Dalla superstizione alla costruzione del Reale Osservatorio Vesuviano, come si è evoluta nel tempo la sorveglianza vulcanica
I fenomeni naturali potenzialmente pericolosi, e in particolare le eruzioni vulcaniche, sono stati percepiti come rischi in modo diverso nel tempo dalle popolazioni. In epoca classica le manifestazioni vulcaniche erano inquadrate in un contesto superstizioso. Per l’uomo arcaico un'eruzione costituiva una ierofania, cioè la manifestazione di un segno divino; Comete o fulmini, terremoti o eruzioni, rappresentavano una rottura dell’equilibrio tra cielo e terra, configurandosi come veri e propri precursori (praesagia) di disgrazie in tutta la società. Scrive Plinio il Vecchio: “Mai terremoto ha scosso la città di Roma senza preannunciare allo stesso tempo qualche catastrofe imminente”(Plinio, Storie Naturali, lib. II, 86). Con il passaggio dall'antichità pagana alla cristianità i terremoti e le eruzioni diventarono delle vere e proprie catastrofi, in grado di cambiare il corso della storia, come una catarsi. La comunità medievale era convinta che la catastrofe fosse imputabile alla volontà punitiva divina e che questa intervenisse direttamente o attraverso altre forze demoniache. Per tutto il medioevo i vulcani erano temuti e indicati come fumaioli dell’Inferno e la memoria e il racconto di terremoti ed eruzioni, ricavabili nei libri monastici, servivano per segnalare la morte di un grande peccatore. Tutte queste congiunture negative, quindi, dipendevano dalle influenze demoniache o magiche, contro le quali solo il sacerdote o lo stregone disponevano di armi. Così Sant’Agata a Catania e San Gennaro a Napoli diventarono numi tutelari dell’Etna e del Vesuvio. In qualsiasi calamità, terremoto o pandemia, non vi era nulla che non trovasse la sua spiegazione e la sua giustificazione nel trascendente, nell’economia divina.
Le sofferenze che arrecava la catastrofe non erano soltanto meritate, in quanto effetto fatale delle colpe commesse dalla comunità, ma anche benvenute, poiché solamente in questo modo era possibile riassorbire e liquidare una parte dei peccati individuali o collettivi, predisponendo la divinità al futuro bene comune. Furono proprio le grandi catastrofi del XVII secolo nel Regno di Napoli, con l'eruzione del Vesuvio nel 1631, la rivoluzione sociale del 1647 e la pestilenza del 1656, a creare un clima propizio per il ritorno e lo sviluppo di dottrine teodicee e di profezie escatologiche. L'eruzione dell'Etna del 1669 segnò il passaggio della Vulcanologia dall’epoca medievale a quella moderna. Per la prima volta mutò l'atteggiamento di passività e ineluttabilità dell’uomo rispetto agli eventi naturali: venne tentata per la prima volta nella storia la deviazione di una colata lavica. Anche sotto il Vesuvio, soprattutto gli abitanti lungo la costa, sentirono la necessità di eseguire osservazioni per cogliere eventuali segni delle manifestazioni preeruttive del vulcano. Le circa duecento narrazioni dell'eruzione del 1631, rilevarono che, prima della fuoriuscita dalla bocca del vulcano delle mortali e distruttive correnti piroclastiche, si osservava un anomalo ritiro del mare. Memori di ciò, a Torre del Greco furono istituiti turni di guardia alla marina e quando si verificava una marea anomala e il Vesuvio manifestava contemporaneamente attività parossistica, due uomini sui campanili davano "l'avviso, col suono delle campane, acciocché ognuno si desse alla fuga" ( Ignazio Sorrentino, 1734). Successivamente Carlo di Borbone, per osservare le anomale variazioni del livello marino, fece installare dei mareometri nel Granatello di Portici e nella Darsena di Napoli. Era l'inizio della sorveglianza vulcanica con la misurazione strumentale di un fenomeno precursore.
Nel 1746 a Leida, un esperimento inatteso aveva fatto conoscere la potenza straordinaria del fluido elettrico. Qualche anno dopo, nel 1752, Giannantonio Nollet e Beniamino Franklin avevano dimostrato la natura elettrica del fulmine. Fu quindi naturale che si ricorresse alla nuova forza per trovare una buona spiegazione del terremoto e delle eruzioni. Nelle pubblicazioni scientifiche di questo periodo ha quasi assoluto predominio la discussione a sostegno dell’ipotesi elettrosismica: a causare i terremoti o le eruzioni era un eccesso di fluido elettrico. L’abate Pierre Bertholon giunse persino a proporre l’uso del paraterremoto (costituito da una sbarra di ferro da immergere in profondità nel terreno, allo scopo di scaricare nell’aria il flusso elettrico interno in eccesso), molto simile al parafulmine di Franklin nell'atmosfera. Divenne fondamentale studiare l'elettricità atmosferica e quella interna alla terra (meteorologia endogena) e dotarsi di elettroscopi, bussole e sismoscopi per poter capire tali fenomeni. Questa rivoluzione scientifica avviò un turismo-culturale, detto Gran tour, che proseguendo fino al XIX secolo, richiamò molti studiosi sul Vesuvio, soprattutto stranieri, che cominciarono ad avvertire in modo sempre più impellente la necessità di un ricovero nel quale poter sostare nei periodi di osservazione e dove poter depositare gli strumenti necessari ai loro studi. Le prime richieste di un punto di osservazione stabile sul Vesuvio furono avanzate fin da dopo il terremoto delle Calabrie del 1783, quando il naturalista Mattia Valenziani inviò un’esplicita richiesta di un osservatorio al Re delle due Sicilie Ferdinando I di Borbone. Negli anni successivi anche l’Accademia delle Scienze di Napoli presentò stessa richiesta, sempre senza successo.
A riaprire il dibattito sulla necessità di un osservatorio furono Teodoro Monticelli, Segretario dall’Accademia delle Scienze di Napoli, insieme a Nicola Covelli. In pratica, chiesero a Ferdinando I di Borbone, la costruzione sulle falde del Vesuvio di un Osservatorio destinato a studiare l’attività del vulcano in modo continuo: "Se uomini istruiti vegliassero in un Osservatorio Meteorologico la fisica vulcanica ne diverrebbe più estesa e men tenebrosa”. (Teodoro Monticelli, 1823). Un tale “gabinetto vulcanico” fu preso in seria considerazione solo alcuni anni dopo. Nel 1841 venne avviata la costruzione, sulla collina del SS. Salvatore sul Vesuvio, del primo osservatorio vulcanologico al mondo: l'Osservatorio Meteorologico Vesuviano. Ferdinando II di Borbone ne affidò la direzione al più grande fisico italiano dell’elettricismo dell'epoca, Macedonio Melloni. Oggi l’Osservatorio Vesuviano da il nome alla sezione di Napoli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).