Un’espressione nata sul web, comparsa come primo grido di denuncia su un blog dell’area napoletana a inizio anni Duemila, poi approdata nel titolo di un rapporto di Legambiente del 2003 e presa in prestito dal giornalista Roberto Saviano per titolare l’ultimo capitolo del suo “Gomorra”, pubblicato nel 2006.
La “Terra dei Fuochi” oggi è qualcosa che preoccupa, che mette immediatamente sull’attenti e che fa diffidare. Ma è un’espressione, e come tale racchiude in sé aspetti, persone, impegni e promesse.
È un’espressione che parla di una terra bellissima, la Campania, che spesso deve combattere le sue battaglie contro dei nemici a volto non troppo scoperto.
È un’espressione che rimanda a un tema troppo spesso dimenticato in secondo piano, quello dell’ambiente e della sua tutela. Un tema che, nell’estate rovente che stiamo per lasciarci alle spalle, è tornato di prepotenza a farsi sentire, mostrandoci tutte le debolezze di un sistema perfetto, il nostro pianeta.
Brucia la Siberia, brucia l’Amazzonia, bruciano le nostre montagne e i nostri boschi. Di fronte a immagini talmente potenti da lasciare senza parole, siamo stati costretti a tornare a interrogarci sul nostro ruolo e sul contributo che giorno dopo giorno possiamo dare per preservare la nostra Casa in tanti modi diversi.
In Italia l’INGV unisce da anni le sue attività di ricerca alle azioni concrete di tutela ambientale e salvaguardia del territorio: un nobile esempio ne sono le molteplici collaborazioni con le forze di polizia che si occupano di ambiente, volte a mettere a disposizione le più sofisticate strumentazioni geofisiche per scandagliare il sottosuolo alla ricerca di discariche e rifiuti tossici interrati. Si tratta di ricerche lunghe e complesse, da accompagnare a un fermo impegno nella bonifica e nel recupero delle aree interessate, coordinate – per l’Istituto – da Marco Marchetti, ricercatore INGV che abbiamo incontrato per farci raccontare qualcosa in più del suo lavoro.
Marco, partiamo con una domanda che ci aiuti a contestualizzare meglio quello di cui ti occupi: cosa si intende per esplorazione geofisica del sottosuolo?
Per esplorazione geofisica del sottosuolo si intende l’osservazione del terreno a varie profondità eseguita mediante strumenti geofisici.
Quali sono le principali tecniche di esplorazione geofisica utilizzate per rintracciare siti di inquinamento del sottosuolo?
Le tecniche sono raggruppabili attorno a tre grandi ambiti: i metodi magnetici, quelli geoelettrici e quelli per impulsi elettromagnetici.
Per l’individuazione di rifiuti interrati e per il monitoraggio di alcune tipologie di inquinamento sotterraneo si utilizzano specifiche tecniche geofisiche. Attraverso i metodi magnetici, la presenza di masse o di oggetti nel terreno viene determinata registrando gli effetti che questi producono nell’ambiente circostante; con i metodi geoelettrici ed elettromagnetici (georadar) si analizza invece la risposta a una forma di energia immessa dalla superficie. In particolare, per scoprire masse ferrose interrate (come fusti, cisterne, serbatoi, ordigni bellici, ecc.) il metodo magnetico è quello che offre i migliori risultati in termini di individuazione e localizzazione. Viceversa, per definire lo spessore di una discarica e la presenza di percolato (ovvero del liquido che si origina dall’infiltrazione dell’acqua in una massa di rifiuti in decomposizione) i metodi maggiormente utilizzati sono quelli geoelettrici. Quando si opera, invece, in aree industriali o su pavimentazioni di asfalto o cemento armato il metodo per impulsi elettromagnetici, il georadar, offre spesso indicazioni risolutive.
Come è nata la collaborazione, ormai ventennale, tra l’INGV e le forze dell’ordine deputate a questo genere di controlli sul territorio?
È iniziata quasi per caso, circa 25 anni fa, con l’incontro con una pattuglia di Carabinieri che stava svolgendo un’indagine su una discarica e la richiesta di impiegare su quel sito le nostre tecniche geofisiche. Successivamente la collaborazione è stata chiaramente formalizzata, sono state sottoscritte alcune convenzioni con i Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente e con il Corpo Forestale dello Stato. L’INGV ha quindi iniziato a fornire sistematicamente un supporto tecnico-scientifico alle forze di polizia che si occupano di ambiente nella ricerca dei rifiuti pericolosi interrati.
Puoi raccontarci come si svolge un’indagine tipo?
