Newsletter n.4
Piccoli, colorati e rarissimi: i “gioielli” dei Campi Flegrei
- Scritto da Sara Stopponi
Piccoli, dai colori brillanti ed estremamente delicati. Si formano in poche ore ma può bastare una forte pioggia per spazzarli via. I minerali fumarolici sono delle formazioni tipiche dei sistemi vulcanici attivi, la cui formazione è regolata dalle alte temperature delle fumarole e dall’interazione dei gas fumarolici con le rocce circostanti.
La caldera dei Campi Flegrei è ricca di questi minerali ed è un vero e proprio laboratorio a cielo aperto per la loro osservazione e il loro studio. Basti pensare che qui è possibile trovare alcuni minerali che, fino a questo momento, non sono stati individuati in nessuna altra parte del mondo.
Ne abbiamo parlato con Massimo Russo, ricercatore dell’INGV, esperto di minerali fumarolici e ‘padre’ di alcuni di essi, che è riuscito a realizzare il sogno di tanti: fare di una passione che lo accompagna fin da bambino, quando raccoglieva piccoli sassolini al mare o in montagna, il mestiere di tutta una vita.
Massimo, che tipo di minerali è possibile trovare ai Campi Flegrei?
Tanti, ma soprattutto zolfo e solfati idrati che sono caratteristici delle temperature alle emergenze delle fumarole, di 100°C o meno.
I minerali dell’area Solfatara-Pisciarelli-Antiniana sono, al momento, 45 specie certe. Di queste, 5 località tipo, cioè trovati per la prima volta al mondo proprio ai Campi Flegrei (si tratta di dimorphite, ferroefremovite, russoite - che ha preso il mio nome -, voltaite e paradimorphite).
Questo è il risultato di un lungo e certosino lavoro pubblicato nel 2017: dopodiché, a causa della chiusura del sito, purtroppo non ho più avuto la possibilità di andare a effettuare ulteriori rilievi.
Che caratteristiche hanno questi minerali?
I minerali fumarolici dei Campi Flegrei sono per la maggior parte più o meno solubili in acqua e spesso basta una forte pioggia per discioglierli (ma poi è sufficiente attendere la stagione asciutta per assistere nuovamente alla loro formazione). Come dicevo, si tratta soprattutto di zolfo e solfati idrati, ma nella fumarola di più alta temperatura (quella della Bocca Grande) si formano, soprattutto, solfuri di arsenico e cloruro di ammonio.
Come si formano?
Nel caso dei minerali fumarolici si parla di “specie di neoformazione” in quanto si possono formare in brevissimo tempo (sono sufficienti delle ore, al massimo dei giorni). Si possono formare in due modi: per azione diretta della fase gassosa in base alla temperatura di emergenza (questi sono detti impropriamente “sublimati”, anche se in realtà si dovrebbero chiamare “brinati”, in quanto la sublimazione è il processo contrario, che dalla fase solida permette il passaggio alla fase gassosa); oppure per interazione gas-roccia, condizionati sempre dalla temperatura (in questo secondo caso si ha a che fare con le cosiddette “incrostazioni fumaroliche”).
Perché si formano proprio lì?
In realtà nella Solfatara di Pozzuoli si formano un po’ ovunque vi siano della fumarole: l’azione dell’idrogeno solforato che si trasforma in acido solforico, infatti, altera la roccia facendo sì che i cationi si ricombinino con il solfato e con l’acqua. Alle più alte temperature, come dicevo, si parla di “sublimati”.
Ci sono delle zone, nell’area, maggiormente favorevoli rispetto ad altre alla formazione di questi minerali?
Non in particolare, ma certamente nella fumarola di più alta temperatura, la Bocca Grande (con una temperatura che oscilla tra i 160 e i 164°C) vi sono i minerali più interessanti e rari.
Cosa ci dicono questi minerali a proposito della caldera dei Campi Flegrei?
I minerali fumarolici di bassa temperatura in realtà non ci dicono molto sullo stato del vulcano. Tuttavia, la situazione cambia - ad esempio - nel caso dell’Isola di Vulcano o del Vesuvio (quando era a condotto aperto). In questi casi, infatti, poiché i minerali hanno delle temperature di stabilità entro le quali si formano, all’aumentare della temperatura è possibile vedere dei minerali diversi, i vecchi sono soppiantati dai nuovi. Questi, assieme al chimismo dei minerali (ovvero allo studio delle loro caratteristiche chimiche), possono dare informazioni molto utili per capire l’evoluzione del sistema vulcanico in oggetto.
Da quanto tempo vengono studiati i minerali fumarolici e con che tecniche?
Direi da almeno 300 anni. Io mi sono approcciato al loro studio nel 1985 ed è diventata un’analisi più “seria” dal 2006, grazie alla collaborazione dei ricercatori del Dipartimento di Chimica dell’Università di Milano. Tra noi c’è una perfetta sintonia di interesse e di ricerca di specie minerali rare e nuove per la maggiore conoscenza delle località in esame, che sia l’area della Solfatara, del Vesuvio o dell’Isola di Vulcano.
“Come” si effettuano questi studi è una ‘storia’ complessa. Prima di tutto c’è il certosino lavoro di ricerca sul campo, poi l’estenuante visione al microscopio ottico a forti ingrandimenti di ciò che può essere di interesse: a questo punto l’area di interesse del campione va “frecciata” per poterla ritrovare successivamente. Dopodiché si fa una prima “passata” con la visione al microscopio elettronico che ci permette altissimi ingrandimenti e contemporaneamente si effettua l’analisi chimica del minerale (analisi non distruttiva perché lavoriamo in bassa pressione e senza necessità di metallizzare il campione). Nel caso dei minerali fumarolici spesso può capitare che l’indagine si possa fermare qui nel riconoscimento, definendo con certezza la specie minerale. In caso di dubbi, o se nel database non risulta nulla di simile, allora si passa alle analisi successive. Solo dopo queste indagini preliminari si capisce se si ha a che fare con qualcosa di non conosciuto. E si va avanti con ulteriori indagini.
Cosa ti appassiona maggiormente dello studio dei minerali?
Beh fin da piccolo raccoglievo sassi sulla spiaggia o sui monti, poi crescendo è diventato un vero hobby, ma farlo diventare una professione è il sogno di tutti: fare di una passione il proprio lavoro è una sensazione difficile da descrivere a parole.
Per me è un divertimento andare a cercare i minerali e capire a occhio a quale specie appartengono. Ovviamente a un primo sguardo è possibile riconoscere solo qualche centinaio di specie (i più bravi arrivano anche diverse centinaia!). Ma l’aspetto più appassionante per me è quello di poterli osservare al microscopio: più sono piccoli, più si rasenta la perfezione. È come se la natura si fosse messa lì come uno scultore che con tanta pazienza li modella in varie forme e come un pittore li dipinge con tanti colori diversi. La natura è davvero pazzesca.
Link all’articolo di approfondimento sul Blog INGVvulcani: https://ingvvulcani.com/2019/06/17/altro-che-diamanti-minerali-rari-alla-solfatara-di-pozzuoli/
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