Studiare i meccanismi alla base di malattie genetiche rare per cui non è stata ancora trovata una terapia e trasformare la ricerca in qualcosa di fruibile per i pazienti: sono alcuni degli obiettivi del Tigem - Telethon Institute of Genetics and Medicine, l’istituto creato da Fondazione Telethon nel 1994 e oggi situato a Pozzuoli, Napoli. Per conoscere le attività di questo Centro, capace di attirare cervelli in una Italia da cui questi sono in fuga, abbiamo intervistato il Direttore del Tigem, Andrea Ballabio. Scienziato di fama internazionale e primo in Italia a ricevere il Premio Louis-Jeantet per la medicina, il Professor Ballabio ci ha raccontato il percorso che lo ha portato fino alla direzione di questo importante Istituto, fiore all’occhiello della ricerca a livello mondiale.
Professore, Lei oggi è un punto di riferimento mondiale per la ricerca scientifica: quando ha maturato l’idea di diventare un ricercatore?
Mi iscrissi a medicina con il forte desiderio di diventare un pediatra e già durante la specializzazione iniziai a maturare l’idea di fare il ricercatore. Fu però nella pratica clinica che compresi che la mia strada era proprio quella della ricerca: quando mi trovai di fronte a piccoli pazienti con malattie genetiche, alcune delle quali gravi e ancora senza una terapia, sentii che dovevo fare qualcosa. È così che mi sono avvicinato allo studio dei meccanismi che, a partire da una mutazione nel nostro DNA, comportano una malattia genetica. Le motivazioni che mi spingevano in quella direzione erano quindi due: trovare attraverso la ricerca delle terapie per queste terribili malattie e scoprire nuovi meccanismi biologici, aspetto secondo me molto affascinante della ricerca.
Telethon rappresenta la realizzazione di un grande progetto per lo studio delle malattie genetiche. Come è nata la sua esperienza in Telethon?
Qui c'è un aneddoto da raccontare. Ho trascorso molto tempo all'estero in passato, due anni in Inghilterra e sette anni a Houston, negli Stati Uniti. Lì avevo un lavoro stabile, con una posizione di leadership e molte persone che lavoravano con me, tra cui tanti italiani. Mi trovavo bene e non pensavo a un rientro in Italia, finché un bel giorno arrivò una telefonata dalla fondazione Telethon in cui mi si chiedeva di andare a Roma per discutere della possibilità di creare un nuovo istituto di ricerca in Italia, fondato da Telethon, e di cui mi si offriva la guida. Dall’altra parte della cornetta c’era Susanna Agnelli in persona, che allora conoscevo solo tramite la televisione. Decisi di analizzare la proposta, presi un aereo per recarmi all’appuntamento e durante il volo buttai giù una lista di richieste che, a dire il vero, ritenevo quasi impossibili. Bene, loro queste richieste non le reputarono tali ed è così che è nato l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina TIGEM. All'inizio è sorto a Milano, presso il San Raffaele, successivamente ci siamo spostati a Napoli.
Potrebbe spiegarci, con parole semplici, la genetica medica?
La genetica medica è la scienza che studia le mutazioni che colpiscono i nostri geni, quindi il nostro DNA, e che possono causare malattie o predisposizioni alle stesse. Questa disciplina cerca inoltre di comprendere come le malattie si trasmettono da una generazione all'altra. Oggi, grazie alla tecnologia, la genetica medica è penetrata in tutte le branche della medicina: pensiamo alla biologia molecolare o allo studio del genoma e dell’interazione tra geni e ambiente, per esempio. La medicina, infatti, studia le malattie che colpiscono l'uomo e alla base di un essere umano c'è il suo patrimonio genetico che lo rende diverso da tutti gli altri.
Nel 1994 ha fondato il TIGEM. Qual è il focus delle sue attività e cosa significa per Lei dirigere questo Istituto di eccellenza?
