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Terremoti ed effetti di sito: la propagazione delle onde
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- Scritto da Francesca Pezzella
Gli effetti di un terremoto possono essere molto differenti a seconda delle caratteristiche dell’area colpita. Fattori geomorfologici e stratigrafici locali possono modificare le onde sismiche e lo scuotimento in superficie che, quindi, non dipende solo dall’energia liberata dal terremoto. In questi casi si parla di effetti di sito. Per capire bene di cosa si tratta e quali sono gli studi in questo campo abbiamo intervistato Fabrizio Cara, ricercatore dell’INGV, che ha risposto alle nostre curiosità
Fabrizio cosa si intende per amplificazione del moto del suolo?
Attraversando gli ultimi metri di terreno, 100-200 metri al massimo, le onde sismiche prodotte da un terremoto possono subire delle variazioni come aumento di ampiezza e durata e modifica del contenuto in frequenza rispetto ad una propagazione su roccia dove invece il segnale non viene teoricamente alterato. Rimanendo al solo aumento dell’ampiezza, si parla in questo caso di amplificazione del moto del suolo perchè appunto l’accelerazione che viene registrata in superficie risulta amplificata rispetto ad una analoga registrazione su roccia. Questo effetto da solo può comportare conseguenze gravose sul costruito.
Cosa rappresentano gli effetti di sito?
Con effetti di sito si intendono tutti gli effetti che la geologia superficiale e i fattori geomorfologici locali producono sul moto registrato in superficie a seguito di un terremoto. Studiare gli effetti di sito vuol dire quindi cercare di capire come i fattori appena detti si possono tradurre in amplificazione del moto, aumento di durata e variazione del contenuto in frequenza. Questo per quanto riguarda gli effetti di sito propriamente detti perché poi esistono anche altri tipi di effetti secondari indotti dai terremoti, come ad esempio la liquefazione dei terreni, le frane, eventuali crolli di cavità, che possono ugualmente essere molto pericolosi per le opere antropiche e di conseguenza per la sicurezza delle persone.
Sebbene fin dai tempi antichi si sia intuito che costruire su terreni rocciosi è più “sicuro” che farlo su terreni sciolti, è da registrare una ciclica perdita di questa esperienza del passato, perché?
Quella che chiamiamo ciclica perdita di esperienza ha delle ragioni storiche e pratiche. Nella scelta di dove costruire storicamente ci si basava principalmente su due esigenze: la difesa contro potenziali nemici e la disponibilità di vie per l'approvvigionamento di cibo e beni. In Italia abbiamo numerosi esempi di paesini costruiti su picchi rocciosi isolati che costituivano una difesa naturale ma anche di città che devono la loro fortuna alla presenza dei fiumi, basta pensare a Roma o anche a L’Aquila. Molti dei paesini costruiti su roccia e che hanno subito forti terremoti nel passato, pur registrando danni sono comunque ancora in piedi, mentre la stessa fortuna non hanno avuto molti centri abitati costruiti su terreni alluvionali: non è tanto il caso di Roma, che fortunatamente non è in una zona ad alta pericolosità sismica, ma sicuramente di città come L’Aquila, Catania, Messina e Reggio Calabria, distrutte e ricostruite più volte. Nel corso dei secoli è via via venuta meno l’esigenza di trovare difese naturali, oggi possiamo dire che non esiste proprio più il concetto di difesa. Quindi la scelta sul dove costruire è stata principalmente basata sulla facilità di trovare aree edificabili, materiali da costruzione e vie di trasporto, tutte cose più disponibili in zone costiere, fluviali o in valli e bacini. L’esperienza passata circa gli effetti dei terremoti è stata solo in parte tenuta nella giusta considerazione anche perchè c’è da tenere in conto che per fortuna in Italia la frequenza dei terremoti distruttivi è relativamente bassa e quindi la memoria di un evento sismico può attraversare diverse generazioni lasciando ricordi via via più flebili. I tempi moderni non sfuggono a questa logica dove abbiamo assistito in particolare all’espansione dei centri abitati senza l’applicazione di piani regolatori e norme antisismiche. Va detto tuttavia che la tecnologia moderna ha gli strumenti per costruire in modo tale da ridurre tantissimo il pericolo di crolli o collassi delle strutture in caso di terremoto, ma qui dovremmo fare altri discorsi.
Dal punto di vista scientifico, a quando risalgono gli studi quantitativi degli effetti di sito?
