Renato Sartini, giornalista scientifico, ripercorre la storia del cetaceo attraverso il documentario “Giallo ocra – Il mistero del fossile di Matera”. Il documentario, patrocinato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), è stato presentato in prima nazionale in occasione del trentennale di Futuro Remoto, il festival delle scienze della città di Napoli
Si chiama Giuliana ed è il più grande fossile di balenottera ritrovata al mondo, risalente al Pleistocene (tra 1.8 milioni e 781mila di anni fa). Si chiama così per via del lago artificiale di San Giuliano in cui fu scoperta l'8 agosto del 2006, nelle vicinanze della diga che sbarra il fiume Bradano a pochi chilometri da Matera. Per le sue dimensioni, 25 metri, rappresenta un tassello fondamentale per la comprensione dell'evoluzione di questi cetacei e dei cambiamenti climatici. Da 10 anni chiusa nelle casse, ora è ospite nel Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola” di Matera in attesa di essere studiata. Renato Sartini, giornalista scientifico, ne ripercorre la storia attraverso il documentario “Giallo ocra – Il mistero del fossile di Matera”, patrocinato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). La sua misura di oltre 25 metri (stimata grazie al ritrovamento del cranio, largo da zigomo a zigomo ben 2,88 metri) è stata raggiunta oggi solo dalla balenottera azzurra (Balaenoptera musculus) e la balenottera comune (Balaenoptera physalus) che con i loro 33 e 26 metri circa sono i più grandi animali che vivono sul nostro pianeta. Il documentario, presentato in prima nazionale in occasione del trentennale di Futuro Remoto, il festival delle scienze della città di Napoli, racconta la storia del ritrovamento del fossile e tutti i passaggi di questa vicenda intrecciandoli con importanti fatti scientifici attraverso le voci di importanti scienziati che hanno partecipato al suo recupero. “Giuliana è una di quelle innumerevoli e ambiti pezzi seminati da madre natura che ogni ricercatore spera di trovare per poterlo aggiungere al complicato mosaico della storia del nostro pianeta”, racconta Renato Sartini, “ma è ancora chiusa nelle casse in cui è stata conservata nel corso delle tre campagne di recupero. Fatte a cavallo tra il 2007 e il 2011". Eppure le premesse, basate sulla misurazione delle dimensioni e valutazione delle caratteristiche e tipo di dei resti fossili ritrovati, già facevano presagire dal primo sopralluogo dei paleontologi una scoperta eccezionale. "Di Giuliana, scoperta per caso da un anziano agricoltore del posto, sono state ritrovate in tutto 12 vertebre toraciche, con un diametro superiore ai 20 centimetri”, spiega ancora Sartini, “diverse costole, di cui una lunga oltre 3 metri. Ma anche la pinna pettorale costituita da scapola, omero, radio, ulna e diverse falangi. Del cranio, che è la parte scientificamente più importante dello scheletro, è stata ritrovata la porzione posteriore che includeva il cervello, e una parte del rostro: mandibola e mascella, che sosteneva nella bocca i fanoni, caratteristica tipica di un misticeto, cioè di un cetaceo che al posto dei denti è dotato di lamine costituite da tessuto di cheratina. A forma ti pettine, servono all'animale come setaccio per espellere l'acqua dalla grande bocca così da poter trattenere i piccoli animali di cui si nutre”. Oggi i suoi resti si trovano presso il Museo Archeologico Nazionale Domenico Ridola della città, in attesa di essere analizzati. “Dalle sole dimensioni di alcune parti, la balenottera, nonostante non sia ancora stata studiata a fondo, ci dà importanti informazioni sull'evoluzione di questi cetacei e sui cambiamenti climatici”, prosegue l’autore del documentario. “È Forse la più grande balenottera ad aver mai nuotato nel Mediterraneo. Secondo i paleontologi, infatti, il ritrovamento di questo fossile confermerebbe la teoria secondo la quale l'aumento delle dimensioni di questi cetacei sarebbe, dal punto di vista evolutivo, una risposta alle glaciazioni registrate sulla Terra negli ultimi 2 milioni di anni”. “Secondo i tre paleontologi che hanno seguito il ritrovamento, la presenza di flora e di fauna fossile presenti nel terreno scavato che avvolgevano la balenottera è significativa per la definizione dell'antico ambiente in cui è morta, e per la ricostruzione del fondale in cui si è adagiata, che è poi diventato il suo sarcofago d'argilla”, afferma Sartini. “In particolare sono stati trovati pesci lanterna, che vivono a qualche centinaio di metri di profondità; zoopycus, che sono resti di organismi limivori che si nutrono di detrito organico sui fondali, anch'essi che vivono ad alcune centinaia di metri. Ma anche molluschi che vivono, invece, in acque aperte, oceaniche, fresche. Tutto questo indica un ambiente complessivo intorno ai 500, 600 metri di profondità”. Altro elemento estremamente utile per la ricostruzione dell’habitat in cui Giuliana è stata scoperta, è la presenza di posidonie: sono resti d'origine vegetali che vivono tra zero e 50, 60 metri di profondità. “Molto probabilmente dovuta alla presenza di un fondale molto ripido, quasi in verticale dalla parte emersa fino all'ambiente in cui è stato trovato trovato il reperto”. Ma come ha fatto Giuliana ad arrivare sulle colline della Basilicata, a 100 metri sul livello del mare e a circa 40 chilometri dalla costa del Mar Jonio? “Il documentario vuole spiegare proprio questo”, dice Sartini. “A farla riemergere dal passato la balenottera di San Giuliano è stato il sollevamento in milioni di anni del fondale di circa 600 metri. Per scoprire questo incredibile sollevamento basta andare a Miglionico, un paese a circa 500 metri d'altitudine. Da dove si vede oltre che la piana dove si trova la diga di San Giuliano la città di Matera. Ai tempi della balenottera tutto il territorio, che fa parte della cosiddetta Fossa Bradanica, era completamente sommerso”. La balena è stata trovata esattamente nei sedimenti della cosiddetta Avanfossa Bradanica. Quest'ultima è una conseguenza del movimento delle placche terrestri. Quando la balenottera è morta l'attuale Puglia era un arcipelago di isolette e c'era un ampio canale di mare profondo anche 600 metri che univa quello che oggi è il Mar Jonio con il Mare Adriatico. È in questa situazione che la balenottera si è depositata sul fondale. Il documentario è stato patrocinato dall’INGV, Consiglio Nazionale delle ricerche (CNR), Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), Società Geografica Italiana, Società Geologica Italiana, Società Paleontologica Italiana e Università degli Studi della Basilicata.