Un’avventura che ha inizio nella seicentesca Basilica di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta, nel cuore di Napoli, e prosegue nelle viscere della città seguendo un percorso che accompagna il visitatore in un viaggio nella storia geologica del territorio partenopeo. Questo e molto altro nella mostra Napoli – Storia, Arte, Vulcani curata dall’Osservatorio Vesuviano dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV-OV). Per scoprirne i dettagli abbiamo intervistato il vulcanologo dell'INGV Mauro Antonio Di Vito che, attraverso il suo racconto, ci conduce nell’affascinante mondo del sottosuolo napoletano.
Che proposte avete ideato in occasione della mostra? Cosa è possibile vedere e a quale pubblico vi rivolgete?
Il museo allestito presso la Basilica di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta è una esposizione della stratigrafia culturale, storica e vulcanologica della città di Napoli. All'inizio del percorso sono esposte 15 Gouaches del Settecento e dell’Ottocento della collezione dell’Osservatorio Vesuviano. Soggetto dei dipinti, le eruzioni del Vesuvio nei secoli passati, quando era in uno stato di attività semi persistente, con eruzioni spettacolari. Queste opere rappresentano dei documenti preziosi, in quanto mostrano fedelmente com'era il vulcano in passato, la posizione delle bocche eruttive, l’altezza che raggiungevano le fontane di lava e dove scorrevano le colate. Proseguendo, il visitatore incontrerà un mega schermo che riporta, grazie ad un sistema replicante quello presente nella Sala di Sorveglianza dell’OV, gli epicentri dei terremoti delle aree vulcaniche napoletane. Sebbene nell'immaginario comune quando si pensa al vulcano il pensiero volge al Vesuvio, ci sono altri due vulcani attivi sul territorio: i Campi Flegrei e Ischia. È proprio attraverso questo schermo che si possono osservare i segnali del “respiro” dei tre vulcani. Continuando il percorso è possibile osservare la sequenza stratigrafica dei prodotti delle eruzioni preistoriche di Vesuvio e Campi Flegrei, fino ad arrivare ad una enorme cavità scavata nel Tufo Giallo Napoletano. Questo materiale è il prodotto di una attività eruttiva risalente a 15.000 anni fa che costituisce l’ossatura della capitale partenopea, al di sotto della quale sono scavate tantissime cavità sotterranee che caratterizzano il sottosuolo della città. Proprio su una parete di Tufo Giallo Napoletano è proiettato un filmato sintetico ma rigoroso sull’eruzione che ha prodotto questa roccia tanto famosa. Ovviamente si tratta di una ricostruzione fantastica, basata però su dati scientifici. La discesa continua e presto partirà un nuovo percorso, a circa 25 metri di profondità, scavato nel tufo. Qui sarà possibile osservare delle costruzioni bellissime: cisterne, acquedotti di epoca romana, scale intagliate nel tufo e molto altro. Qui sono inoltre visibili i segni lasciati dall'uomo, da quando ha iniziato a realizzare queste cavità, alcune delle quali risalgono all’epoca greca. Nella cavità ci sono anche tracce di utilizzo durante l'ultima guerra, quando durante i bombardamenti questi posti sono stati dei rifugi. Questa è solo una parte della mostra, che si rivolge a tutta la famiglia. Vi svelo un dettaglio divertente: la “storia” è raccontata da un personaggio “immaginario”, Pietro, un vulcanologo che spiega le caratteristiche delle rocce e la dinamica delle eruzioni alla sua amica Strella, una pipistrella erudita che vive nelle cavità sotterranee. Un modo ludico per rappresentare rigorosamente quelle che sono le peculiarità del percorso. Il racconto, inoltre, è stato illustrato dalla Scuola Italiana di Comix e sarà distribuito a breve.
Ci sono altri punti di accesso nella città di Napoli dove è possibile vedere le stratificazioni prodotte dalle eruzioni?
Le operazioni di estrazione del tufo hanno largamente interessato il sottosuolo della città e sono numerosissimi gli edifici che hanno delle cavità sotterranee, spesso usate come cisterne o cantine poiché caratterizzate da elevata umidità e temperatura costante. Un punto di accesso, non molto profondo ma particolarmente significativo, è all’interno di Castelnuovo (Maschio Angioino), dove è possibile osservare la stratificazione degli ultimi 7.000 – 8.000 anni di eruzioni, sia del Vesuvio, sia dei Campi Flegrei. Ci sono poi gli scavi di San Lorenzo, il Tunnel Borbonico, molto bello e molto complesso, e molte altre cavità. Ciò che differenzia il percorso della mostra Napoli – Storia, Arte, Vulcani, però, è la trattazione scientifica di quello che è possibile vedere, è una sua unicità.
Tornando al percorso della mostra, quali sono le eruzioni che hanno lasciato i segni più evidenti?
Sono due in particolare. La prima è quella di Agnano Monte Spina, un'eruzione pliniana che avvenne nei Campi Flegrei circa 4.500 anni fa. L'evento interessò un'area già abitata nel Neolitico da molte comunità che si dedicavano all’agricoltura e alla pastorizia: i prodotti delle eruzioni hanno sepolto i segni di queste attività, tra cui tracce di coltivazione, villaggi, recinzioni e vere e proprie strade.
Poi c'è l'eruzione pliniana delle Pomici di Avellino, avvenuta al Vesuvio nel Bronzo Antico, circa 4.000 anni fa. Anche questo è stato un evento di grande impatto che ha ricoperto migliaia di chilometri quadrati con i propri depositi. A quell’epoca il territorio intorno al Vesuvio era largamente utilizzato e la deposizione delle ceneri dell’eruzione ha preservato numerose tracce della presenza delle comunità che abitavano su un territorio molto fertile. Lo studio dei depositi dell’eruzione ha permesso anche di rilevare la presenza di tracce di una estesa migrazione, durante l’eruzione, delle popolazioni sopravvissute all'eruzione, che migravano con le loro greggi e armenti verso Nord.
Qual è il rapporto che oggi lega la popolazione campana ai suoi vulcani?
Ho sempre rilevato un rapporto molto profondo con “il vulcano” nei vesuviani e anche nei napoletani, abituati a vedere il Vesuvio. È un edificio vulcanico molto suggestivo, coperto di vegetazione in primavera e di neve in inverno, che purtroppo in passato ha dato parecchi problemi. Non è solo il vulcano più evidente, è anche quello che ha prodotto l’ultima eruzione, un evento di scala medio bassa che risale al 1944. Un rapporto forte è anche quello della popolazione con i Campi Flegrei e Ischia, ma in modo diverso. Questo perché non ci sono nella memoria collettiva i ricordi degli ultimi eventi eruttivi che nei Campi Flegrei risalgono al 1538, mentre Ischia vede la sua ultima eruzione nel 1302. Nei Campi Flegrei, però, altri fenomeni sono ben noti alla popolazione come la deformazione del suolo e la sismicità. Inoltre la consapevolezza di convivere con dei vulcani attivi sta aumentando sempre di più, anche grazie all’informazione che viene periodicamente fornita dall’INGV proprio sullo stato di attività di questi vulcani e sui potenziali rischi connessi alle eruzioni.