Dal punto di vista scientifico abbiamo un primo studio condotto dopo il terremoto di Messina e Reggio Calabria, nel 1908. In quel caso i tecnici comunali andarono a rilevare casa per casa il danneggiamento subito, cercando poi di metterlo in relazione con la geologia superficiale. Questo studio fu utilizzato per redigere un Decreto Regio che sanciva come e dove ricostruire le città distrutte. Purtroppo questa esperienza è stata un unicum e negli anni a seguire gli studi sugli effetti di sito non furono minimamente considerati per i forti terremoti italiani. Vennero ripresi intorno alla metà degli anni Ottanta, anche in Italia, a seguito del terremoto del Messico del 1985. In questa occasione diversi scienziati italiani iniziarono ad interessarsi al problema. Al tempo, però, gli strumenti a disposizione non permettevano di condurre esperimenti importanti, per cui per un nuovo rilancio abbiamo dovuto aspettare fino al terremoto di Colfiorito che ha colpito Umbria e Marche nel 1997-1998. A seguito di questo evento, e grazie allo sviluppo tecnologico avvenuto in quegli anni, gli effetti di sito sono pian piano tornati al centro dell’interesse scientifico e di Protezione Civile e, anche alla luce dei terremoti successivi, hanno fornito indicazioni che sono state poi inserite nella normativa antisismica italiana.
Cosa è stato compreso e cosa è ancora da indagare?
Oggi sono state compresi tanti aspetti degli effetti di sito più semplici, come quelli dovuti ai terreni sedimentari stratificati e agli alti topografici, che sono anche stati studiati grazie all’ausilio di simulazioni numeriche. Tanto rimane da studiare; esistono situazioni più complesse, come quella dei bacini, dove si possono avere effetti “tridimensionali” che interagiscono con la propagazione delle onde sismiche. Questi effetti possono essere compresi solo attraverso degli esperimenti scientifici con un alto numero di stazioni sismiche e con delle simulazioni numeriche basate su modelli del terreno molto accurate.
Quali sono gli studi che l’INGV porta avanti in questo ambito? Quali saranno i prossimi passi?
In questi anni sono stati condotti studi molto importanti in seguito alle emergenze sismiche come quelle dell’Aquila, Emilia Romagna, Italia centrale ed Ischia. In Istituto c'è un gruppo operativo, Emersito, di cui sono referente nazionale, che interviene in emergenza sui luoghi colpiti da questo genere di calamità. Inoltre esiste un gruppo di ricerca, di cui ugualmente faccio parte, che ha come tematica principale proprio lo studio degli effetti di sito. In questo momento siamo impegnati su alcuni studi di microzonazione di terzo livello nel territorio nazionale e su un progetto che ha come obiettivo la caratterizzazione dei siti dove sono installate le stazioni della Rete Sismica Nazionale e della Protezione Civile. In un’ottica prossima futura sarebbe fondamentale intervenire nei grandi centri urbani. Città come Roma non sono infatti facilmente indagabili in quanto l'antropizzazione rende più complicato portare avanti indagini che presuppongono l’installazione di stazioni sismiche ed indagini geofisiche.Tuttavia grazie da una parte allo sviluppo tecnologico che sta spingendo verso stazioni sismiche più versatili e dal costo più contenuto e dall’altra a nuovi promettenti metodi di analisi dei dati che riguardano in particolare il rumore sismico ambientale, pensiamo che a breve si potrà intervenire anche in contesti complicati. Sono tutti studi in itinere, ci stiamo impegnando molto perché abbiano successo!
Per concludere, cosa fate come gruppo Emersito quando vi recate sui luoghi colpiti da calamità sismiche?
Il nostro lavoro inizia collaborando con gli altri gruppi di emergenza per trovare delle situazioni geologiche “tipo” dove pensiamo che possano essere intervenuti effetti di sito, anche osservando direttamente il danneggiamento avvenuto. Normalmente nelle primissime fasi non è possibile andare nelle zone rosse per cui cerchiamo di trovare delle zone a ridosso dell’area epicentrale e che possono presentare amplificazioni locali: qui in genere installiamo una o più reti temporanee. In una fase successiva interveniamo anche nelle aree maggiormente colpite perché vengono richieste e svolte attività propedeutiche alla microzonazione sismica. Si tratta in genere di eseguire misure geofisiche per la caratterizzazione dei terreni superficiali e installare reti sismiche in area epicentrale per contribuire alla definizione di aree omogenee in termini di pericolosità sismica. Questi studi sono molto importanti per individuare le zone dove è possibile ricostruire in maggiore sicurezza. Ad oggi abbiamo raggiunto dei notevoli risultati scientifici ma c’è ancora tanto da scoprire… la ricerca continua!
Per approfondire
https://ingvterremoti.com/2020/08/03/emersito-online-il-nuovo-sito-web/
- Isole Hawaii: in viaggio tra i vulcani della Dea Pele
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