Dirigere il TIGEM è per me motivo di enorme soddisfazione. È una realtà in cui trovano lavoro tanti giovani ricercatori che così sono messi in condizione di poter svolgere al meglio il loro lavoro in Italia. Per quanto mi riguarda non ho mai interrotto la mia attività di ricerca, che conduco parallelamente a quella di direzione del Centro. Cerco di conciliare le due cose al meglio perché la ricerca mi appassiona e allo stesso tempo sono estremamente soddisfatto di aver realizzato, insieme a tutti i miei validissimi collaboratori, un progetto così bello nel nostro Paese.
Quali sono le azioni attualmente in campo al TIGEM per le malattie genetiche?
La nostra è una lotta alle malattie genetiche a 360° con tre principali programmi di ricerca che si basano su approcci diversi. Il primo è quello della medicina genomica, in cui studiamo le mutazioni e le loro correlazioni con le malattie. In questo programma si analizzano gli errori del DNA attraverso il sequenziamento genomico, che oggi è possibile effettuare in tempi brevi e a costi contenuti grazie a specifici macchinari. Per interpretare queste mutazioni è necessario avere sviluppato sul campo determinate competenze, come quelle relative alla statistica e alla bioinformatica. C’è poi il secondo programma dove si studia il “meccanismo” delle malattie, cioè cosa non funziona all'interno delle cellule in presenza di una mutazione e perché si verificano determinati sintomi. Infine il terzo programma è interamente dedicato allo sviluppo di nuove terapie. I ricercatori lavorano per mettere a punto approcci come quello della terapia genica, per esempio. Partecipano anche dei clinici che, applicando le scoperte fatte in laboratorio nel Centro, portano la scoperta fino al letto del paziente. A questi tre percorsi prendono parte ricercatori con competenze e formazioni differenti: ci sono chimici, fisici, biologi, ingegneri… questa multidisciplinarietà all'interno dell'Istituto è molto importante!
Nell’ottobre del 2019 ha ricevuto il Premio Tommaso e Laura Leonetti "Un impegno per Napoli", destinato a personalità che abbiano contribuito alla conoscenza e alla valorizzazione del patrimonio artistico, scientifico e culturale di Napoli. Cosa è significato per Lei?
È stato un motivo di grandissima soddisfazione, basti pensare che questo premio in precedenza era stato assegnato a personalità del calibro di Carlo Azeglio Ciampi. Il riconoscimento mi ha molto sorpreso ed è stato un ulteriore stimolo a “far bene” nella città di Napoli, che amo molto.
Napoli è una città dai mille artisti. Per alcune attività e settori della ricerca scientifica la creatività è d’obbligo. Una multinazionale hi tech indiscussa ha scelto Napoli per fondare un laboratorio di sviluppo. Anche per il TIGEM la localizzazione a Napoli offre la marcia della “creatività” in più?
Certamente sì, ci sono giovani con grande entusiasmo, creatività, voglia di fare e che non ti deludono: puntare su Napoli è stata sicuramente una decisione vincente. La scelta è stata volutamente di controtendenza perché la maggior parte degli istituti di alta ricerca si trova nel nord Italia mentre noi abbiamo deciso di spostarci da Milano a Napoli, ciò ha rappresentato una sfida importante. La stessa Regione Campania si è mobilitata per noi, facilitando alcuni aspetti. Napoli ci ha dato una marcia in più e devo dire che questa scelta ha sicuramente pagato.
Qual è la persona che è stata più determinante per la sua formazione professionale?