Generalmente veniamo attivati dai Carabinieri Forestali, su delega della Procura della Repubblica, per intervenire su un sito sospetto, dove impieghiamo le tecniche geofisiche più opportune tenendo conto del target da individuare e del contesto ambientale. Segue poi l‘elaborazione dei dati e la stesura di un report tecnico per gli inquirenti con le risultanze dei nostri rilievi. A seguito di queste si decide se e come scavare per osservare le masse interrate.
In realtà, negli ultimi anni, i Carabinieri si sono dotati di magnetometri da impiegare nella ricerca di rifiuti ferrosi interrati e, una volta da noi addestrati sull’uso dello strumento in campo e sulla corretta esecuzione di un rilievo geofisico, hanno iniziato ad essere operativi sul territorio nazionale. I dati da loro acquisiti vengono trasmessi a una sala operativa presso l’INGV di Roma per essere validati, analizzati e rappresentati mediante apposite cartografie: le criticità eventualmente emerse dai rilievi vengono poi segnalate all’autorità giudiziaria.
Questo modus operandi, con l’efficace collaborazione tra un ente di ricerca e gli investigatori, ha rappresentato un grande elemento di novità nelle indagini ambientali.
Se dovessi parlare del tuo lavoro portando l’esempio di un’indagine in particolare, di quale parleresti?
Ne citerei tre in particolare, dalla più antica alla più recente.
Riano Flaminio, piccolo comune a Nord di Roma, dove nel 1998 avvenne il primo rinvenimento di fusti interrati.
Quarata, in provincia di Arezzo, dove nel 2014, a seguito dei rilievi geofisici, i Forestali individuarono con la magnetometria il maggior quantitativo di fusti tombati.
E, in ultimo, Calvi Risorta, nel casertano, dove nel 2015 fu scoperta quella che è stata definita la più grande discarica abusiva d’Europa.
L’INGV è ormai da tempo parte del Gruppo di Lavoro “Terra dei Fuochi” del Ministero dell’Ambiente: è ancora attivo questo Gruppo? Qual è il contributo dell’INGV al suo interno?
Si, il Gruppo di Lavoro è ancora attivo e sta lavorando. Io sono stato designato come rappresentante dell’INGV al tavolo tecnico del Gruppo e mi occupo principalmente dell’elaborazione e dell’interpretazione dei rilievi magnetometrici eseguiti dai Carabinieri Forestali.
Qual è il grado di attenzione della popolazione rispetto al problema dell’inquinamento sotterraneo?
Piuttosto alto, ma spesso le popolazioni si trovano impotenti di fronte a ciò.
È evidente che, da un punto di vista comunicativo, si intrecciano tanti temi diversi: dall’etica ai rischi per la salute, dall’ecologia al grande problema dei traffici illeciti che spesso afferiscono direttamente alla criminalità organizzata. La sensibilizzazione dei cittadini risulta, quindi, di fondamentale importanza. Ti viene in mente una “ricetta” per tentare di stimolare il loro coinvolgimento?
Potrebbe essere utile tenere accesi i riflettori sul problema e stimolare il coinvolgimento attivo della cittadinanza. Creare, ad esempio, la possibilità di segnalare, anche in forma anonima, quei siti sospetti di cui i cittadini sono a conoscenza sui quali intervenire successivamente con le tecniche geofisiche per verificare se siano presenti rifiuti interrati anche pericolosi. È, però, fondamentale che in seguito i terreni che presentano delle criticità siano effettivamente oggetto di rapide bonifiche, altrimenti subentra la rassegnazione. Ci si abitua a tutto, anche ad avere rifiuti sotto i piedi o nei campi coltivati.
Quali saranno i prossimi passi dell’INGV in materia di indagini ambientali?
Dal punto di vista scientifico lavoriamo costantemente per migliorare le tecniche di acquisizione e aumentare il potenziale di individuazione delle più disparate tipologie di rifiuti.
Dal punto di vista operativo, invece, continuiamo a fornire assistenza tecnico-scientifica nel monitoraggio del territorio agli operatori Carabinieri Forestali, da noi appositamente addestrati.
Va ricordato, tra l’altro, che a seguito dell’emanazione della Legge delega del 7 agosto 2015 n.124 il Corpo Forestale dello Stato è stato assorbito dall’Arma dei Carabinieri ed è stato istituito il Comando per la Tutela Forestale Ambientale e Agroalimentare dei Carabinieri, dove è confluito anche il Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente. Le professionalità acquisite nell’eseguire i rilievi magnetometrici sono attualmente presenti nelle nuove figure dei Carabinieri Forestali.
Per il futuro ci auguriamo che questo efficace strumento investigativo venga potenziato e impiegato su scala sempre maggiore per individuare i siti con i rifiuti inquinanti “tombati”, in modo da avviare le necessarie opere di bonifica e di recupero ambientale del nostro territorio.