Nel capoluogo dell’isola più grande d’Italia, la Sicilia, ha sede una Sezione dell’INGV la cui storia è perfino più antica di quella dell’Ente. Una Sezione protesa verso il blu del Mar Tirreno, che del mare ha fatto negli anni uno dei suoi principali oggetti di studio e ricerca. La Sezione di Palermo è un polo d’eccellenza dell’Istituto, sede di numerosi laboratori scientifici in cui attraverso la geochimica si osserva da un punto di vista privilegiato ‘tutto ciò che si muove’ dallo Spazio fino alle profondità marine. Punto di riferimento per il monitoraggio dei fluidi idrotermali delle isole Eolie, la Sezione è anche partner scientifico del comparto industriale nazionale nella ricerca di fonti di energia alternative. Per saperne di più, abbiamo intervistato il Direttore Francesco Italiano.
Franco, da quanto tempo sei Direttore della Sezione di Palermo dell’INGV?
Sono Direttore da diversi anni ormai, dal settembre del 2016. Siamo agli sgoccioli del mio secondo (e ultimo) mandato.
Quali sono le principali attività di cui si occupa la tua Sezione?
Direi quelle che ci competono in quanto Ente di Ricerca: dai progetti di ricerca, alle attività istituzionali di monitoraggio dell’attività vulcanica che svolgiamo per il Dipartimento della Protezione Civile. Queste ultime sono sicuramente quelle che assorbono più tempo ed energie.
L’INGV è stato istituito formalmente nel 1999 con un decreto legislativo che ha unificato sotto un’unica egida vari Enti di ricerca italiani tra cui l’Istituto di Geochimica dei Fluidi (IGF) del CNR, divenuto la nostra attuale Sezione di Palermo. Cosa è cambiato da allora nelle attività di ricerca e nel lavoro che si svolge in Sezione?
Questa domanda cade a pennello, perché io sono stato il primo ricercatore assunto dall’IGF di Palermo nel 1984, quindi posso dire di avere una corposa memoria storia di ciò che è stato quel passaggio cruciale. Come CNR operavamo su quattro cosiddette “linee di ricerca”: geochimica dei fluidi per l’ambiente, geochimica dei fluidi in ambiente vulcanico, in ambiente sismico e in ambiente geotermico. Ricalcavano un po’ quelli che oggi sono i tre Dipartimenti dell’INGV, Ambiente, Terremoti e Vulcani. Cosa è cambiato rispetto ad allora? Beh all’epoca eravamo quasi dei pionieri nella materia, c’era un clima di grande fermento che generava delle iniziative anche molto personali di ricercatori che cercavano di utilizzare i mezzi che avevano a disposizione (non moltissimi, va detto) per portare avanti delle idee progettuali, e riuscivamo a trasferire il know-how acquisito su quelle che sarebbero poi diventate le attività di monitoraggio (che all’epoca si svolgevano per il Gruppo Nazionale di Vulcanologia, confluito anch’esso nell’INGV).
Oggi, d’altro canto, abbiamo molta più disponibilità economica e tecnologica, ma siamo anche molto più sommersi da un corposissimo ventaglio di questioni amministrative che, in qualche caso, rallentano il nostro lavoro scientifico.
Quanti colleghi fanno parte della Sezione?
Ad oggi la Sezione conta 63 unità di personale, 10 assegnisti di ricerca e 10 associati di ricerca, con un numero variabile di tirocinanti e stagisti provenienti da varie Università sia italiane che straniere.
Cosa significa per te ricoprire l’incarico di Direttore?
Si è trattato, per me, di un’attività particolarmente importante e sentita che ha permesso di mettere al servizio della sezione le esperienze maturate come ricercatore e manager di progetti a scala internazionale fino a quella regionale, importante perché radicata sul territorio. Al momento della mia nomina utilizzai tutto l’entusiasmo e le energie per cercare di indirizzare la mia Sezione verso un futuro maggiormente organico e strutturato, con l’obiettivo di rafforzare il brand INGV grazie alle molteplici competenze presenti in sezione. Il ruolo complesso di condottiero di una sezione non ha fatto venire meno il bisogno di continuare a svolgere attività di ricerca, attraverso il coordinamento di progetti a scala internazionale. La crescente complessità gestionale che nel tempo ha interessato tutto l’Ente, però, ha un pochino minato l’entusiasmo iniziale con un crescente carico di procedure amministrative…un distillato spesso poco utile di burocrazia. Noi Direttori siamo personale scientifico dell’Istituto, con lauree in Fisica, Geologia o Ingegneria: nessuno di noi ha competenze pregresse in ambito amministrativo. Ecco, questo aspetto, spesso dimenticato, è invece secondo me un punto cruciale che andrebbe approfondito meglio e, possibilmente, ridiscusso ai tavoli di governo per sanare la situazione attuale in cui la maggior parte del tempo di un Direttore (che, come dicevo, resta prima di tutto un ricercatore) è assorbita dalla risoluzione di problematiche legate esclusivamente all’aspetto gestionale e amministrativo della Pubblica Amministrazione.