Sono state diverse le persone che hanno fatto la differenza nella mia carriera, a cominciare dal mio Maestro nel reparto clinico di Pediatria, il professor Generoso Andria, esperto di malattie genetiche. Successivamente è stata la ricercatrice Graziella Persico a darmi i primi rudimenti e a spiegarmi come fare ricerca, presso l’Istituto di Genetica e Biofisica di Napoli. Infine quando mi sono spostato negli Stati Uniti la persona che mi ha dato l'opportunità di diventare “indipendente” con un mio gruppo di ricerca è stata il Professor Thomas Caskey. Da un giorno all’altro mi chiese di diventare capogruppo, da borsista qual ero: in due settimane avevo un budget per condurre i miei studi e un laboratorio a disposizione. Come non ricordare poi Susanna Agnelli che con quella telefonata cambiò la mia vita. Senza la sua proposta probabilmente sarei rimasto negli Stati Uniti per molti anni, se non per sempre. Questa non sarebbe stata di certo una tragedia, però lei mi ha dato la possibilità di svolgere al meglio il mio lavoro e coltivare la mia passione qui in Italia, a Napoli, grazie alla fondazione Telethon.
Ha qualche altro aneddoto in particolare da raccontarci?
Un aneddoto per me particolarmente divertente avvenne anni fa, quando ancora vivevo e lavoravo negli Stati Uniti. Accadde che con il mio gruppo di lavoro facemmo una scoperta importante che finì un po’ su tutti i giornali, anche in Italia. Poco tempo dopo ricevetti una lettera di un mio ex compagno di scuola. Io al tempo ero abbastanza birichino e insieme ne combinavamo di tutti i colori. Ebbene, in questa lettera, che conservo ancora, mi scriveva “Caro Andrea, ho visto il tuo nome su tutti i giornali…” e poi aggiungeva “... la rivincita delle teste calde!”. Questa cosa mi ha fatto molto ridere e mi ha riportato ai tempi in cui ero uno studente. La morale di questo aneddoto, in fin dei conti, è che c’è chi per maturare ha bisogno di un po’ più tempo e anche se a scuola non si è combinato un granché, se lo si vuole, c’è sempre l’opportunità di rifarsi.
Della sua vita extra scientifica si ricorda anche il ruolo di Tedoforo ai Giochi Olimpici Invernali di Torino nel 2006. Da sportivo - non professionista - quanto contano, per Lei, spirito competitivo e di squadra nella vita e nel lavoro?
Per me sono estremamente importanti, nella vita così come nel lavoro. Ho uno spirito estremamente competitivo che viene dal mio animo sportivo: in inverno partecipo sempre a gare di sci, attività che mi dà una scarica adrenalinica, mi piace molto. Bisogna sempre tenere a mente che la ricerca è collaborazione ma anche competizione, perché per fare una scoperta è necessario essere i primi… questo significa che bisogna fare presto, scegliere la strada giusta e sapersi sacrificare per arrivare all'obiettivo.
Il TIGEM è una realtà scientifica italiana che attrae tanti giovani ricercatori provenienti da percorsi di studio condotti all’estero, Lei stesso, prima di tornare in Italia, viveva negli Stati Uniti. Quale messaggio vorrebbe dare ai tanti ricercatori italiani che oggi operano fuori dai confini nazionali?
Personalmente credo che per essere dei buoni ricercatori bisogna andare all'estero per avere una formazione diversificata. Questo vale per tutti ma per gli italiani in particolar modo perché, a volte, non disponiamo delle stesse opportunità e mezzi presenti in Paesi come gli Stati Uniti, l’Inghilterra o la Germania. Se a seguito del soggiorno all’estero c’è la possibilità di rientrare nel proprio Paese poi, tanto di guadagnato, ovviamente.
Per concludere, c’è un desiderio di cui augura la realizzazione per il futuro della ricerca in generale e del TIGEM in particolare?
Sì. Il primo desiderio di cui mi auguro la realizzazione è quello di poter trovare, tramite la ricerca, una terapia per un numero sempre maggiore di malattie genetiche che spesso, come dicevo, sono malattie terribili che colpiscono i bambini e le famiglie. In alcuni casi ci siamo riusciti ma le malattie genetiche sono oltre 7000, l’impresa è difficile. In secondo luogo mi auguro che il TIGEM possa dare opportunità a sempre più ragazzi di talento, italiani, napoletani e non, di intraprendere una carriera in questo bellissimo mestiere, quello del ricercatore, i cui risultati del lavoro sono in grado di aumentare la competitività del nostro Paese.