalle Università del Nevada (USA) e della Tuscia di Viterbo hanno deciso di studiare l’influenza dei cambiamenti climatici e sociali nell’evoluzione del paesaggio dell’Appennino centrale.
I sedimenti prelevati dai fondali dei laghi Lungo e Ripasottile, ultime testimonianze di quell’unico grande lago che anticamente ricopriva gran parte della Piana di Rieti, raccontano una storia fatta di civiltà che, secolo dopo secolo, si sono succedute nel grande viaggio della storia dell’uomo, tramandando tecniche e tradizioni che hanno segnato per sempre il territorio.
Non solo cambiamenti climatici a modificare il paesaggio delle nostre montagne, quindi, ma anche e soprattutto cambiamenti sociali. Ne abbiamo parlato con Leonardo Sagnotti, Direttore del Dipartimento Ambiente dell’INGV e co-autore dell’articolo sull’ecologia storica che rivela le trasformazioni del paesaggio appenninico pubblicato lo scorso anno su Scientific Reports.
Iniziamo con una domanda che ci aiuti a capire: cosa si intende per “ecologia storica”?
Tutto è iniziato qualche anno fa con una ricerca multidisciplinare che ha analizzato dei campioni del sedimento prelevati dai laghi del bacino di Rieti (nello specifico, dai fondali del Lago Lungo e del Lago di Ripasottile). Alcune delle analisi su questi campioni (chiamati “carote”, ndr) hanno riguardato il contenuto pollinico dei sedimenti, ovvero la quantità e la tipologia di pollini presenti al loro interno. Questo tipo di indagine è stata effettuata poiché i pollini riflettono le variazioni ecologiche: è in questo senso che si parla, quindi, di “ecologia”.
Inoltre, dal momento che i sedimenti registrano la storia del bacino, il contenuto dei pollini è stato in grado di rivelarci anche come è cambiato l’ambiente, e quindi l’ecologia, nel corso del tempo. Una parte dello studio, quella cui ha contribuito nello specifico l’INGV, si è infatti occupata proprio di applicare metodi geofisici per datare i sedimenti e fornire un quadro cronologico per le variazioni dell’ambiente: “ecologia storica”, per l’appunto.
Che tipo di cambiamenti avete individuato nel bacino di Rieti?
Una delle prime cose che abbiamo potuto evidenziare è stato sicuramente come il livello dei laghi abbia storicamente condizionato l’alternarsi di diversi tipi di vegetazione. Sappiamo che nei secoli passati in queste zone si sono registrate delle importanti variazioni nell’idrologia: si è passati da momenti in cui vi era un unico grande lago a coprire l’intera area della Piana Reatina, ad altri in cui, come ora, si hanno dei piccoli laghetti separati. Senza dimenticare, poi, gli effetti dei numerosi tentativi da parte dell’uomo di bonificare l’area drenando la piana.
Da dove viene lo spunto alla base di questa ricerca?
Si è trattato di uno studio finanziato dalla National Science Foundation (NSF) che ha coinvolto vari enti di ricerca: oltre al nostro Istituto hanno partecipato anche l’Università del Nevada (USA) e l’Università della Tuscia. Noi siamo stati contattati proprio dall’Università della Tuscia in quanto specialisti in paleomagnetismo e proprietà magnetiche delle rocce.
Quale è stato il ruolo dell’INGV?
È stato coinvolto in primo piano il nostro Laboratorio di Paleomagnetismo, nella parte dello studio dedicata alla caratterizzazione geofisica e alla datazione dei sedimenti prelevati dai fondali dei due laghi. Abbiamo formulato un modello di età delle rocce studiando le loro proprietà magnetiche e sulla base della registrazione delle passate variazioni del campo magnetico terrestre.
Le osservazioni geofisiche ed il modello di età sono stati, poi, incrociati e confrontati con i dati storici relativi alle coltivazioni, ai pollini, alla conoscenza delle variazioni climatiche degli ultimi secoli e alle curve calibrate di variazione secolare del campo magnetico terrestre nella regione europea durante ultimi tre millenni.
Qual è il risultato principale dello studio?