La Sezione di Palermo si occupa anche della gestione di numerosi laboratori scientifici e di una fitta rete di monitoraggio che interessa l’Etna, le isole Eolie e le isole della Sicilia occidentale, nonché di infrastrutture dedicate alla ricerca marina: in che modo la sinergia tra le attività di ricerca e di monitoraggio che vengono svolte in questi ambiti è importante per lo sviluppo e la crescita dell’Istituto?
Beh è sicuramente molto importante. La tipicità della Sezione di Palermo è quella di provenire da un Istituto del CNR che, come dicevo, si occupava specificamente di geochimica dei fluidi: la geochimica è una materia trasversale a tutte le scienze, non solo alle Scienze della Terra, ma anche a quelle mediche, biologiche o archeologiche, per citarne alcune. Le nostre attività sul campo e le nostre infrastrutture interessano tutto quello che c’è partendo dallo Spazio, passando per l’atmosfera e arrivando fino alla Terra e alle profondità marine. La gestione di tutto ciò, unitamente alle attività più propriamente legate alla ricerca scientifica e al monitoraggio, ci consente di ‘interpretare’ i segnali che la natura ci fornisce ogni giorno attraverso i fluidi (ma potremmo anche dire attraverso ‘tutto ciò che si muove’) nello Spazio, sulla Terra e nel mare.
Queste conoscenze, oltre ad essere a vantaggio di tutti, hanno anche delle ricadute importanti nelle attività di monitoraggio e sorveglianza vulcanica: ci permettono, infatti, di riuscire a interpretare i fenomeni che sottostanno all’aumento dell’attività vulcanica, fornendo informazioni fondamentali ai fini della gestione del rischio da parte della Protezione Civile.
Qual è stato, in questi anni da Direttore, l’episodio professionale più importante che ti piacerebbe raccontare?
Più che un episodio mi piacerebbe raccontare una serie di eventi a cascata nati da un modo di essere, da un modo di affrontare i problemi. Inizio col dire che negli ultimi 30 anni mi sono occupato anche e soprattutto di geochimica in ambiente marino. Quando ci fu l’esplosione sottomarina di Panarea, nel novembre del 2002, la Protezione Civile venne a prendermi direttamente a casa con un elicottero: avevo perfino una mano ingessata a causa di una caduta all’interno del cratere di Vulcano. Quella mattina ricordo che mi chiesero molto semplicemente: “Che cosa è successo?”. Io li guardai e, altrettanto semplicemente, risposi: “E che ne so!”, “Ma come, sei quello che sa tutto di Panarea!”, “Sì, forse, ma una cosa del genere non l’avevo mai vista prima”. Ecco, in quel momento e da quello scambio di battute è nata la necessità di dare una risposta a un problema di natura squisitamente scientifica che, però, stava avendo una pesante ricaduta anche sul sistema di protezione civile. In effetti, se quell’esplosione non si fosse verificata in autunno ma in piena stagione turistica molto probabilmente sarebbe stata una tragedia. Era necessario, quindi, cercare di capire e di interpretare quei segnali della natura di cui avevamo solamente pochi indizi che ci venivano offerti proprio dai fluidi. Questo lavoro è iniziato, quindi, nel 2002 e con il tempo ci ha visti sviluppare tutta una serie di sistemi per l’acquisizione di dati in continuo, come gli osservatori sottomarini, per i quali abbiamo iniziato a collaborare con l’infrastruttura europea EMSO: il risultato, a distanza di anni, è stato che Panarea - unica nel suo genere nel Mediterraneo, ma probabilmente anche nel resto del mondo - è diventata un centro di attrazione per molti gruppi di ricerca nazionali e internazionali, ma anche per la divulgazione. Pensate che su quest’isola sono stati prodotti numerosi documentari, l’ultimo dei quali sarà presentato a Roma il prossimo 3 luglio nell’ambito del SalinaDocFest. Perfino l’UNESCO per la Ocean Decade si è interessato a queste attività, inviando - proprio qualche settimana fa - una sua troupe per realizzare un filmato da presentare alla Comunità Europea.
L’episodio professionalmente significativo per me quindi è questo, l’essere riusciti a passare dalla conoscenza dei processi naturali, all’utilizzo di questa conoscenza per la protezione dell’ambiente e dell’uomo, fino ad arrivare alla divulgazione fatta attraverso una cinematografia di alto livello.
Ci sono dei progetti futuri riguardanti la Sezione di Palermo che ti piacerebbe anticiparci?
La Sezione di Palermo attualmente è coinvolta anche nel rinnovato interesse del nostro Paese per la geotermia che, in considerazione delle contingenze attuali, si muove verso la ricerca di fonti di energia alternative. Il ruolo di manager di progetti l’ho interpretato volgendo lo sguardo alla ricerca scientifica e alle tecnologie innovative, attraverso azioni di cui vado fiero. Ritengo che tra le più significative vi siano la realizzazione di sedi fisiche istituzionali (la palazzina di tre piani a Palermo e la sede operativa INGV di Milazzo, la nuova sala CED di Palermo), unitamente al potenziamento di infrastrutture per la ricerca e la comunicazione. Quanto realizzato con l’aiuto e il supporto dei colleghi di Sezione ha di certo rafforzato l’identità dell’INGV sul territorio e ritengo sia la base su cui continuare a costruire e consolidare l’identità culturale della sede palermitana dell’INGV.