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Alla scoperta del Bosone di Higgs. Intervista ad Antonio Zoccoli, presidente dell'INFN
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- Scritto da Francesca Pezzella
Presidente dell’INFN, l’ente di ricerca italiano impegnato nel campo della fisica nucleare, delle particelle elementari e della più recente fisica astroparticellare, Antonio Zoccoli si è laureato in fisica all’Università degli Studi di Bologna, dove oggi è professore ordinario di fisica sperimentale. Dal 2005 è membro della collaborazione ATLAS al CERN che, insieme alla collaborazione CMS, ha annunciato la prima osservazione del bosone di Higgs nel luglio 2012. Ospite d’onore del nostro salotto virtuale, il Professor Zoccoli ci ha raccontato il suo percorso ed alcuni dei momenti più importanti della sua carriera scientifica, con uno sguardo al futuro dell’INFN.
Professore, quando è maturata in lei la passione per la scienza?
La matematica mi ha incuriosito sin da bambino ma ho maturato una vera e propria passione nei confronti della scienza durante gli anni delle scuole superiori. Da ragazzo ho frequentato il liceo classico e, benché andassi molto bene in greco e in latino, fu in quel periodo che capii che ero maggiormente attratto dalle materie scientifiche. Iniziai ad appassionarmi alla storia dell’Universo, ero curioso di comprendere come erano nate le stelle e le galassie. In quegli anni, inoltre, c’era una trasmissione televisiva che, in una puntata, parlava di Einstein e della Teoria della Relatività. La vidi e ne rimasi affascinato; terminato il liceo, mi iscrissi alla Facoltà di Fisica.
C’è stato un evento per lei particolarmente determinante nel suo percorso professionale?
Sono stati due i momenti più significativi nel mio percorso di ricerca. Il primo è rappresentato da un esperimento a cui ho partecipato presso il laboratorio Desy di Amburgo, in Germania, che, in concorrenza con un altro test americano, cercava di misurare in un tipo specifico di quark, i cosiddetti quark beauty, la violazione della simmetria CP, un fenomeno che potrebbe contribuire a spiegare l’asimmetria tra materia e antimateria dell’universo.
In quell'occasione ho coordinato un gruppo di più di cinquecento ricercatori. Il nostro team era l’unico italiano a partecipare e, nonostante alla fine la sperimentazione non abbia raggiunto il suo obiettivo principale, sono stati tanti gli insegnamenti tratti da quell’esperienza sulle tecnologie, sull’analisi dei dati ma anche sulla gestione di una vasta collaborazione. È stata un’esperienza molto stimolante e coinvolgente sia da un punto di vista scientifico, sia per i rapporti umani che si sono andati stringendo.
Il secondo momento che mi ha particolarmente colpito risale alla mia partecipazione all’esperimento ATLAS all’acceleratore LHC del CERN, a Ginevra, in cui abbiamo scoperto il Bosone di Higgs. In particolare, avevo collaborato alla fase di preparazione dell’esperimento, costruendo una parte dell’apparato e partecipando alla sua calibrazione e messa a punto. Dopo un anno passato a raccogliere i dati, nel giro di pochi mesi, nel 2012, è stato possibile rilevare il segnale di quella che è diventata famosa come “la particella di Dio”. Il raggiungimento di questo risultato ha rappresentato, per me, un’esperienza unica.
Considerando che il bosone di Higgs venne teorizzato nel 1964, cosa significa l’aver provato finalmente la sua esistenza?
È impressionante pensare che ci sono voluti 50 anni per verificare questa ipotesi. È stato necessario costruire la più complessa macchina esistente al mondo: un acceleratore di particelle dotato di una tecnologia d’avanguardia. Grazie allo sforzo di migliaia di scienziati, che hanno collaborato sia alla messa a punto della macchina acceleratrice sia alla conduzione degli esperimenti, l'ipotesi è risultata essere vera. Nel corso del seminario scientifico in cui sono stati presentati i risultati della scoperta del bosone di Higgs, venne chiesto a Higgs, presente in sala, che cosa provasse. Lui, molto commosso, disse “Non avrei mai pensato, quando ho formulato questa ipotesi, che potesse essere vera”. Questo secondo me è il bello della scienza: si fanno tante ipotesi ma si riesce a distinguere quella giusta solo attraverso il metodo sperimentale, una potentissima arma di conoscenza.
Recentemente in quale ricerca scientifica è impegnato?