Lo studio ha evidenziato che le variazioni ambientali nel bacino di Rieti sono state il frutto non soltanto della variabilità climatica degli ultimi tre millenni (quali, ad esempio, la cosiddetta “piccola epoca glaciale” occorsa tra il XIV e il XIX secolo e il periodo caldo medievale tra il X e il XIII secolo), ma anche dell’influenza sull’ambiente del succedersi delle società umane (dai romani fino alle popolazioni dell’epoca contemporanea, passando per ostrogoti, longobardi e carolingi).
Ogni società ha utilizzato il bacino in maniera diversa, esercitando la propria influenza sul territorio. Inoltre, applicando ai sedimenti il modello di età ad alta risoluzione, un altro studio pubblicato quest’anno ha consentito anche di riconoscere le tracce di quattro importanti eventi sismici avvenuti nella zona negli ultimi 700-800 anni. Gli effetti di questi terremoti sono visibili sia nella struttura dei sedimenti che negli indicatori geochimici dell’idrologia generale, ovvero nella chimica delle sorgenti che alimentano i laghi. L’effetto maggiore sulla sedimentazione, la geochimica e l’ecologia del bacino si è avuto a seguito del terremoto del 1349, quando anche la peste nera imperversava in Europa decimandone la popolazione. Negli anni immediatamente successivi, poi, i sedimenti testimoniano una evidente e rapida riforestazione dell’area collegata a un marcato spopolamento del territorio.
Una delle evidenze che emergono dalla vostra ricerca riguarda l’entità dell’impatto che le trasformazioni sociali e culturali hanno avuto sul territorio dell’Appennino centrale, paragonabile a quello dei cambiamenti climatici. Vi aspettavate un risultato di questo genere?
Sì, diciamo che era qualcosa che in parte ci si poteva aspettare, di cui abbiamo avuto conferma. Negli ultimi tre millenni le variazioni climatiche sono state tutto sommato contenute, di certo non così grandi come quelle del Quaternario, caratterizzato dall’alternanza di epoche glaciali ed interglaciali. Il nostro studio ha evidenziato come gli effetti di queste piccole variazioni climatiche siano effettivamente comparabili agli effetti legati alle variazioni socio-culturali nella gestione del territorio, vale a dire ai diversi tipi di silvicoltura e di agricoltura, nonché alla gestione idrica, con i diversi tentativi di drenaggio del bacino, e così via… In altre parole, anche le epoche storiche, con le loro differenti società e le relative differenti modalità di gestione del territorio, hanno contribuito in maniera decisiva a modificare il paesaggio dell’appennino centrale.
Al momento state conducendo altri studi che vanno in questa direzione?
Al momento non ci sono altre ricerche attive sulla stessa zona e lo stesso intervallo temporale. Però l’INGV continua a svolgere e a promuovere, in varie parti d’Italia e del mondo, diversi studi di sequenze sedimentarie per ricostruire la variabilità ambientale e climatica del nostro Pianeta.
Considerando l’impatto che le trasformazioni socio-culturali hanno sul paesaggio, che tipo di riflessione è possibile fare sull’attualità?
Innanzitutto, possiamo affermare con certezza che conoscere i cambiamenti del passato ci aiuta a comprendere le dinamiche del presente, e questo vale non soltanto per quanto riguarda gli aspetti storici ma anche e soprattutto per quelli naturali.
Nel corso del Quaternario, ovvero nel corso degli ultimi due milioni di anni, il clima è variato in maniera molto significativa: si è passati da epoche glaciali, in cui praticamente tutto il nord Europa era sepolto sotto una coltre di ghiaccio, a periodi interglaciali piuttosto brevi, come quello che copre gli ultimi 11mila anni (definito “Olocene” nella terminologia geologica), in cui si è sviluppata la civiltà umana. Sappiamo che oggi è in atto un cambiamento climatico importante a scala globale e regionale, che tuttavia sembra non seguire più i ritmi naturali poiché fortemente influenzato dalle attività dell’uomo: in questo senso, studiare le dinamiche del passato ci aiuta a comprendere meglio i sistemi naturali e le loro risposte alle variazioni ambientali. Questa conoscenza ci consente, poi, di formulare degli scenari quanto più realistici possibile su quello che potrebbe avvenire in futuro.
Nella foto: una veduta dei laghi della Piana di Rieti. © Giorgio Rodano