Attualmente sono ancora componente del progetto ATLAS e seguo dei dottorandi. Prima di essere investito della carica di Presidente avevo avviato un’iniziativa che si allontanava molto dalle ricerche svolte fino ad allora, volta ad approfondire il tema del letargo. Dopo aver parlato con un fisiologo che se ne occupava, assieme decidemmo di condurre uno studio interdisciplinare per verificare se gli animali in quello stato fossero meno soggetti ai danni da radiazione. Mi ha sempre affascinato il meccanismo attraverso cui alcuni mammiferi entrano in letargo, rimanendo per un periodo di tempo totalmente indifesi. Aspetti quali il rallentamento del metabolismo, o legati al fatto che in questa condizione malattie come i tumori non si sviluppano, hanno stimolato la mia curiosità. Nonostante il letargo sia un fenomeno ormai noto, infatti, ne sappiamo ancora poco. Attualmente sto seguendo questo studio i cui risultati possono avere una serie di applicazioni a cavallo tra la medicina e la fisica.
Qual è il ramo o la teoria della Fisica che ancora oggi più la affascina?
Sicuramente la fisica delle particelle e, collegata ad essa, l’astrofisica.
Mi affascina il fatto che non sappiamo rispondere a domande semplici e fondamentali come “Di che cosa è fatto l’universo?”.
Oggi sono disponibili radiotelescopi situati a terra, osservatori astronomici posizionati sulle cime delle montagne e satelliti attraverso i quali possiamo ammirare la bellezza del cosmo, le galassie e le stelle.
Ciò che vediamo, però, rappresenta solo il 5% dell’universo; il restante 95% è composto da materia ed energia oscure e ad oggi non sappiamo che cosa siano.
Allo stesso modo non sappiamo perché nell’universo non c’è, o almeno fino ad oggi non è stata trovata, l’antimateria. Quando è avvenuto il Big Bang l’energia si è convertita in materia; ma secondo le leggi che conosciamo e secondo ciò che osserviamo nelle collisioni tra particelle nei nostri acceleratori, in origine si sarebbe dovuta produrre una stessa quantità di materia e di antimateria. Se però osserviamo il cosmo vediamo solo materia… e l’antimateria dov’è andata a finire? Perché sembra non esserci più?
Sono domande fondamentali alle quali non siamo ancora riusciti a rispondere. Anche se siamo tecnologicamente evoluti, sappiamo ancora pochissimo dell’universo e delle leggi che lo governano.
Il 30 settembre scorso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ha compiuto 70 anni. Qual è il futuro dell’INFN secondo lei?
Il futuro dell’INFN sarà continuare a indagare i misteri dell’universo per rispondere alle grandi domande “Da che cos'è composta la materia e quali sono le leggi che la governano?”.
Per fare questo l’Istituto deve agire su due binari. In primo luogo deve sviluppare tecnologie di frontiera per migliorare continuamente i propri esperimenti e le proprie misure. Tra queste tecnologie, ad esempio, ce ne sono alcune emergenti come quelle quantistiche, un campo in cui ci impegneremo.
Parallelamente è necessario investire nelle grandi infrastrutture di ricerca e di supporto alla ricerca, come lo sono i Laboratori Nazionali dell’INFN, quelli sotterranei del Gran Sasso, e quelli di Frascati, Legnaro e Catania con i loro acceleratori di particelle, o come gli interferometri per onde gravitazionali, di cui uno, Virgo, è situato nelle campagne di Cascina, in Toscana, o la nostra infrastruttura di calcolo distribuita sul territorio italiano e in grado di analizzare tutti le grandi moli di dati prodotti dagli esperimenti del CERN e da altri grandi esperimenti internazionali cui partecipiamo.
Bene, tutte queste infrastrutture devono evolversi, aspetto fondamentale per un Paese perché esse rappresentano la spina dorsale della ricerca, e fungono anche da catalizzatore di processi di innovazione tecnologica, sviluppo industriale, crescita economica e sociale. Un Paese dotato di infrastrutture di ricerca ha un futuro, così come ha un futuro un ente di ricerca come l’INFN.
Nei nostri laboratori, ricercatori provenienti da tutto il mondo lavorano fianco a fianco. Attrarre cervelli e fare ricerca sul nostro territorio: queste sono le linee su cui investiremo.
Parliamo del sistema della Ricerca in Italia: cosa manca e cosa ci si aspetta secondo lei?
Secondo me troppo spesso è mancata l’attenzione da parte dei nostri governanti. Gli investimenti scarseggiano e la ricerca non viene ritenuta, in generale, un’attività strategica. Questa opinione è errata perché la ricerca è, per esempio, in grado di anticipare lo sviluppo di tecnologie che avranno successivamente delle profonde ricadute nella società. Con il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) sembra che il governo stia dando maggior peso al settore della ricerca di base, spero che continui nei prossimi anni.
Inoltre, dobbiamo essere attrattivi e dare una prospettiva ai giovani, far capire loro che la ricerca è un’attività fondamentale dove possono riuscire; la scuola italiana non ha nulla da invidiare a quella americana, tedesca o giapponese e fornisce un’ottima preparazione.
Dobbiamo, infine, essere anche in grado di attrarre giovani dall’estero, ma per farlo è imprescindibile poter offrire loro grandi infrastrutture di ricerca e laboratori d’avanguardia.
Nel suo ruolo di Professore, cosa consiglierebbe a una ragazza o un ragazzo che vuole intraprendere una carriera nella fisica?
Suggerirei di seguire i propri sogni. Se la fisica è la propria passione deve buttarsi; a mio parere la ricerca in questo campo è una delle attività più belle al mondo.
La materia è affascinante, ci sono tante cose da scoprire e per un fisico uno degli aspetti più belli del proprio lavoro è risolvere i problemi, e riuscire a dare risposte a domande a cui nessuno era riuscito a rispondere prima.
Infine, suggerirei di non farsi scoraggiare dalla massiccia presenza della matematica. È un percorso di studi difficile ma superabile se c’è l’entusiasmo.
L'INFN, con i dati messi a disposizione dalla Protezione civile, svolge analisi statistiche per contribuire a comprendere di più e meglio l’evoluzione dell’epidemia Covid19 in Italia. Da un punto di vista statistico, cosa abbiamo compreso fino ad ora?
Stiamo studiando dal marzo del 2020 i dati della pandemia da un punto di vista statistico. Al tempo arrivavano dai media tante informazioni e non si capiva bene quello che stava succedendo, così con un gruppo di colleghi decidemmo di analizzare i dati sul Covid messi a disposizione dalla Protezione Civile. Abbiamo iniziato a studiare i dati e a produrre grafici per capire come stava evolvendo l’epidemia, così da fornire un supporto al comitato di crisi interno all’INFN per l’emergenza sanitaria. Ma questo lavoro e le informazioni che se ne potevano trarre, per esempio su quando si sarebbero raggiunti i picchi di contagio e su qual era l’andamento dell’occupazione negli ospedali e nelle terapie intensive, potevano essere utili e rilevanti anche a un altro livello: così è nato il progetto di un sito web, facilmente consultabile da tutti, che potesse essere di pubblica utilità.
Attualmente assistiamo all'effetto positivo dei vaccini: in un momento in cui i contagi stanno risalendo, i nostri ospedali e le terapie intensive sono ancora sotto controllo. Più saremo vaccinati e meglio sarà.
In che modo la pandemia di COVID 19 ha influenzato le attività dell’Istituto?
Abbiamo dovuto fronteggiare una situazione unica per la società e la nostra strategia è stata quella di non chiudere l’INFN cercando di mantenere attivi i laboratori e le infrastrutture, ovviamente al minimo della presenza.
Oltre il 90% del personale ha lavorato in smart working mentre alcune squadre hanno operato a turno nei laboratori per tenere aperti i centri di calcolo e le infrastrutture di ricerca.
Questa situazione ha implicato un grande lavoro di riorganizzazione di tutte le nostre attività in modalità digitale: abbiamo tenuto corsi di formazione, sviluppato nuovi metodi di condivisione del materiale scientifico, condotto riunioni di coordinamento in videoconferenza e abbiamo anche pensato dei momenti volti a mantenere i rapporti e lo spirito di gruppo tra le persone per non farle sentire sole a casa.
Abbiamo, inoltre, fin da subito, realizzato programmi online di divulgazione rivolti alle scuole, e anche al pubblico, per fornire uno strumento di supporto a insegnanti e studenti in Dad, fornendo loro del materiale scientifico di alto livello. E non sono mancati i seminari sul Covid 19 per garantire l'aggiornamento sull’andamento dell’epidemia e sui vaccini.
Dal giugno del 2020 abbiamo piano piano riportato le persone in sede, e adesso siamo circa all’80% del personale che lavora in presenza.
Se confronto quello che abbiamo fatto in Italia e all’INFN, rispetto all’operato di altri Paesi sul fronte dell’emergenza sanitaria, mi sento di dare un parere molto positivo: dobbiamo essere orgogliosi!
Per concludere, qual è il risultato che lei vorrebbe fosse raggiunto dalla comunità scientifica dell’INFN?
Mi piacerebbe che in uno dei nostri laboratori riuscissimo a fare una scoperta da premio Nobel. Abbiamo gioito per il Nobel conferito al Professor Giorgio Parisi, fisico teorico che ha iniziato la sua carriera proprio all’INFN, perché rappresenta un grande riconoscimento allo scienziato, e anche alla scuola italiana di fisica, il cui valore è ben conosciuto e riconosciuto a livello internazionale. Ora sarebbe bello riuscire a vincere il Nobel per un risultato sperimentale, per una grande scoperta, magari realizzata da uno degli esperimenti dei nostri Laboratori Nazionali del Gran Sasso, ne sarei veramente molto felice.
Ndr, l'intervista è stata realizzata nel mese di novembre 2021
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